L'Imitazione di Cristo
ESORTAZIONI UTILI
PER LA VITA NELLO SPIRITO
Capitolo I
L'imitazione di
Cristo e il disprezzo di tutte le vanità
del mondo
1. «Chi segue me non cammina nelle
tenebre» (Gv 8,12), dice il Signore. Sono
parole di Cristo, le quali ci esortano ad imitare la
sua vita e la sua condotta, se vogliamo essere
veramente illuminati e liberati da ogni
cecità interiore. Dunque, la nostra massima
preoccupazione sia quella di meditare sulla vita di
Gesù.
Già l'insegnamento di Cristo è
eccellente, e supera quello di tutti i santi; e chi
fosse forte nello spirito vi troverebbe una manna
nascosta. Ma accade che molta gente trae un ben
scarso desiderio del Vangelo dall'averlo anche
più volte ascoltato, perché è
priva del senso di Cristo. Invece, chi vuole
comprendere pienamente e gustare le parole di Cristo
deve fare in modo che tutta la sua vita si modelli
in Cristo.
Che ti serve saper discutere profondamente della
Trinità, se non sei umile, e perciò
alla Trinità tu dispiaci? Invero, non sono le
profonde dissertazioni che fanno santo e giusto
l'uomo; ma è la vita virtuosa che lo rende
caro a Dio. Preferisco sentire nel cuore la
compunzione che saperla definire.
Senza la carità e la grazia, a che ti
gioverebbe una conoscenza esteriore di tutta la
Bibbia e delle dottrine di tutti i filosofi?
«Vanità delle vanità, tutto
è vanità» (Qo 1,2),
fuorché amare Dio e servire lui solo. Questa
è la massima sapienza: tendere ai regni
celesti, disprezzando questo mondo.
2. Vanità è dunque ricercare le
ricchezze, destinate a finire, e porre in esse le
nostre speranze. Vanità è pure ambire
agli onori e montare in alta condizione.
Vanità è seguire desideri carnali e
aspirare a cose, per le quali si debba poi essere
gravemente puniti. Vanità è aspirare a
vivere a lungo, e darsi poco pensiero di vivere
bene. Vanità è occuparsi soltanto
della vita presente e non guardare fin d'ora al
futuro. Vanità è amare ciò che
passa con tutta rapidità e non affrettarsi
là dove dura eterna gioia.
Ricordati spesso di quel proverbio: «Non si
sazia l'occhio di guardare, né mai l'orecchio
è sazio di udire» (Qo 1,8).
Fa', dunque, che il tuo cuore sia distolto
dall'amore delle cose visibili di quaggiù e
che tu sia portato verso le cose di lassù,
che non vediamo. Giacché chi va dietro ai
propri sensi macchia la propria coscienza e perde la
grazia di Dio.
Capitolo II
L'umile conoscenza di sé
1. L'uomo, per sua natura, anela a sapere; ma che
dà il sapere se non si ha il timore di Dio?
Certamente un umile contadino che serva il Signore
è più apprezzabile di un sapiente che,
montato in superbia e dimentico di ciò che
egli è veramente, vada studiando i movimenti
del cielo.
Colui che si conosce a fondo sente di valere ben
poco in se stesso; e non cerca l'approvazione degli
uomini. Dinanzi a Dio, il quale mi giudicherà
per le mie azioni, che mi gioverebbe se io anche
possedessi tutta la scienza del mondo, ma non avessi
l'amore? Datti pace da una smania eccessiva di
sapere: in essa, infatti, non troverai che sviamento
grande ed inganno. Coloro che sanno desiderano
apparire ed essere chiamati sapienti. Ma vi sono
molte cose, la cui conoscenza giova ben poco, o non
giova affatto, all'anima. Ed è tutt'altro che
sapiente colui che attende a cose diverse da quelle
che servono alla sua salvezza.
I molti discorsi non appagano l'anima; invece una
vita buona rinfresca la mente e una coscienza pura
dà grande fiducia in Dio. Quanto più
grande e più profonda è la tua
scienza, tanto più severamente sarai
giudicato, proprio partendo da essa, se non
sarà stata santa la tua vita.
2. Non volerti gonfiare, dunque, per alcuna arte o
scienza, che tu possegga, ma piuttosto abbi timore
del sapere che ti è dato. Anche se ti pare di
sapere molte cose; anche se hai buona intelligenza,
ricordati che sono molte di più le cose che
non sai.
Non ti insuperbire (Rm 11,20; 12,16); confessa
piuttosto la tua ignoranza. Perché vuoi porti
avanti ad altri, mentre se ne trovano molti
più dotti di te, e più esperti nei
testi sacri? Se vuoi imparare e conoscere qualcosa,
in modo spiritualmente utile, cerca di essere
ignorato e di essere considerato un nulla.
È questo l'insegnamento più profondo e
più utile, conoscersi veramente e
disprezzarsi. Non tenere se stessi in alcun conto e
avere sempre buona e alta considerazione degli
altri; in questo sta grande sapienza e perfezione.
Anche se tu vedessi un altro cadere manifestamente
in peccato, o commettere alcunché di grave,
non dovresti crederti migliore di lui. Tutti siamo
fragili; ma tu non devi ritenere nessuno più
fragile di te.
Capitolo III
L'ammaestramento della verità
1. Felice colui che viene ammaestrato direttamente
dalla verità, così come essa è,
e non per mezzo di immagini o di parole umane;
ché la nostra intelligenza e la nostra
sensibilità spesso ci ingannano, e sono di
corta veduta.
A che giova un'ampia e sottile discussione intorno a
cose oscure e nascoste all'uomo; cose per le quali,
anche se le avremo ignorate, non saremo tenuti
responsabili, nel giudizio finale? Grande nostra
stoltezza: trascurando ciò che ci è
utile, anzi necessario, ci dedichiamo a cose che
attirano la nostra curiosità e possono essere
causa della nostra dannazione. «Abbiamo occhi
e non vediamo» (Ger 5,21).
Che c'importa del problema dei generi e delle
specie? Colui che ascolta la parola eterna si libera
dalle molteplici nostre discussioni. Da quella sola
parola discendono tutte le cose e tutte le cose
proclamano quella sola parola; essa è
«il principio» che continua a parlare
agli uomini (Gv 8,25). Nessuno capisce, nessuno
giudica rettamente senza quella parola.
Soltanto chi sente tutte le cose come una cosa sola,
e le porta verso l'unità e le vede tutte
nell'unità, può avere
tranquillità interiore e abitare in Dio nella
pace. O Dio, tu che sei la verità stessa, fa'
che io sia una cosa sola con te, in un amore senza
fine.
Spesso mi stanco di leggere molte cose, o di
ascoltarle: quello che io voglio e desidero sta
tutto in te. Tacciano tutti i maestri, tacciano
tutte le creature, dinanzi a te: tu solo parlami.
2. Quanto più uno sarà unificato e
interiormente raccolto, tanto più agevolmente
capirà molte cose, e difficili, perché
dall'alto egli riceverà lume all'intelletto.
Uno spirito puro, saldo e semplice non si perde
anche se si adopera in molteplici faccende,
perché tutto egli fa a onore di Dio,
sforzandosi di astenersi da ogni ricerca di
sé.
Che cosa ti lega e ti danneggia di più dei
tuoi desideri non mortificati? L'uomo retto e devoto
prepara prima, interiormente, le opere esterne che
deve compiere. Così non saranno queste ad
indurlo a desideri volti al male; ma sarà lui
invece che piegherà le sue opere alla scelta
fatta dalla retta ragione.
Nessuno sostiene una lotta più dura di colui
che cerca di vincere se stesso. Questo appunto
dovrebbe essere il nostro impegno: vincere noi
stessi, farci ogni giorno superiori a noi stessi e
avanzare un poco nel bene.
3. In questa vita ogni nostra opera, per quanto
buona, è commista a qualche imperfezione;
ogni nostro ragionamento, per quanto profondo,
presenta qualche oscurità. Perciò la
constatazione della tua bassezza costituisce una
strada che conduce a Dio più sicuramente che
una dotta ricerca filosofica.
Non già che sia una colpa lo studio, e meno
ancora la semplice conoscenza delle cose - la quale
è, in se stessa, un bene ed è voluta
da Dio -; ma è sempre cosa migliore una buona
conoscenza di sé e una vita virtuosa. Infatti
molti vanno spesso fuori della buona strada e non
danno frutto alcuno, o scarso frutto, di bene,
proprio perché si preoccupano più
della loro scienza che della santità della
loro vita.
Che se la gente mettesse tanta attenzione
nell'estirpare i vizi e nel coltivare le
virtù, quanta ne mette nel sollevare sottili
questioni filosofiche, non ci sarebbero tanti mali e
tanti scandali tra la gente; e nei conventi non ci
sarebbe tanta dissipazione. Per certo, quando
sarà giunto il giorno del giudizio, non ci
verrà chiesto che cosa abbiamo studiato, ma
piuttosto che cosa abbiamo fatto; né ci
verrà chiesto se abbiamo saputo parlare bene,
ma piuttosto se abbiamo saputo vivere devotamente.
Dimmi: dove si trovano ora tutti quei capiscuola e
quei maestri, a te ben noti mentre erano in vita,
che brillavano per i loro studi? Le brillanti loro
posizioni sono ora tenute da altri; e non è
detto che questi neppure si ricordino di loro.
Quando erano vivi sembravano essere un gran che; ma
ora di essi non si fa parola.
Oh, quanto rapidamente passa la gloria di questo
mondo! E voglia il cielo che la loro vita sia stata
all'altezza del loro sapere; in questo caso non
avrebbero studiato e insegnato invano.
Quanti uomini si preoccupano ben poco di servire
Iddio, e si perdono a causa di un vano sapere
ricercato nel mondo. Essi scelgono per sé la
via della grandezza, piuttosto di quella
dell'umiltà; perciò si disperde la
loro mente (Rm 1,21). Grande è, in
verità, colui che ha grande amore; colui che
si ritiene piccolo e non tiene in alcun conto anche
gli onori più alti. Prudente è, in
verità, colui che considera sterco ogni cosa
terrena, al fine di guadagnarsi Cristo (Fil 3,8).
Dotto, nel giusto senso della parola, è, in
verità, colui che fa la volontà di
Dio, buttando in un canto la propria volontà.
Capitolo IV
La ponderatezza nell'agire
Non dobbiamo credere a tutto ciò che sentiamo
dire; non dobbiamo affidarci a ogni nostro impulso.
Al contrario, ogni cosa deve essere valutata alla
stregua del volere di Dio, con attenzione e con
grandezza d'animo.
Purtroppo, degli altri spesso pensiamo e parliamo
più facilmente male che bene: tale è
la nostra miseria. Quelli che vogliono essere
perfetti non credono scioccamente all'ultimo che
parla, giacché conoscono la fragilità,
anzi l'infermità umana, portata alla
malevolenza e troppo facile a blaterare.
Grande saggezza non essere precipitosi nell'agire e,
d'altra parte, non restare ostinatamente alle nostre
prime impressioni. Grande saggezza, perciò,
non andare dietro a ogni discorso della gente e non
spargere subito all'orecchio di altri quanto abbiamo
udito e creduto.
Devi preferire farti guidare da uno migliore di te,
piuttosto che andar dietro alle tue fantasticherie;
prima di agire, devi consigliarti con persona saggia
e di retta coscienza. Giacché è la
vita virtuosa che rende l'uomo saggio della saggezza
di Dio, e buon giudice in molti problemi. Quanto
più uno sarà intimamente umile e
soggetto a Dio, tanto più sarà saggio,
e pacato in ogni cosa.
Capitolo V
La lettura delle sacre Scritture
Nei libri sacri si deve ricercare la verità,
non la bellezza della forma. Essi vanno letti nello
spirito con cui furono scritti; in essi va ricercata
l'utilità spirituale, piuttosto che
l'eleganza della parola. Perciò dobbiamo
leggere anche opere semplici, ma devote, con lo
stesso desiderio con cui leggiamo opere dotte e
profonde. Non lasciarti colpire dal nome dello
scrittore, di minore o maggiore risonanza; quel che
ci deve indurre alla lettura deve essere il puro
amore della verità. Non cercar di sapere chi
ha detto una cosa, ma bada a ciò che è
stato detto. Infatti gli uomini passano,
«invece la verità del Signore resta per
sempre» (Sal 116,2); e Dio ci parla in varie
maniere, «senza tener conto delle
persone» (1 Pt 1,17).
Spesso, quando leggiamo le Scritture, ci è di
ostacolo la nostra smania di indagare, perché
vogliamo approfondire e discutere là dove non
ci sarebbe che da andare avanti in semplicità
di spirito. Se vuoi trarre profitto, leggi con animo
umile e semplice, con fede. E non aspirare mai alla
fama di studioso.
Ama interrogare e ascoltare in silenzio la parola
dei santi. E non essere indifferente alle parole dei
superiori: esse non vengono pronunciate senza
ragione.
Capitolo VI
Gli sregolati moti dell'anima
Ogni qual volta si desidera una cosa contro il
volere di Dio, subito si diventa interiormente
inquieti. Il superbo e l'avaro non hanno mai requie;
invece chi è povero e umile di cuore gode
della pienezza della pace.
Colui che non è perfettamente morto a se
stesso cade facilmente in tentazione ed è
vinto in cose da nulla e disprezzabili.
Colui che è debole nello spirito ed è,
in qualche modo, ancora volto alla carne e ai sensi,
difficilmente si può distogliere del tutto
dalle brame terrene; e, quando pur riesce a
sottrarsi a queste brame, ne riceve tristezza. Che
se poi qualcuno gli pone ostacolo, facilmente si
sdegna; se, infine, raggiunge quel che bramava,
immediatamente sente in coscienza il peso della
colpa, perché ha assecondato la sua passione,
la quale non giova alla pace che cercava.
Giacché la vera pace del cuore la si trova
resistendo alle passioni, non soggiacendo ad esse.
Non già nel cuore di colui che è
attaccato alla carne, non già nell'uomo volto
alle cose esteriori sta la pace; ma nel cuore di
colui che è pieno di fervore spirituale.
Capitolo VII
Guardarsi dalle vane speranze e fuggire la superbia
Chi mette la sua fiducia negli uomini e nelle altre
creature è un insensato.
Non ti rincresca di star sottoposto ad altri, per
amore di Gesù Cristo, e di sembrare un
poveretto, in questo mondo. Non appoggiarti alle tue
forze, ma salda la tua speranza in Dio: se farai
tutto quanto sta in te, Iddio aderirà al tuo
buon volere.
Non confidare nel sapere tuo o nella capacità
di un uomo purchessia, ma piuttosto nella grazia di
Dio, che sostiene gli umili e atterra i presuntuosi.
Non vantarti delle ricchezze, se ne hai, e neppure
delle potenti amicizie; il tuo vanto sia in Dio, che
concede ogni cosa, ed ama dare se stesso, sopra ogni
cosa. Non gonfiarti per la prestanza e la bellezza
del tuo corpo; alla minima malattia esse si guastano
e si deturpano.
Non compiacerti di te stesso, a causa della tua
abilità e della tua intelligenza,
affinché tu non spiaccia a Dio, a cui
appartiene tutto ciò che di buono hai sortito
dalla natura.
Non crederti migliore di altri, affinché, per
avventura, tu non sia ritenuto peggiore dinanzi a
Dio, che ben conosce quello che c'è in ogni
uomo (cfr. Gv 2,25). Non insuperbire per le tue
opere buone, perché il giudizio degli uomini
è diverso da quello di Dio, cui spesso non
piace ciò che piace agli uomini. Anche se hai
qualcosa di buono, pensa che altri abbia di meglio,
cosicché tu mantenga l'umiltà. Nulla
di male se ti metti al di sotto di tutti gli altri;
molto male è invece se tu ti metti al di
sopra anche di una sola persona.
Nell'umile è pace indefettibile; nel cuore
del superbo sono, invece, continua smania e
inquietudine.
Capitolo VIII
Evitare l'eccessiva familiarità
«Non aprire il tuo cuore al primo che
capita» (Sir 8,22); i tuoi problemi, trattali
invece con chi ha saggezza e timore di Dio.
Cerca di stare raramente con persone sprovvedute e
sconosciute; non metterti con i ricchi per adularli;
non farti vedere volentieri con i grandi. Stai,
invece, accanto alle persone umili e semplici,
devote e di buoni costumi; e con esse tratta di cose
che giovino alla tua santificazione. Non avere
familiarità con alcuna donna, ma raccomanda a
Dio tutte le donne degne. Cerca di essere tutto
unito soltanto a Dio e ai suoi angeli, evitando ogni
curiosità riguardo agli uomini.
Mentre si deve avere amore per tutti, la
familiarità non è affatto necessaria.
Capita talvolta che una persona che non conosciamo
brilli per fama eccellente; e che poi, quando essa
ci sta dinanzi, ci dia noia solo al vederla. D'altra
parte, talvolta speriamo di piacere a qualcuno,
stando con lui, e invece cominciamo allora a non
piacergli, perché egli vede in noi
alcunché di riprovevole.
Capitolo IX
Obbedienza e sottomissione
1. Stare sottomessi, vivere soggetti a un superiore
e non disporre di sé è cosa grande e
valida. È molto più sicura la
condizione di sudditanza, che quella di comando. Ci
sono molti che stanno sottomessi per forza,
più che per amore; da ciò traggono
sofferenza, e facilmente se ne lamentano; essi non
giungono a libertà di spirito, se la loro
sottomissione non viene dal profondo del cuore e non
ha radice in Dio.
Corri pure di qua e di là; non troverai pace
che nell'umile sottomissione sotto la guida di un
superiore. Andar sognando luoghi diversi, e passare
dall'uno all'altro, è stato per molti un
inganno.
2. Certamente ciascuno preferisce agire a suo
talento, ed è maggiormente portato verso chi
gli dà ragione. Ma se Cristo è dentro
di noi, dobbiamo pur talvolta lasciar perdere i
nostri desideri, per amore della pace.
C'è persona così sapiente che possa
conoscere pienamente ogni cosa? Perciò non
devi avere troppa fiducia nelle tue impressioni;
devi ascoltare volentieri anche il parere degli
altri. Anche se la tua idea era giusta, ma la
abbandoni per amore di Dio seguendo quella di altri,
da ciò trarrai molto profitto. Stare ad
ascoltare ed accettare un consiglio - come spesso ho
sentito dire - è cosa più sicura che
dare consigli.
Può anche accadere che l'idea di uno sia
buona; ma è sempre segno di superbia e di
pertinacia non volersi arrendere agli altri, quando
la ragionevolezza o l'evidenza lo esigano.
Capitolo X
Astenersi dai discorsi inutili
1. Per quanto possibile, stai lontano dall'agitarsi
che fa la gente. Infatti, anche se vi si attende con
purezza di intenzione, l'occuparsi delle faccende
del mondo è un grosso impaccio, perché
ben presto si viene inquinati dalle vanità, e
fatti schiavi. Più di una volta vorrei esser
stato zitto, e non essere andato in mezzo alla
gente.
2. Ma perché andiamo parlando e
chiacchierando così volentieri con altri,
anche se poi è raro che, quando torniamo a
star zitti, non abbiamo qualche guasto alla
coscienza? Parliamo così volentieri
perché, con queste chiacchiere, cerchiamo di
consolarci a vicenda, e speriamo di sollevare il
nostro animo oppresso dai vari pensieri. Inoltre
molto ci diletta discorrere e fantasticare delle
cose che amiamo assai e che desideriamo, o di
ciò che sembra contrastarci. Ma spesso
purtroppo tutto questo è vano e inutile;
giacché una simile consolazione esteriore va
molto a scapito di quella interiore e divina.
3. Non dobbiamo passare il nostro tempo in ozio, ma
in vigilie e in orazioni; e, se possiamo o dobbiamo
parlare, dire cose edificanti. Infatti, mentre il
malvezzo e la trascuratezza del nostro progresso
spirituale ci induce facilmente a tenere incustodita
la nostra lingua, giova assai al nostro profitto
interiore una devota conversazione intorno alle cose
dello spirito; tanto più quando ci si unisca,
nel nome di Dio, a persone animate da pari
spiritualità.
Capitolo XI
La conquista della pace interiore e l'amore del
progresso spirituale
1. Se non ci volessimo impicciare di quello che
dicono e di quello che fanno gli altri, e di cose
che non ci riguardano, potremmo avere una grande
pace interiore. Come, infatti, è possibile
che uno mantenga a lungo l'animo tranquillo se si
intromette nelle faccende altrui, se va a cercare
all'esterno i suoi motivi di interesse, se raramente
e superficialmente si raccoglie in se stesso?
Beati i semplici, giacché avranno grande
pace. Perché mai alcuni santi furono
così perfetti e pieni di spirito
contemplativo? Perché si sforzarono di
spegnere completamente in sé ogni desiderio
terreno, cosicché - liberati e staccati da se
stessi - potessero stare totalmente uniti a Dio, con
tutto il cuore. Noi, invece, siamo troppo presi dai
nostri sfrenati desideri e troppo preoccupati delle
cose di quaggiù; di rado riusciamo a vincere
un nostro difetto, anche uno soltanto, e non siamo
ardenti nel tendere al nostro continuo
miglioramento. E così restiamo inerti e
tiepidi.
Se fossimo, invece, totalmente intenti a noi stessi
e per nulla implicati in cose esteriori, potremmo
perfino avere conoscenza delle cose di Dio, e fare
esperienza, in qualche misura, della contemplazione
celeste. Il vero e più grande ostacolo
consiste in ciò, che non siamo liberi dalle
passioni e dalle brame, e che non ci sforziamo di
entrare nella via della perfezione, che fu la via
dei santi: anzi, appena incontriamo una
difficoltà, anche di poco conto, ci lasciamo
troppo presto abbattere e ci volgiamo a consolazioni
terrene.
2. Se facessimo di tutto, da uomini forti, per non
abbandonare la battaglia, tosto vedremmo venire a
noi dal cielo l'aiuto del Signore. Il quale
prontamente sostiene coloro che combattono fiduciosi
nella sua grazia; anzi, ci procura occasioni di
lotta proprio perché ne usciamo vittoriosi.
Che se facciamo consistere il progresso spirituale
soltanto in certe pratiche esteriori, tosto la
nostra religione sarà morta. Via, mettiamo la
scure alla radice, cosicché, liberati dalle
passioni, raggiungiamo la pace dello spirito.
Se ci strappassimo via un solo vizio all'anno,
diventeremmo presto perfetti. Invece spesso ci
accorgiamo del contrario; troviamo cioè che
quando abbiamo indirizzata la nostra vita a Dio
eravamo più buoni e più puri di ora,
dopo molti anni di vita religiosa. Il fervore e
l'avanzamento spirituale dovrebbe crescere di giorno
in giorno; invece già sembra gran cosa se uno
riesce a tener viva una particella del fervore
iniziale.
3. Se facessimo un poco di violenza a noi stessi sul
principio, potremmo poi fare ogni cosa facilmente e
gioiosamente.
Certo è difficile lasciare ciò a cui
si è abituati; ancor più difficile
è camminare in senso contrario al proprio
desiderio. Ma se non riesci a vincere nelle cose
piccole e da poco, come supererai quelle più
gravi? Resisti fin dall'inizio alla tua
inclinazione; distaccati dall'abitudine,
affinché questa non ti porti, a poco a poco,
in una situazione più ardua.
Se tu comprendessi quanta pace daresti a te stesso e
quanta gioia procureresti agli altri, vivendo una
vita dedita al bene, sono certo che saresti
più sollecito nel tendere al tuo profitto
spirituale.
Capitolo XII
I vantaggi delle avversità
1. È bene per noi che incontriamo talvolta
difficoltà, sofferenze e contrarietà;
queste, infatti, richiamano l'uomo a se stesso, nel
profondo, fino a che comprenda che quaggiù
egli è in esilio e che la sua speranza non va
riposta in alcuna cosa di questo mondo. È
bene che talvolta soffriamo contraddizione e che la
gente ci giudichi male e ingiustamente, anche se le
nostre azioni e le nostre intenzioni sono buone.
Tutto ciò suol favorire l'umiltà, e ci
preserva dalla vanagloria. Invero, proprio quando la
gente attorno a noi ci offende e ci scredita, noi
aneliamo con maggior forza al testimone interiore,
Iddio.
2. Dovremmo piantare noi stessi così
saldamente in Dio, da non avere necessità
alcuna di andar cercando tanti conforti umani.
Quando un uomo di buona volontà soffre
tribolazioni e tentazioni, o è afflitto da
pensieri malvagi, allora egli sente di avere maggior
bisogno di Dio, e di non poter fare nulla di bene
senza di lui. E si rattrista e piange e prega per il
male che soffre; gli viene a noia che la vita
continui; e spera che sopraggiunga la morte (2 Cor
1,8), così da poter scomparire e dimorare in
Cristo (Fil 1,23). Allora egli capisce che nel mondo
non può esserci completa serenità e
piena pace.
Capitolo XIII
Resistere alle tentazioni
1. Finché saremo al mondo, non potremo essere
senza tribolazioni e tentazioni; infatti sta scritto
nel libro di Giobbe (7,1) che la vita dell'uomo
sulla terra è tutta una tentazione. Ognuno
dovrebbe, dunque, stare attento alle tentazioni e
vigilare in preghiera (1 Pt 4,7), affinché il
diavolo non trovi il punto dove possa esercitare il
suo inganno; il diavolo, che mai non posa, ma va
attorno cercando chi possa divorare (1 Pt 5,8).
Nessuno è così avanzato nella
perfezione e così santo da non avere talvolta
delle tentazioni. Andare esenti del tutto da esse
non possiamo. Tuttavia, per quanto siano moleste e
gravose, le tentazioni spesso sono assai utili;
perché, a causa delle tentazioni, l'uomo
viene umiliato, purificato e istruito. I santi
passarono tutti per molte tribolazioni e tentazioni,
e progredirono; invece coloro che non seppero
sostenere le tentazioni si pervertirono e tradirono.
Non esiste una istituzione così perfetta, o
un luogo così nascosto, dove non si trovino
tentazioni e avversità. L'uomo non è
mai del tutto esente dalla tentazione, fin che vive,
poiché il principio della tentazione è
dentro di noi. Dal momento che siamo nati nella
concupiscenza, se vien meno una tentazione o
tribolazione, un'altra ne sopraggiunge e c'è
sempre qualcosa da sopportare; abbiamo infatti
perduto il bene della nostra felicità.
Molti, di fronte alle tentazioni, cercano di
fuggire, ma cadono poi in esse anche più
gravemente. Non possiamo vincere semplicemente con
la fuga; ma è con la sopportazione e con la
vera umiltà che saremo più forti di
ogni nemico. Ben poco progredirà colui che si
allontana un pochino e superficialmente dalle
tentazioni, senza sradicarle: tosto ritorneranno ed
egli starà ancor peggio.
Vincerai più facilmente, a poco a poco, con
una generosa pazienza e con l'aiuto di Dio;
più facilmente che insistendo cocciutamente
nel tuo sforzo personale.
Accogli frequentemente il consiglio di altri, quando
sei nella tentazione; e non essere aspro con colui
che è tentato, ma dagli conforto, come
desidereresti fosse fatto a te.
2. Causa prima di ogni perversa tentazione è
la mancanza di stabilità spirituale e la
scarsezza di fiducia in Dio; giacché, come
una nave senza timone viene spinta qua e là
dalle onde, così l'uomo infiacchito, che
abbandona i suoi propositi, viene in vario modo
tentato.
Come il fuoco serve a saggiare il ferro (Sir 31,26),
così la tentazione serve a saggiare la
santità di una persona (Sir 27,6). Quali
possibilità ciascuno abbia in potenza, spesso
non lo sappiamo; ma la tentazione dispiega
palesemente ciò che siamo.
Tuttavia bisogna vigilare, particolarmente intorno
all'inizio della tentazione; poiché il nemico
si vince più facilmente se non gli si
permette per nulla di varcare le porte della nostra
mente; e se gli si sbarra la strada al di là
della soglia, non appena abbia bussato. Di qui il
detto: «resisti agli inizi; è troppo
tardi quando si prepara la medicina» (Ovidio,
Remedia amoris, II,91).
Infatti, dapprima viene alla mente un semplice
pensiero, di poi una forte immaginazione, infine un
compiacimento, un impulso cattivo e un'acquiescenza.
E così, piano piano, il nemico malvagio
penetra del tutto, proprio perché non gli si
è resistito all'inizio. E quanto più a
lungo uno ha tardato torpidamente a resistere, tanto
più si è, via via, interiormente
indebolito, mentre il nemico è andato
crescendo di forze contro di lui.
3. Alcuni sentono le maggiori tentazioni al
principio della loro conversione a Dio; altri invece
alla fine. Alcuni sono fortemente turbati
pressoché per tutta la vita; altri sentono
tentazioni piuttosto lievi: secondo quanto
dispongono la sapienza e la giustizia di Dio, le
quali pesano la condizione e i meriti di ciascuno e
preordinano ogni cosa alla salvezza degli eletti.
Perciò non dobbiamo lasciarci cogliere dalla
disperazione, quando siamo tentati. Dobbiamo invece,
pregare Iddio ancor più fervorosamente,
affinché si degni di aiutarci in ogni
tentazione; Lui che, in verità, secondo
quanto dice Paolo (1 Cor 10,13), farà in modo
che la tentazione sia accompagnata dai mezzi per
poterla sopportare. Abbassiamo, dunque, in
umiltà, l'anima nostra sotto la mano di Dio,
quando siamo tentati e tribolati, giacché il
Signore salverà gli umili di spirito e li
innalzerà (1 Pt 5,6; Sal 33,19).
Quanto uno abbia progredito si dimostra nella
tentazione e nella tribolazione; qui sta il suo
maggior merito; qui appare più chiaramente la
sua virtù. Non è gran cosa esser
devoti e fervorosi quando non si hanno
difficoltà; sapere invece sopportare se
stessi nel momento dell'avversità dà a
sperare in un grande avanzamento spirituale.
Avviene che alcuni sono al riparo da grandi
tentazioni, ma sono spesso sconfitti nelle piccole
tentazioni di ogni giorno; e così, umiliati
per essere caduti in cose tanto da poco, non
ripongono più fiducia in se stessi, nelle
cose più grandi.
Capitolo XIV
Evitare i giudizi temerari
1. Rivolgi gli occhi a te stesso e stai attento a
non giudicare quel che fanno gli altri. In tale
giudizio si lavora senza frutto; frequentemente ci
si sbaglia e facilmente si cade in peccato. Invece,
nel giudizio e nel vaglio di se stessi, si opera
sempre fruttuosamente.
Spesso giudichiamo secondo un nostro preconcetto; e
così, per un nostro atteggiamento personale,
perdiamo il criterio della verità. Se il
nostro desiderio fosse diretto soltanto a Dio, non
ci lasceremmo turbare così facilmente dalla
resistenza opposta dal nostro senso umano. Di
più, spesso, c'è qualcosa, già
nascosto, latente in noi, o sopravveniente
dall'esterno, che ci tira di qua o di là.
Molti, in tutto ciò che fanno, cercano se
stessi, senza neppure accorgersene. Sembrano essere
in perfetta pace quando le cose vanno secondo i loro
desideri e i loro gusti; se, invece, vanno
diversamente, subito si agitano e si rattristano.
2. Avviene di frequente che nascano divergenze tra
amici e concittadini, persino tra persone pie e
devote, per diversità nel modo di sentire e
di pensare. Giacché è difficile
liberarsi da vecchie posizioni abituali, e nessuno
si lascia tirare facilmente fuori dal proprio modo
di vedere. Così, se ti baserai sui tuoi
ragionamenti e sulla tua esperienza, più che
sulla forza propria di Gesù Cristo, raramente
e stentatamente riuscirai ad essere un uomo
illuminato; Dio vuole, infatti, che noi ci
sottomettiamo perfettamente a lui, e che
trascendiamo ogni nostro ragionamento grazie ad un
fiammeggiante amore.
Capitolo XV
Le opere fatte per amore
1. Non si deve fare alcun male, per nessuna cosa al
mondo né per compiacenza verso chicchessia;
talora, invece, per giovare a uno che ne ha bisogno,
si deve senza esitazione lasciare una cosa buona che
si sta facendo, o sostituirla con una ancora
più buona; in tal modo non si distrugge
l'opera buona, ma soltanto la si trasforma in
meglio.
2. A nulla giova un'azione esterna compiuta senza
amore; invece, qualunque cosa, per quanto piccola e
disprezzata essa sia, se fatta con amore, diventa
tutta piena di frutti. In verità Iddio non
tiene conto dell'azione umana in sé e per
sé, ma dei moventi di ciascuno.
Opera grandemente colui che ha grande amore; opera
grandemente colui che agisce con rettitudine; opera
lodevolmente colui che si pone al servizio della
comunità, più che del suo capriccio.
Accade spesso che ci sembri amore ciò che
è piuttosto attaccamento carnale;
giacché è raro che, sotto le nostre
azioni, non ci siano l'inclinazione naturale, il
nostro gusto, la speranza di una ricompensa e la
simpatia. Chi ha un amore vero e perfetto non cerca
se stesso, in alcuna sua azione, ma desidera
solamente che in ogni cosa si realizzi la gloria di
Dio.
Di nessuno è invidioso colui che non tende al
proprio godimento, né vuole personali
soddisfazioni, desiderando, al di là di ogni
bene, di avere beatitudine in Dio. Costui non
attribuisce alcunché di buono a nessuno, ma
riporta il bene totalmente a Dio; dal quale ogni
cosa procede, come dalla sua fonte, e nel quale,
alla fine, tutti i santi godono pace.
Oh, chi avesse anche una sola scintilla di vera
carità, per certo capirebbe che tutto
ciò che è di questa terra è
pieno di vanità.
Capitolo XVI
Sopportare i difetti degli altri
1. Quei difetti, nostri od altrui, che non riusciamo
- se non rarissimamente - a correggere, li dobbiamo
sopportare con pazienza, fino a che Dio non disponga
altrimenti. Rifletti che, per avventura, questa
sopportazione è la cosa più utile per
te, come prova di quella pazienza, senza della quale
ben poco contano i nostri meriti. Tuttavia, di
fronte a tali difficoltà, devi chiedere
insistentemente che Dio si degni di venirti in
aiuto, sicché tu riesca a sopportarle.
Se uno, ammonito una volta e un'altra ancora, non si
acquieta, cessa di litigare con lui; rimetti invece
ogni cosa in Dio, affinché in tutti noi, suoi
servi, si faccia la volontà e la gloria di
Lui, che ben sa trasformare il male in bene.
Sforzati di essere paziente nel tollerare i difetti
e le debolezze altrui, quali che esse siano,
giacché anche tu presenti molte cose che
altri debbono sopportare.
2. Se non riesci a trasformare te stesso secondo
quella che pure è la tua volontà, come
potrai pretendere che gli altri si conformino al tuo
desiderio?
Volentieri vedremmo gli altri perfetti, e tuttavia
non correggiamo le nostre manchevolezze. Vogliamo
che gli altri si correggano rigorosamente; mentre
noi non sappiamo correggere noi stessi. Ci disturba
una ampia libertà degli altri; mentre non
sappiamo negare a noi stessi ciò che
desideriamo. Vogliamo che gli altri siano stretti
entro certe regole; mentre noi non ammettiamo di
essere un po' più frenati.
In tal modo, dunque, è chiaro che raramente
misuriamo il prossimo come noi stessi.
Se fossimo tutti perfetti, che cosa avremmo da
patire dagli altri, per amore di Dio? Ora, Dio
così dispose, affinché apprendessimo a
portare l'uno i pesi dell'altro (Gal 6,2). Infatti
non c'è alcuno che non presenti difetti o
molestie; non c'è alcuno che basti a se
stesso e che, di per sé, sia sufficientemente
saggio. Occorre, dunque, che ci sopportiamo a
vicenda, che a vicenda ci consoliamo, che egualmente
ci aiutiamo e ci ammoniamo.
Quanta virtù ciascuno di noi abbia,
ciò appare al momento delle avversità:
non sono le occasioni che fanno fragile l'uomo, ma
esse mostrano quale esso è.
Capitolo XVII
La vita nei monasteri
1. Se vuoi mantenere pace e concordia con gli altri,
devi imparare a vincere decisamente te stesso in
molte cose. Non è cosa facile stare in un
monastero o in un gruppo, e viverci senza lamento
alcuno, mantenendosi fedele fino alla morte. Beato
colui che vi avrà vissuto santamente e vi
avrà felicemente compiuta la sua vita.
Se vuoi stare saldo al tuo dovere e avanzare nel
bene, devi considerarti esule e pellegrino su questa
terra. Per condurre una vita di pietà, devi
farti stolto per amore di Cristo.
2. Poco contano l'abito e la tonsura; sono la
trasformazione della vita e la completa
mortificazione delle passioni che fanno il monaco.
Chi tende ad altro che non sia soltanto Dio e la
salute dell'anima, non troverà che
tribolazione e dolore. Ancora, non avrà pace
duratura chi non si sforza di essere il più
piccolo, sottoposto a tutti.
Qui tu sei venuto per servire, non comandare.
Ricordati che sei stato chiamato a sopportare e a
faticare, non a passare il tempo in ozio e in
chiacchiere. Qui si provano gli uomini, come si
prova l'oro nel fuoco (cfr. Sir 27,6). Qui nessuno
potrà durevolmente stare, se non si
sarà fatto umile dal profondo del cuore, per
amore di Dio.
Capitolo XVIII
Gli esempi dei santi padri
1. Guarda ai luminosi esempi dei santi padri, nei
quali rifulse una pietà veramente perfetta; e
vedrai come sia ben poco, anzi nulla, quello che
facciamo noi. Ahimé!, che cosa è la
nostra vita, paragonata alla vita di quei santi?
Veramente santi, e amici di Cristo, costoro
servirono il Signore nella fame e nella sete; nel
freddo, senza avere di che coprirsi; nel faticoso
lavoro; nelle veglie e nei digiuni; nelle preghiere
e nelle pie meditazioni; spesso nelle ingiurie e
nelle persecuzioni.
Quante tribolazioni, e quanto gravi, hanno patito
gli apostoli, i martiri, i testimoni della fede, le
vergini e tutti gli altri che vollero seguire le
orme di Cristo; essi, infatti, ebbero in odio se
stessi in questo mondo, per possedere le loro anime
nella vita eterna.
Quale vita rigorosa, e piena di rinunce, vissero
questi grandi padri nel deserto; quanto lunghe e
gravi tentazioni ebbero a sopportare; quanto spesso
furono tormentati dal diavolo; quante ripetute e
fervide preghiere offrirono a Dio; quali dure
astinenze seppero sopportare; come furono grandi
l'ardore e il fervore con i quali mirarono al loro
progresso spirituale; come fu coraggiosa la
battaglia che essi fecero per vincere i loro vizi;
come fu piena e retta la loro intenzione, che essi
tennero sempre volta a Dio!
Lavoravano per tutta la giornata, e la notte la
passavano in continua preghiera; ma neppure durante
il lavoro veniva mai meno in loro l'orazione
interiore. Tutto il loro tempo era impiegato
utilmente; e a loro sembrava troppo corta ogni ora
dedicata a Dio; ancora, per la grande soavità
della contemplazione, dimenticavano persino la
necessità di rifocillare il corpo.
Rinunciavano a tutte le ricchezze, alle cariche,
agli onori, alle amicizie e alle parentele; nulla
volevano avere delle cose del mondo; mangiavano
appena quanto era necessario alla vita e si
lamentavano quando si dovevano sottomettere a
necessità materiali.
2. Erano poveri di cose terrene, molto ricchi invece
di grazia e di virtù; esteriormente
miserabili, ricompensati però interiormente
dalla grazia e dalla consolazione divina; lontani
dal mondo, ma vicini a Dio, amici intimi di Dio; si
ritenevano un nulla ed erano disprezzati dagli
uomini, ma erano preziosi e cari agli occhi di Dio.
Stavano in sincera umiltà, vivevano in
schietta obbedienza; camminavano in amore e
sapienza: per questo progredivano spiritualmente
ogni giorno, e ottenevano tanta grazia presso Dio.
Essi sono offerti come esempio per tutti coloro che
si sono dati alla vita religiosa; essi ci devono
indurre all'avanzamento nel bene, più che non
ci induca al rilassamento la schiera delle persone
poco fervorose.
3. Quanto fu grande l'ardore di questi uomini di
Dio, quando diedero inizio alle loro istituzioni.
Quale devozione nella preghiera, quale emulazione
nelle virtù, quale rigore in essi
vigoreggiò; quanto rispetto e quanta
docilità sotto la Regola fiorì in
tutti loro. Restano ancora certi ruderi abbandonati,
ad attestare che furono veramente uomini santi e
perfetti, costoro, che, con una strenua lotta,
schiacciarono il mondo.
Oggi, invece, già uno è ritenuto buono
se non tradisce la fede; se riesce a sopportare con
pazienza quel che gli tocca. Tale è la nostra
attuale condizione di negligente tiepidezza, che ben
presto cadiamo dal fervore iniziale; pigri e
stanchi, già ci viene a noia la vita.
Voglia il Cielo che in te non si vada spegnendo del
tutto l'avanzamento nelle virtù; in te che
frequentemente hai avuto sotto gli occhi gli esempi
dei santi.
Capitolo XIX
Gli esercizi del buon religioso
1. La vita di colui che si è dato a Dio deve
esser rigogliosa di ogni virtù,
cosicché, quale egli appare esteriormente
alla gente, tale sia anche interiormente. Anzi, e a
ragione, di dentro vi deve essere molto più
di quanto appare di fuori; giacché noi siamo
sotto gli occhi di Dio, e a lui dobbiamo sommo
rispetto, ovunque ci troviamo; Dio, dinanzi al quale
dobbiamo camminare puri come angeli.
Ogni giorno dobbiamo rinnovare il nostro proposito e
spronare noi stessi al fervore, come fossimo appena
venuti, oggi, alla vita del monastero. Dobbiamo
dire: aiutami, Signore Iddio, nel mio buon proposito
e nel santo servizio che ti è dovuto;
concedimi di ricominciare oggi radicalmente,
perché quel che ho fatto fin qui è
nulla.
Il nostro progresso spirituale procede di pari passo
con il nostro proposito. Grande vigilanza occorre
per chi vuol avanzare nel bene; ché, se cade
spesso colui che ha forti propositi, che cosa
sarà di colui che soltanto di rado si propone
alcunché, e con poca fermezza?
Svariati sono i modi nei quali ci accade di
abbandonare il nostro proposito; anche la semplice
omissione di un solo esercizio di pietà porta
quasi sempre qualche guasto. In verità, la
fermezza di proposito dei giusti dipende, più
che dalla loro pazienza, dalla grazia di Dio, nel
quale essi ripongono la loro fiducia, qualunque meta
riescano a raggiungere; giacché l'uomo
propone ma chi dispone è Dio, le cui vie noi
non conosciamo.
Se talvolta, per fare del bene o per essere utili ai
fratelli, si omette un abituale esercizio di
pietà, esso potrà facilmente essere
recuperato più tardi; che se, invece, quasi
senza badare, lo si tralascia per malavoglia o per
negligenza, ciò costituisce una colpa, e deve
essere sentito come una perdita.
2. Per quanto ci mettiamo tutto l'impegno possibile,
sarà facile che abbiamo a cadere ancora, in
varie occasioni. Tuttavia dobbiamo fare
continuamente qualche proponimento preciso,
specialmente in contrapposto a ciò che
maggiormente impedisce il nostro profitto
spirituale.
Cose esterne e cose interiori sono necessarie al
nostro progresso spirituale; perciò, le une
come le altre, dobbiamo esaminarle attentamente e
metterle nel giusto ordine.
Se non riesci a stare sempre concentrato in te
stesso, raccogliti di tempo in tempo, almeno una
volta al giorno, la mattina o la sera: la mattina
per fare i tuoi propositi, la sera per esaminare
come ti sei comportato, cioè come sei stato,
nelle parole, nelle opere nonché nei
pensieri, con i quali forse hai più spesso
offeso Dio e il prossimo.
Armati, come un soldato, contro le perversità
del diavolo. Tieni a freno la gola; così
terrai più facilmente a freno ogni altra
cattiva tendenza del corpo. Non stare mai senza far
nulla; sii occupato sempre, a leggere o a scrivere,
a pregare, a meditare o a fare qualche lavoro utile
per tutti.
Gli esercizi che affliggono il corpo siano compiuti
con discrezione; né tutti possono assumersene
ugualmente. Se non sono esercizi di tutta la
comunità, non devono essere palesati a tutti,
giacché ciò che è personale si
fa con maggior profitto nel segreto. Tuttavia guarda
di non essere tardo alle pratiche comunitarie;
più pronto, invece, a quelle tue proprie.
Ché, compiuto disciplinatamente e interamente
il dovere imposto, se avanza tempo, ritornerai a te
stesso, come vuole la tua devozione personale.
Non è possibile che tutti abbiano a fare il
medesimo esercizio, giacché a ciascuno giova
qualcosa di particolare. E poi si amano esercizi
diversi secondo i momenti: alcuni ci sono più
graditi nei giorni di festa, altri nei giorni
comuni. Inoltre, nel momento della tentazione e nel
momento della pacifica tranquillità, abbiamo
bisogno di esercizi ben diversi. Infine, quando
siamo nella tristezza, ci piace pensare a certe
cose; ad altre, invece, quando siamo nella letizia
del Signore.
3. Nelle feste più solenni dobbiamo rinnovare
gli esercizi di pietà ed implorare con
fervore più grande l'aiuto dei santi. I
nostri proponimenti devono andare da una ad altra
festività, come se in quel punto dovessimo
lasciare questo mondo e giungere alla festa eterna.
Per questo, nei periodi di particolare devozione,
dobbiamo prepararci con cura e mantenerci in
più grande pietà, attenendoci
più rigorosamente ai nostri doveri, quasi
stessimo per ricevere da Dio il premio delle nostre
fatiche. Che se tale premio sarà rimandato,
dobbiamo convincerci che non eravamo pienamente
preparati e che non eravamo ancora degni della
immensa gloria, che ci sarà rivelata (Rm
8,18) nel tempo stabilito; e dobbiamo fare in modo
di prepararci meglio alla morte.
«Beato quel servo - dice Luca evangelista -
che il padrone, al suo arrivo, avrà trovato
sveglio e pronto. In verità vi dico che gli
darà da amministrare tutti i suoi beni»
(Lc 12,44; cfr. Lc 12,37).
Capitolo XX
L'amore della solitudine e del silenzio
1. Cerca il tempo adatto per pensare a te e rifletti
frequentemente sui benefici che vengono da Dio.
Tralascia ogni cosa umanamente attraente; medita
argomenti che ti assicurino una compunzione di
spirito, piuttosto che un modo qualsiasi di
occuparti.
Un sufficiente spazio di tempo, adatto per dedicarti
a buone meditazioni, lo troverai rinunciando a fare
discorsi inutilmente oziosi e ad ascoltare
chiacchiere sugli avvenimenti del giorno. I
più grandi santi evitavano, per quanto
possibile, di stare con la gente e preferivano stare
appartati, al servizio di Dio.
È stato detto: ogni volta che andai tra gli
uomini ne ritornai meno uomo di prima (Seneca,
Epist., VII,3). E ne facciamo spesso esperienza,
quando stiamo a lungo a parlare con altri. Tacere
del tutto è più facile che evitare le
intemperanze del discorrere, come è
più facile stare chiuso in casa che sapersi
convenientemente controllare fuori casa.
Perciò colui che vuol giungere alla
spiritualità interiore deve, insieme con
Gesù, ritirarsi dalla gente.
Soltanto chi ama il nascondimento sta in mezzo alla
gente senza errare; soltanto chi ama il silenzio
parla senza vaneggiare; soltanto chi ama la
sottomissione eccelle senza sbagliare; soltanto chi
ama obbedire comanda senza sgarrare; soltanto colui
che è certo della sua buona coscienza
possiede gioia perfetta.
2. Però, anche nei santi, questo senso di
sicurezza ebbe fondamento nel timore di Dio. Essi
brillarono per straordinarie virtù e per
grazia, ma non per questo furono meno fervorosi e
intimamente umili. Il senso di sicurezza dei cattivi
scaturisce, invece, dalla superbia e dalla
presunzione; e, alla fine, si muta in inganno di se
stessi.
Non sperare di avere sicurezza in questo mondo,
anche se sei ritenuto buon monaco o eremita devoto;
spesso, infatti, coloro che sembravano eccellenti
agli occhi degli uomini sono stati messi nelle
più gravi difficoltà, proprio
perché avevano troppa fiducia in se stessi.
Per molte persone è meglio dunque non essere
del tutto esenti da tentazioni ed avere sovente a
lottare contro di queste, affinché non siano
troppo sicure di sé, non abbiamo per caso a
montare in superbia o addirittura a volgersi
sfrenatamente a gioie terrene.
Quale buona coscienza manterrebbe colui che non
andasse mai cercando le gioie passeggere e non si
lasciasse prendere dal mondo! Quale grande pace,
quale serenità avrebbe colui che sapesse
stroncare ogni vano pensiero, meditando soltanto
intorno a ciò che attiene a Dio e alla salute
dell'anima, e ponendo ben fissa ogni sua speranza in
Dio!
Nessuno sarà degno del gaudio celeste, se non
avrà sottoposto pazientemente se stesso al
pungolo spirituale. Ora, se tu vuoi sentire dal
profondo del cuore questo pungolo, ritirati nella
tua stanza, lasciando fuori il tumulto del mondo,
come sta scritto: pentitevi nei vostri giacigli (Sal
4,4). Quello che fuori, per lo più, vai
perdendo, lo troverai nella tua cella; la quale
diventa via via sempre più cara, mentre reca
noia soltanto a chi vi sta di mal animo. Se, fin
dall'inizio della tua venuta in convento, starai
nella tua cella, e la custodirai con buona
disposizione d'animo, essa diventerà per te
un'amica diletta e un conforto molto gradito.
3. Nel silenzio e nella quiete l'anima devota
progredisce e apprende il significato nascosto delle
Scritture; nel silenzio e nella quiete trova fiumi
di lacrime per nettarsi e purificarsi ogni notte, e
diventa tanto più intima al suo Creatore
quanto più sta lontana da ogni chiasso
mondano. Se, dunque, uno si sottrae a conoscenti e
ad amici, gli si farà vicino Iddio, con gli
angeli santi. È cosa migliore starsene
appartato a curare il proprio perfezionamento, che
fare miracoli, dimenticando se stessi.
Cosa lodevole, per colui che vive in convento, andar
fuori di rado, evitare di apparire, persino schivare
la gente. Perché mai vuoi vedere ciò
che non puoi avere? «Il mondo passa, e passano
i suoi desideri» (1 Gv 2,17). I desideri dei
sensi portano a vagare con la mente; ma, passato il
momento, che cosa ne ricavi se non un peso sulla
coscienza e una profonda dissipazione? Un'uscita
piena di gioia prepara spesso un ritorno pieno di
tristezza; una veglia piena di letizia rende
l'indomani pieno di amarezza; ogni godimento della
carne penetra con dolcezza, ma alla fine morde e
uccide.
Che cosa puoi vedere fuori del monastero, che qui tu
non veda? Ecco, qui hai il cielo e la terra e tutti
gli elementi dai quali sono tratte tutte le cose.
Che cosa altrove potrai vedere, che possa durare a
lungo sotto questo sole?
Forse credi di poterti saziare pienamente; ma a
ciò non giungerai. Ché, se anche tu
vedessi tutte le cose di questo mondo, che cosa
sarebbe questo, se non un sogno senza consistenza?
Leva i tuoi occhi in alto, a Dio, e prega per i tuoi
peccati e per le tue mancanze. Lascia le
vanità alla gente vana; e tu attendi invece a
quello che ti ha comandato Iddio. Chiudi dietro di
te la tua porta, chiama a te Gesù, il tuo
diletto, e resta con lui nella cella; ché una
sì grande pace altrove non la troverai.
Se tu non uscirai e nulla sentirai del chiasso
mondano, resterai più facilmente in una pace
perfetta. E poiché talvolta ti reca piacere
sentire cose nuove, dovrai sopportare il conseguente
turbamento dell'animo.
Capitolo XXI
La compunzione del cuore
1. Se vuoi fare qualche progresso conservati nel
timore di Dio, senza ambire a una smodata
libertà; tieni invece saldamente a freno i
tuoi sensi, senza lasciarti andare a una stolta
letizia. Abbandonati alla compunzione di cuore, e ne
ricaverai una vera devozione. La compunzione infatti
fa sbocciare molte cose buone, che, con la
leggerezza di cuore, sogliono subitamente
disperdersi. È meraviglia che uno possa
talvolta trovare piena letizia nella vita terrena,
se considera che questa costituisce un esilio e se
riflette ai tanti pericoli che la sua anima vi
incontra.
Per leggerezza di cuore e noncuranza dei nostri
difetti spesso non ci rendiamo conto dei guai della
nostra anima; anzi, spesso moltiplichiamo le parole,
quando, in verità, dovremmo piangere. Non
esiste infatti vera libertà, né santa
letizia, se non nel timore di Dio. Felice colui che
riesce a liberarsi da ogni impaccio dovuto a
dispersione spirituale, concentrando tutto se stesso
in una perfetta compunzione. Felice colui che sa
allontanare tutto ciò che può
macchiare o appesantire il suo spirito.
Tu devi combattere da uomo: l'abitudine si vince con
l'abitudine. Se impari a non curarti della gente,
questa lascerà che tu attenda tranquillamente
a te stesso. Non portare dentro di te le faccende
degli altri, non impicciarti neppure di quello che
fanno le persone più in vista; piuttosto
vigila sempre e in primo luogo su di te, e rivolgi
il tuo ammonimento particolarmente a te stesso,
prima che ad altre persone, anche care.
Non rattristarti se non ricevi il favore degli
uomini; quello che ti deve pesare, invece, è
la constatazione di non essere del tutto e
sicuramente nella via del bene, come si converrebbe
a un servo di Dio e a un monaco pieno di devozione.
2. È grandemente utile per noi, e ci
dà sicurezza di spirito, non ricevere molte
gioie in questa vita; particolarmente gioie
materiali. Comunque, è colpa nostra se non
riceviamo consolazioni divine o troppo raramente ci
sentiamo devoti; perché non cerchiamo la
compunzione del cuore e non respingiamo le vane
consolazioni che vengono dal di fuori. Riconosci di
essere indegno della consolazione divina, e
meritevole di molte sofferenze.
Quando uno è pienamente compunto in se
stesso, ogni cosa di questo mondo gli appare pesante
e amara. L'uomo retto ben trova motivo di pianto
doloroso. Sia che rifletta su di sé o che
vada pensando agli altri, egli comprende che nessuno
vive quaggiù senza afflizioni; e quanto
più severamente si giudica, tanto
maggiormente si addolora.
Sono i nostri peccati e i nostri vizi a fornire
materia di giusto dolore e di profonda compunzione;
peccati e vizi dai quali siamo così avvolti e
schiacciati che raramente riusciamo a guardare alle
cose celesti.
Se il nostro pensiero andasse frequentemente alla
morte, più che alla lunghezza della vita,
senza dubbio ci emenderemmo con maggior fervore. Di
più, se riflettessimo nel profondo del cuore
alle sofferenze future dell'inferno e del
purgatorio, accetteremmo certamente fatiche e
dolori, e non avremmo paura di un duro giudizio.
Invece queste cose non penetrano nel nostro animo;
perciò restiamo attaccati alle dolci
mollezze, restiamo freddi e assai pigri. Spesso,
infatti, è una sorta di spirituale
povertà quella che facilmente invade il
nostro misero corpo. Prega dunque umilmente il
Signore che ti dia lo spirito di compunzione; e di',
con il profeta: nutrimi, o Signore, «con il
pane delle lacrime; dammi, nelle lacrime, copiosa
bevanda» (Sal 79,6).
Capitolo XXII
La miseria dell'uomo
1. Dovunque tu sia e dovunque ti volga, sei sempre
misera cosa; a meno che tu non ti volga tutto a Dio.
Perché resti turbato quando le cose non vanno
secondo la tua volontà e il tuo desiderio?
Chi è colui che tutto ha secondo il suo
beneplacito? Non io, non tu, né alcun altro
su questa terra. Non c'è persona al mondo,
anche se è un re o un papa, che non abbia
qualche tribolazione o afflizione. E chi è
dunque che ha la parte migliore? Senza dubbio colui
che è capace di sopportare qualche male per
amore di Dio.
Dice molta gente, debole e malata nello spirito:
guarda che vita beata conduce quel tale; come
è ricco e grande, come è potente e
come è salito in alto! Ma, se poni mente ai
beni eterni, vedrai che tutte queste cose sono
passeggere, anzi qualcosa di molto insicuro e
particolarmente gravoso, giacché non si
possono avere senza preoccupazioni e paure. Per la
felicità non occorre che l'uomo possieda beni
terreni in sovrabbondanza; basta averne una modesta
quantità, giacché la vita di
quaggiù è veramente una misera cosa.
Quanto più uno desidera elevarsi
spiritualmente, tanto più la vita presente
gli appare amara, perché constata pienamente
le deficienze dovute alla corrotta natura umana.
Invero mangiare, bere, star sveglio, dormire,
riposare, lavorare e dover soggiacere alle altre
necessità che ci impone la nostra natura,
tutto ciò, in realtà, è una
miseria grande e un dolore per l'uomo religioso; il
quale amerebbe essere sciolto e libero da ogni
peccato.
In effetti l'uomo che vive interiormente si sente
schiacciato, come sotto un peso, dalle esigenze
materiali di questo mondo; ed è perciò
che il profeta prega fervorosamente di esserne
liberato, dicendo: «Signore, toglimi dalle mie
necessità» (Sal 24,17).
2. Guai a quelli che non riconoscono la propria
miseria, questa nostra vita corruttibile! Eppure
certa gente - anche se, lavorando o elemosinando,
mette insieme appena appena il necessario - vi si
abbarbica, come se potesse restare quaggiù in
eterno, senza darsi pensiero del regno di Dio.
Gente pazza, interiormente priva di fede; gente
sommersa dalle cose terrene, tanto da gustare solo
ciò che è materiale. Alla fine,
però, constateranno, con pena, quanto poco
valessero - anzi come fossero un nulla - le cose che
avevano amato.
Ben diversamente, i santi di Dio, e tutti i devoti
amici di Cristo; essi non andavano dietro ai piaceri
del corpo o a ciò che rende fiorente questa
vita mortale. La loro anelante tensione e tutta la
loro speranza erano per i beni eterni; il loro
desiderio - per non esser tratti al basso
dall'attaccamento alle cose di quaggiù - si
elevava interamente alle cose invisibili, che non
vengono meno.
O fratello, non perdere la speranza di progredire
spiritualmente; ecco, ne hai il tempo e l'ora.
Perché, dunque, vuoi rimandare a domani il
tuo proposito? Alzati, e comincia all'istante,
dicendo: è questo il momento di agire;
è questo il momento di combattere; è
questo il momento giusto per correggersi.
Quando hai dolori e tribolazioni, allora è il
momento per farti dei meriti. Giacché occorre
che tu passi attraverso il «fuoco e
l'acqua» prima di giungere nel refrigerio (Sal
65,12). E se non farai violenza a te stesso, non
vincerai i tuoi vizi.
Finché portiamo questo fragile corpo, non
possiamo essere esenti dal peccato, né vivere
senza molestie e dolori. Ben vorremmo aver tregua da
ogni miseria; ma avendo perduto, a causa del
peccato, la nostra innocenza, abbiamo perduto
quaggiù anche la vera felicità.
Perciò occorre che manteniamo in noi una
ferma pazienza, nell'attesa della misericordia
divina, «fino a che sia scomparsa
l'iniquità di questo mondo» (Sal 56,2)
e le cose mortali «siano assunte dalla vita
eterna» (2 Cor 5,4).
3. Tanto è fragile la natura umana che essa
pende sempre verso il vizio. Ti accusi oggi dei tuoi
peccati e domani commetti di nuovo proprio
ciò di cui ti sei accusato. Ti proponi oggi
di guardarti dal male, e dopo un'ora agisci come se
tu non ti fossi proposto nulla.
Ben a ragione, dunque, possiamo umiliarci; né
mai possiamo avere alcuna buona opinione di noi
stessi, perché siamo tanto deboli e
instabili. Inoltre, può andare rapidamente
perduto per negligenza ciò che a stento, con
molta fatica, avevamo alla fine raggiunto, per
grazia di Dio. E che cosa sarà di noi alla
fine, se così presto ci prende la tiepidezza?
Guai a noi, se pretendessimo di riposare
tranquillamente, come se già avessimo
raggiunto pace e sicurezza, mentre, nella nostra
vita, non si vede neppure un indizio di vera
santità.
Occorrerebbe che noi fossimo di nuovo plasmati,
quasi in un buon noviziato, a una vita
irreprensibile; in tal modo potremmo sperare di
raggiungere un certo miglioramento e di conseguire
un maggior profitto spirituale.
Capitolo XXIII
La meditazione della morte
1. Ben presto la morte sarà qui, presso di
te. Considera, del resto, la tua condizione: l'uomo
oggi c'è e domani è scomparso; e
quando è sottratto alla vista, rapidamente
esce anche dalla memoria.
Quanto grandi sono la stoltezza e la durezza di
cuore dell'uomo: egli pensa soltanto alle cose di
oggi e non piuttosto alle cose future. In ogni
azione, in ogni pensiero, dovresti comportarti come
se tu dovessi morire oggi stesso; ché, se
avrai retta la coscienza, non avrai molta paura di
morire.
Sarebbe meglio star lontano dal peccato che sfuggire
alla morte. Se oggi non sei preparato a morire, come
lo sarai domani? Il domani è una cosa non
sicura: che ne sai tu, se avrai un domani?
A che giova vivere a lungo, se correggiamo
così poco noi stessi? Purtroppo, non sempre
una vita lunga corregge i difetti; anzi spesso
accresce maggiormente le colpe. Magari potessimo
passare santamente anche una sola giornata in questo
mondo.
Molti fanno il conto degli anni trascorsi dalla loro
conversione a Dio; ma scarso è sovente il
frutto della loro emendazione. Certamente morire
è cosa che mette paura; ma forse è
più pericoloso vivere a lungo.
Beato colui che ha sempre dinanzi agli occhi l'ora
della sua morte ed è pronto ogni giorno a
morire. Se qualche volta hai visto uno morire, pensa
che anche tu dovrai passare per la stessa strada.
La mattina, fa' conto di non arrivare alla sera; e
quando poi si farà sera non osare sperare nel
domani. Sii dunque sempre pronto; e vivi in tal modo
che, in qualunque momento, la morte non ti trovi
impreparato.
2. Sono molti coloro che muoiono in un istante,
all'improvviso; giacché «il Figlio
dell'uomo verrà nell'ora in cui non si pensa
che possa venire» (Mt 24,44; Lc 12,40). Quando
sarà giunto quel momento estremo, comincerai
a giudicare ben diversamente tutta la tua vita
passata, e molto ti dorrai di esser stato tanto
negligente e tanto fiacco.
Quanto è saggio e prudente l'uomo che,
durante la vita, si sforza di essere quale desidera
esser trovato al momento della morte! Ora, una piena
fiducia di morire santamente la daranno il completo
disprezzo del mondo, l'ardente desiderio di
progredire nelle virtù, l'amore del
sacrificio, il fervore nella penitenza, la prontezza
nell'obbedienza, la rinuncia a se stesso e il saper
sopportare ogni avversità per amore di
Cristo.
Mentre sei in buona salute, molto puoi lavorare nel
bene; non so, invece, che cosa potrai fare quando
sarai ammalato. Giacché sono pochi quelli
che, per il fatto di essere malati, si emendano;
così come sono pochi quelli che, per il fatto
di andare frequentemente in pellegrinaggio,
diventano più santi.
Non credere di poter rimandare a un tempo futuro la
tua salvezza, facendo affidamento sui suffragi degli
amici e dei parenti; tutti costoro ti
dimenticheranno più presto di quanto tu non
creda. Perciò, più che sperare
nell'aiuto di altri, è bene provvedere ora,
fin che si è in tempo, mettendo avanti un po'
di bene. Ché, se non ti prendi cura di te
stesso ora, chi poi si prenderà cura di te?
Questo è il tempo veramente prezioso; ma,
ahimé, tu spendi inutilmente questo tempo con
il quale puoi meritarti la vita eterna. Verrà
il momento nel quale chiederai almeno un giorno o
un'ora per emendarti; e non so se l'otterrai. Ecco,
dunque, mio caro, di quale pericolo ti potrai
liberare, a quale pericolo ti potrai sottrarre, se
sarai stato sempre nel timore di Dio, in vista della
morte.
Procura di vivere ora in modo tale che, nell'ora
della morte, tu possa avere letizia, anziché
paura; impara ora a morire al mondo, affinché
tu cominci allora a vivere con Cristo; impara ora a
disprezzare ogni cosa, affinché tu possa
allora andare liberamente a Cristo; mortifica ora il
tuo corpo con la penitenza, affinché tu possa
allora essere pieno di fiducia.
3. Stolto, perché vai pensando di vivere a
lungo, mentre non sei sicuro di avere neppure una
giornata?
Quante persone sono state ingannate,
inaspettatamente tolte a questa vita! Quante volte
hai sentito dire che uno è morto di ferite e
un altro è annegato; che uno, cadendo
dall'alto, si è rotto la testa; che uno si
è soffocato mentre mangiava e un altro
è morto mentre stava giocando? Chi muore per
fuoco, chi per spada; chi per una pestilenza, chi
per un assalto dei predoni. Insomma, comune destino
è la morte; e passa rapidamente come un'ombra
la vita umana.
Chi si ricorderà di te, dopo che sarai
scomparso, e chi pregherà per te? Fai, o mio
caro, fai ora tutto quello che sei in grado di fare,
perché non conosci il giorno della tua morte;
né sai che cosa sarà di te dopo.
Accumula, ora, ricchezze eterne, mentre sei in
tempo. Non pensare a nient'altro che alla tua
salvezza; preoccupati soltanto delle cose di Dio.
Fatti ora degli amici, venerando i santi di Dio e
imitando le loro azioni, «affinché ti
ricevano nei luoghi eterni, quando avrai lasciato
questa vita» (Lc 16,9).
Mantienti, su questa terra, come uno che è di
passaggio; come un ospite, che nulla ha che fare con
le faccende di questo mondo. Mantieni libero il tuo
cuore, e rivolto al cielo, perché non hai
stabile dimora quaggiù (Eb 13,14). Al cielo
rivolgi continue preghiere e sospiri e lacrime,
affinché, dopo la morte, la tua anima sia
degna di passare felicemente al Signore. Amen.
Capitolo XXIV
Il giudizio divino e le pene dei peccatori
1. In ogni cosa tieni l'occhio fisso al termine
finale; tieni l'occhio, cioè, a come
comparirai dinanzi al giudice supremo; al giudice
che vede tutto, non si lascia placare con doni, non
accetta scuse, e giudica secondo giustizia (cfr. Is
11,4).
Oh!, sciagurato e stolto, come potrai rispondere a
Dio, il quale conosce tutto il male che hai fatto?
tu che tremi talvolta alla vista del solo volto
adirato di un uomo? Perché non pensi a quel
che avverrà di te nel giorno del giudizio,
quando nessuno potrà essere scagionato e
difeso da altri, e ciascuno per se stesso
porterà sulle spalle il proprio peso?
È adesso che la tua fatica è
producente; è adesso che il tuo pianto e il
tuo sospiro possono piacere a Dio ed essere
esauditi; è adesso che il tuo dolore
può ripagare il male compiuto e renderti
puro.
2. Un grande e salutare purgatorio l'ha colui che sa
sopportare. Questi, ricevendo ingiustizie, si
dispiace della cattiveria altrui, più che del
male patito; è pronto a pregare per quelli
che lo contrastano e perdona di cuore le loro colpe;
non esita a chiedere perdono agli altri; è
più incline ad aver compassione che ad
adirarsi; fa violenza sovente a se stesso e si
sforza di sottoporre interamente la carne allo
spirito.
Stroncare ora i vizi e purgarsi ora dai peccati
è miglior cosa che lasciarli da purgare in
futuro. Invero noi facciamo inganno a noi stessi
amando le cose carnali, contro l'ordine stabilito da
Dio. Che altro divorerà, quel fuoco, se non i
tuoi peccati? Perciò, quanto più
indulgi a te stesso quaggiù, seguendo la
carne, tanto più duramente pagherai poi,
preparando fin d'ora materiale più abbondante
per quelle fiamme.
Ciascuno sarà più gravemente punito in
ciò in cui ebbe a peccare. Colà i
pigri saranno incalzati da pungoli infuocati; e i
golosi saranno tormentati da grande sete e fame.
Colà sui lussuriosi e sugli amanti dei
piaceri saranno versati in abbondanza pece ardente e
zolfo fetido; e gli invidiosi, per il gran dolore,
daranno in ululati, quali cani rabbiosi. Non ci
sarà vizio che non abbia il suo speciale
tormento. Colà i superbi saranno pieni di
ogni smarrimento; e gli avari saranno oppressi da
gravissima miseria.
Un'ora trascorsa colà, nella pena,
sarà più grave di cento anni passati
qui in durissima penitenza. Nessuna tregua,
colà, nessun conforto per i dannati; mentre
quaggiù talora ci si stacca dalla fatica e si
gode del sollievo degli amici.
3. Devi darti da fare adesso, e piangere i tuoi
peccati, per poter essere sicuro, accanto ai beati,
nel giorno del giudizio.
In quel giorno, infatti, i giusti staranno in piena
tranquillità in faccia a coloro che li
oppressero (Sap 5,1) e li calpestarono. Starà
come giudice colui che ora si sottomette umilmente
al giudizio degli uomini.
In quel giorno, grande speranza avranno il povero e
l'umile, e sarà pieno di paura il superbo;
apparirà che è stato saggio in questo
mondo colui che ha saputo essere stolto e
disprezzato per amore di Cristo.
In quel giorno sarà cara ogni tribolazione
che sia stata sofferta pazientemente, e «ogni
iniquità chiuderà la sua bocca»
(Sal 106,42); l'uomo pio sarà nella gioia,
mentre sarà nel dolore chi è vissuto
senza fede.
In quel giorno il corpo tribolato godrà
più che se fosse stato nutrito di delizie;
risplenderà la veste grossolana e quella fine
sarà oscurata; una miserabile dimora
sarà più ammirata che un palazzo
dorato.
In quel giorno una pazienza, che non sia venuta mai
meno, gioverà più che tutta la potenza
della terra; la schietta obbedienza sarà
glorificata più che tutta l'astuzia del
mondo.
In quel giorno la pura e retta coscienza darà
più gioia che la erudita dottrina; il
disprezzo delle ricchezze varrà di più
che i tesori di tutti gli uomini.
In quel giorno avrai maggior gioia da una fervente
preghiera che da un pranzo prelibato; trarrai
più gioia dal silenzio mantenuto, che da un
lungo parlare.
In quel giorno le opere buone varranno di più
che le molte belle parole; una vita rigorosa e una
dura penitenza ti saranno più care di ogni
piacere di questa terra.
4. Impara a patire un poco adesso, affinché
allora tu possa essere liberato da patimenti
maggiori. Prova te stesso prima, quaggiù, per
sapere di che cosa sarai capace allora. Se adesso
sai così poco patire, come potrai sopportare
i tormenti eterni? Se adesso un piccolo patimento ti
rende così incapace di sopportazione, come ti
renderà la geenna?
Ecco, in verità, non le puoi avere tutte e
due, queste gioie: godere in questa vita e poi
regnare con Cristo. Che ti gioverebbe se, fino ad
oggi, tu fossi sempre vissuto tra gli onori e i
piaceri, e ora ti accadesse di morire
improvvisamente?
Tutto, dunque, è vanità,
fuorché amare Iddio e servire a Lui solo. E
perciò, colui che ama Dio con tutto il suo
cuore non ha paura né della morte, né
della condanna, né del giudizio, né
dell'inferno. Un amore perfetto porta con tutta
sicurezza a Dio; chi invece continua ad amare il
peccato ha paura - e ciò non fa meraviglia -
della morte e del giudizio.
Se poi non hai ancora amore bastante per star
lontano dal male, è bene che almeno la paura
dell'inferno ti trattenga; in effetti, chi non tiene
nel giusto conto il timore di Dio non
riuscirà a mantenersi a lungo nella via del
bene, ma cadrà ben presto nei lacci del
diavolo.
Capitolo XXV
Correggere fervorosamente tutta la nostra vita
1. Che tu sia attento e preciso, nel servire Iddio;
ripensa frequentemente alla ragione per la quale sei
venuto qui, lasciando il mondo. Non è stato
forse per vivere in Dio e farti tutto spirito? Che
tu sia, dunque, fervoroso, giacché in breve
tempo sarai ripagato dei tuoi sforzi; né
avrai più, sul tuo orizzonte, alcun timore e
dolore.
Faticherai qui per un poco, e poi troverai una
grande pace, anzi, una gioia perpetua. Se sarai
costante nella fede e fervoroso nelle opere, Dio,
senza dubbio, sarà giusto e generoso nella
ricompensa. Che tu mantenga la santa speranza di
giungere alla vittoria, anche se non è bene
che tu ne abbia alcuna sicurezza, per non cadere in
stato di torpore o di presunzione.
Una volta, un tale, dibattuto interiormente tra il
timore e la speranza, sfinito dal dolore, si
prostrò in chiesa davanti a un altare dicendo
tra sé: «Oh! se sapessi di poter
perseverare!». E subito, di dentro, udì
una risposta, che veniva da Dio:
«Perché, se tu sapessi di poter
perseverare, che cosa vorresti fare? Fallo adesso
quello che vorresti fare, e sarai del tutto
tranquillo». Allora, rasserenato e confortato,
egli si affidò alla volontà di Dio e
cessò in lui quella angosciosa incertezza;
egli non volle più cercar di sapere quel che
sarebbe stato di lui in futuro, e si diede piuttosto
a cercare «quale fosse la volontà del
Signore: volontà di bene e di
perfezione» (Rm 12,2) per intraprendere e
portare a compimento ogni opera buona.
Dice il profeta: «Spera nel Signore e fai il
bene; abita la terra e nutriti delle sue
ricchezze» (Sal 36,3).
2. Una sola cosa è quella che distoglie molta
gente dal progresso spirituale e dal fervoroso
sforzo di correzione: lo sgomento di fronte agli
ostacoli e l'asprezza di questa lotta. Invero
avanzano nelle virtù coloro che si sforzano
di superare virilmente ciò che è per
essi più gravoso, e che più li
contrasta; giacché proprio là dove
più si vince se stessi, mortificandosi nello
spirito, più si guadagna, e maggior grazia si
ottiene.
Certo che non tutti gli uomini hanno pari sforzo da
compiere per vincere se stessi e per mortificarsi.
Tuttavia, uno che abbia tenacia e buon volere, anche
se le sue passioni sono più violente,
riuscirà a progredire più di un altro,
pur buono, ma meno fervoroso nel tendere verso le
virtù.
Due cose giovano particolarmente al raggiungimento
di una totale emendazione: il fare violenza a se
stessi, distogliendosi dal male, a cui ciascuno
è portato per natura; e il chiedere
insistentemente il bene spirituale di cui ciascuno
ha maggiormente bisogno.
Inoltre tu devi fare in modo di evitare soprattutto
ciò che più spesso trovi brutto in
altri. Da ogni parte devi saper trarre motivo di
profitto spirituale. Così, se ti capita di
vedere o di ascoltare dei buoni esempi, devi ardere
dal desiderio di imitarli; se, invece, ti pare che
qualcosa sia degno di riprovazione, devi guardarti
dal fare altrettanto; se talvolta l'hai fatto,
procura di emendarti.
Come il tuo occhio giudica gli altri, così, a
tua volta, sarai giudicato tu dagli altri.
Quale gioia e quale dolcezza vedere dei frati pieni
di fervore e di devozione, santi nella vita
interiore e nella loro condotta; quale tristezza,
invece, e quale dolore, vedere certi frati, che
vanno di qua e di là, disordinatamente,
tralasciando di praticare proprio ciò a cui
sono stati chiamati! Gran danno procura questo
dimenticarsi delle promesse della propria vocazione,
volgendo i desideri a cose diverse da quelle che ci
vengono ordinate.
3. Ricordati della decisione che hai presa, e poni
dinanzi ai tuoi occhi la figura del crocifisso.
Riflettendo alla vita di Gesù Cristo, avrai
veramente di che vergognarti, ché non hai
ancora cercato di farti più simile a lui, pur
essendo stato per molto tempo nella via di Dio.
Il monaco, che si addestra con intensa devozione
sulla vita santissima e sulla passione del Signore,
vi troverà in abbondanza tutto ciò che
gli può essere utile e necessario; e non
dovrà cercare nulla di meglio, fuor di
Gesù. Oh, come saremmo d'un colpo pienamente
addottrinati se avessimo nel nostro cuore
Gesù crocefisso!
Il monaco pieno di fervore sopporta ogni cosa
santamente e accetta ciò che gli viene
imposto; invece quello negligente e tiepido trova
una tribolazione sull'altra ed è angustiato
per ogni verso, perché gli manca la
consolazione interiore, e quella esterna gli viene
preclusa.
Il monaco che vive fuori della regola va incontro a
completa rovina. Infatti chi tende ad una condizione
piuttosto libera ed esente da disciplina sarà
sempre angustiato, poiché ora non gli
andrà una cosa, ora un'altra.
Come fanno gli altri monaci, così numerosi,
che vivono ben disciplinati dalla regola del
convento? Escono di rado e vivono liberi da ogni
cosa; mangiano assai poveramente e vestono panni
grossolani; lavorano molto e parlano poco; vegliano
fino a tarda ora e si alzano per tempo; pregano a
lungo, leggono spesso e si comportano strettamente
secondo la regola.
Guarda i Certosini, i Cistercensi, e i monaci e le
monache di altri Ordini, come si alzano tutte le
notti per cantare le lodi di Dio. Ora, sarebbe
vergognoso che, in una cosa tanto meritoria, tu ti
lasciassi prendere dal sonno e dalla pigrizia,
mentre un grandissimo numero di monaci comincia i
suoi canti di gioia, in unione con Dio.
Oh!, se noi non avessimo altro da fare che lodare il
Signore, nostro Dio, con tutto il cuore e con tutta
la nostra voce. Oh!, se tu non avessi mai bisogno di
mangiare, di bere, di dormire; e tu potessi, invece,
lodare di continuo il Signore, e occuparti soltanto
delle cose dello spirito. Allora saresti molto
più felice di adesso, che sei al servizio del
tuo corpo per varie necessità. E volesse il
Cielo che non ci fossero queste necessità, e
ci fossero soltanto i pasti spirituali dell'anima,
che purtroppo gustiamo ben di rado.
4. Quando uno sarà giunto a non cercare il
proprio conforto in alcuna creatura, allora egli
comincerà a gustare perfettamente Dio; allora
accetterà di buon grado ogni cosa che possa
succedere; allora non si rallegrerà, o
rattristerà, per il molto o il poco che
possieda. Si rimetterà del tutto e con piena
fiducia in Dio: in Dio, che per lui sarà
tutto, in ogni circostanza; in Dio, agli occhi del
quale nulla muore o va interamente perduto; in Dio,
per il quale ogni cosa vive, servendo senza
esitazione al suo comando.
Abbi sempre presente che tutto finisce e che il
tempo perduto non ritorna.
Non giungerai a possedere forza spirituale, se non
avrai sollecitudine e diligenza. Se comincerai ad
avere una certa tiepidezza, subito comincerai ad
essere spiritualmente malato. Se invece ti darai
tutto al fervore, troverai una grande pace e
sentirai più lieve la fatica, per la grazia
di Dio e per la forza dell'amore. Tutto può
l'uomo fervido e diligente.
Impresa più grande delle sudate fatiche
corporali è quella di vincere i vizi e di
resistere alle passioni. E colui che non sa evitare
le piccole mancanze cade, a poco a poco, in mancanze
maggiori.
Sarai sempre felice, la sera, se avrai spesa la
giornata fruttuosamente.
Vigila su te stesso, scuoti e ammonisci te stesso;
checché facciano gli altri, non dimenticare
te stesso. Il tuo progresso spirituale sarà
pari alla violenza che avrai fatto a te stesso.
Amen.
ESORTAZIONI SULLA
VITA INTERIORE
Capitolo I
Il raccoglimento interiore
1. «Il regno di Dio è dentro di
voi» (Lc 17,21), dice il Signore.
Volgiti a Dio con tutto il tuo cuore, lasciando
questo misero mondo, e l'anima tua troverà
pace. Impara a disprezzare ciò che sta fuori
di te, dandoti a ciò che è interiore,
e vedrai venire in te il regno di Dio. Esso
è, appunto, «pace e letizia nello
Spirito Santo» (Rm 14,17); e non è
concesso ai malvagi.
Se gli avrai preparato, dentro di te, una degna
dimora, Cristo verrà a te e ti offrirà
il suo conforto. Infatti ogni lode e ogni onore, che
gli si possa fare, viene dall'intimo (cfr. Sal
44,14); e qui sta il suo compiacimento.
Per chi ha spirito di interiorità è
frequente la visita di Cristo; e, con essa, un dolce
discorrere, una gradita consolazione, una grande
pace e una familiarità straordinariamente
bella. Via, anima fedele, prepara il tuo cuore a
questo sposo, cosicché si degni di venire
presso di te e di prendere dimora in te. Egli dice
infatti: «Se uno mi ama, osserverà la
mia parola, e verremo a lui e abiteremo presso di
lui» (Gv 14,23). Accogli, dunque, Cristo e non
far entrare in te nessun'altra cosa.
Se avrai Cristo sarai ricco, sarai pienamente
appagato. Sarà lui a provvedere e ad agire
fedelmente per te. Così non dovrai affidarti
agli uomini. Questi mutano in un momento e vengono
meno rapidamente, mentre Cristo «resta in
eterno» (Gv 12,34) e sta fedelmente accanto a
noi, sino alla fine.
Non dobbiamo fare molto conto sull'uomo, debole e
mortale, anche se si tratta di persona che ci
è preziosa e cara; né dobbiamo troppo
rattristarci se talvolta ci combatte e ci contrasta.
Quelli che oggi sono con te, domani si possono
mettere contro di te; spesso si voltano come il
vento.
2. Riponi interamente la tua fiducia in Dio, e sia
lui il tuo timore e il tuo amore. Risponderà
lui per te, e opererà per il bene, nel modo
migliore.
Non hai stabile dimora quaggiù (cfr. Eb
13,14); dovunque tu abbia a trovarti, sei un
forestiero e un pellegrino, né mai avrai pace
se non sarai strettamente unito a Cristo.
Perché ti guardi tutto attorno
quaggiù, se non è questo il luogo
della tua pace? La tua dimora deve essere tra le
cose celesti; e tutto devi guardare come di
passaggio.
Passano tutte le cose, e con esse anche tu; vedi di
non invischiarti, per evitare di essere catturato e
di perire.
Sia il tuo pensiero sempre presso l'Altissimo; e la
tua preghiera si diriga, senza sosta, a Cristo. Che
se non riesci a meditare le profonde realtà
celesti, cerca rifugio nella passione di Cristo e
prendi lieta dimora nelle sue sante ferite. Se ti
sarai rifugiato, con animo devoto, nelle ferite e
nelle piaghe preziose di Gesù, sentirai un
gran conforto nella tribolazione e non farai molto
caso del disprezzo degli uomini, sopportando con
facilità quanto si dice contro di te.
Anche Cristo fu disprezzato dagli uomini in questo
mondo e, nel momento in cui ne aveva maggior
bisogno, fu abbandonato, tra sofferenze disonoranti,
da quelli che lo conoscevano e gli erano amici.
Cristo volle soffrire ed essere disprezzato; e tu
osi lamentarti di qualcuno? Cristo ebbe avversari e
oppositori; e tu vuoi che tutti ti siano amici e ti
facciano del bene? Come potrà essere premiata
la tua capacità di soffrire se non avrai
incontrato alcuna avversità? Se non vuoi
sopportare nulla che ti si opponga, in che modo
potrai essere amico di Cristo?
Se vuoi regnare con Cristo, sorreggiti in Cristo e
per mezzo di Cristo. Che se una sola volta tu
riuscissi ad entrare perfettamente nell'intimo di
Gesù, gustando un poco dell'ardente suo
amore, non ti preoccuperesti per nulla di ciò
che ti piace o non ti piace; troveresti gioia,
invece, nelle offese che ti si fanno. Giacché
l'amore per Gesù ci porta a disprezzare noi
stessi.
3. L'uomo che ama Gesù, l'uomo veramente
interiore e libero da desideri contrari alla suprema
volontà, può volgersi a Dio senza
impacci e innalzarsi in ispirito sopra se stesso,
ricavandone una pace ricca di frutto.
Veramente saggio, e dotto di una dottrina impartita
da Dio più che dagli uomini, è colui
che stima tutte le cose per quello che sono, non per
quello che se ne dice nei giudizi umani.
Se uno sa procedere secondo la guida interiore,
dando poca importanza alle cose esteriori, non si
perde nel ricercare il luogo adatto o nell'attendere
il tempo opportuno per dedicarsi ad esercizi di
devozione. Se uno ha spirito di interiorità,
subito si raccoglie in se stesso, giacché non
si disperde mai del tutto nelle cose esterne. Per
lui non è un ostacolo un lavoro che gli venga
imposto, né una occupazione che, in quel
momento, appaia doverosa; giacché egli sa
adattarsi alle situazioni, così come esse si
presentano.
Colui che è intimamente aperto, e rivolto al
bene, non bada alle azioni meravigliose o strane
degli uomini; infatti quanto più uno attira a
sé le cose esteriori, tanto più resta
legato e distratto da se medesimo.
Se tutto fosse a posto in te, e tu fossi veramente
puro, ogni cosa accadrebbe per il tuo bene e per il
tuo vantaggio; che se molte cose spesso ti sono
causa di disagio o di turbamento, è proprio
perché non sei ancora perfettamente morto a
te stesso e distaccato da tutto ciò che
è terreno. Nulla insozza e inceppa il cuore
umano quanto un amore non ancora purificato, volto
alle cose di questo mondo; se invece tu rinunci a
cercare gioia in ciò che sta fuori di te,
potrai contemplare le realtà celesti e godere
frequentemente di gioia interiore.
Capitolo II
L'umile sottomissione
1. Non fare gran conto di chi ti sia favorevole o
contrario; piuttosto preoccupati assai che, in ogni
cosa che tu faccia, Dio sia con te. Abbi retta
coscienza; Dio sicuramente ti difenderà. Non
ci sarà cattiveria che possa nuocere a colui
che Dio vorrà aiutare.
Se tu saprai tacere e sopportare, constaterai senza
dubbio l'aiuto del Signore. È lui che conosce
il tempo e il modo di sollevarti; a lui
perciò devi rimetterti: a lui che può
soccorrerci e liberarci da ogni smarrimento.
2. Perché ci possiamo mantenere in una
più grande umiltà, è sovente
assai utile che altri conosca i nostri difetti e che
ce li rimproveri. Quando uno si umilia per i propri
difetti facilmente fa tacere gli altri e acquieta
senza difficoltà coloro che si sono adirati
contro di lui.
All'umile Dio dona protezione ed aiuto; all'umile
Dio dona il suo amore e il suo conforto; verso
l'umile Dio si china; all'umile largisce tanta
grazia, innalzandolo alla gloria, perché si
è fatto piccolo; all'umile Dio rivela i suoi
segreti, invitandolo e traendolo a sé con
dolcezza.
L'umile, fatto oggetto di contumelia e confusione,
si sente pienamente in pace, avendo egli la sua
dimora in Dio, e non nel mondo. Non credere di aver
fatto alcun progresso spirituale, se non ti senti
inferiore ad ogni altro.
Capitolo III
Chi è colui che ama il bene e la pace
1. Se, in un primo luogo, manterrai te stesso nella
pace, potrai dare pace agli altri; ché l'uomo
di pace è più utile dell'uomo di molta
dottrina.
Colui che è turbato dalla passione trasforma
anche il bene in male, pronto com'è a vedere
il male dappertutto; mentre colui che ama il bene e
la pace trasforma ogni cosa in bene.
Chi è pienamente nella pace non sospetta di
alcuno. Invece chi è inquieto e turbato sta
sempre in agitazione per vari sospetti. Non è
tranquillo lui, né permette agli altri di
esserlo; dice sovente cose che non dovrebbe dire e
tralascia cose che più gli converrebbe di
fare; sta attento a ciò che dovrebbero fare
gli altri, e trascura ciò a cui sarebbe
tenuto lui stesso.
Sii dunque zelante, innanzi tutto, con te stesso;
solo così potrai essere giustamente zelante
con il tuo prossimo. Tu sei molto abile nel trovare
giustificazioni per quello che fai e nel tollerarlo,
mentre rifiuti di accettare le giustificazioni negli
altri. Sarebbe invece più giusto che tu
accusassi te stesso e scusassi il tuo fratello.
Se vuoi essere sopportato, sopporta gli altri anche
tu.
2. Vedi quanto sei ancora lontano dal vero amore e
dalla umiltà di chi non sa adirarsi e
indignarsi con alcuno, fuor che con se stesso.
Non è grande merito stare con persone buone e
miti; è cosa, questa, che fa naturalmente
piacere a tutti, giacché amiamo di più
quelli che ci danno ragione e preferiamo vivere in
pace con loro. È invece non piccola grazia, e
lodevole comportamento, degno di un uomo, riuscire a
vivere in pace con le persone dure e cattive, che si
comportano senza correttezza e non hanno
condiscendenza verso di noi.
Ci sono alcuni che stanno, essi, nella pace e
mantengono pace anche con gli altri. Ci sono invece
alcuni che non stanno in pace essi, né
lasciano pace agli altri: pesanti con il prossimo, e
ancor più con se stessi. Ci sono poi alcuni
che stanno essi nella pace e si preoccupano di
condurre alla pace gli altri.
La verità è che la vera pace, in
questa nostra misera vita, la dobbiamo far
consistere nel saper sopportare con umiltà,
piuttosto che nel non avere contrarietà.
Colui che saprà meglio sopportare,
conseguirà una pace più grande.
Vittorioso su se stesso e padrone del mondo, questi
è l'amico di Cristo e l'erede del cielo.
Capitolo IV
La libertà di spirito e la semplicità
di intenzione
1. Due sono le ali che permettono all'uomo di
sollevarsi al di sopra delle cose terrene, la
semplicità e la libertà di spirito: la
semplicità, necessaria nella intenzione; la
libertà, necessaria negli affetti. La
semplicità tende a Dio; la libertà
raggiunge e gode Dio.
Nessuna buona azione ti sarà difficile se
sarai interiormente libero da ogni affetto
disordinato. E godrai pienamente di questa interiore
libertà se mirerai soltanto alla
volontà di Dio e se cercherai soltanto
l'utilità del prossimo.
Se il tuo cuore fosse retto, ogni cosa creata
sarebbe per te specchio di vita e libro di santa
dottrina. Giacché non v'è creatura
così piccola e di così poco valore che
non rappresenti la bontà di Dio. Se tu fossi
interiormente buono e puro, vedresti ogni cosa senza
velame e la comprenderesti pienamente: è
infatti il cuore puro che penetra il cielo e
l'inferno.
2. Come uno è di dentro, così giudica
di fuori.
Chi è puro di cuore è tutto preso
dalla gioia, per quanta gioia è nel mondo. Se
invece, da qualche parte, ci sono tribolazioni ed
angustie, queste le avverte di più chi ha il
cuore perverso.
Come il ferro messo nel fuoco, lasciando cadere la
ruggine, si fa tutto splendente, così colui
che si dà totalmente a Dio si spoglia del suo
torpore e si muta in un uomo nuovo.
Quando uno comincia ad essere tiepido spiritualmente
teme anche il più piccolo travaglio e
accoglie volentieri ogni conforto che gli venga dal
di fuori. All'incontro, quando uno comincia a
vincere pienamente se stesso e a camminare veramente
da uomo nella via del Signore, allora fa meno conto
di quelle cose che prima gli sembravano gravose.
Capitolo V
L'attento esame di se stessi
1. Non possiamo fare troppo affidamento su noi
stessi, perché spesso ci manca la grazia e la
capacità di sentire rettamente. Scarsa
è la luce che è in noi, e subitamente
la perdiamo per la nostra negligenza. Spesso poi non
ci accorgiamo neppure di essere così ciechi
interiormente: facciamo il male e, cosa ancora
peggiore, ci andiamo scusando. Talora siamo mossi
dalla passione e la prendiamo per zelo;
rimproveriamo negli altri piccole cose e passiamo
sopra a quelle più grosse, commesse da noi.
Avvertiamo con prontezza e pesiamo ben bene
ciò che gli altri ci fanno soffrire, ma non
ci accorgiamo di quanto gli altri soffrono per causa
nostra.
Chi riflettesse bene e a fondo su se stesso, non
giudicherebbe severamente gli altri. L'uomo
interiore, prima di occuparsi di altre cose, guarda
dentro di sé; e, intento diligentemente a se
stesso, è portato a tacere degli altri.
Solamente se starai zitto sugli altri, guardando
specialmente a te stesso, giungerai a una vera e
devota interiorità.
2. Se sarai tutto intento a te stesso e a Dio, ben
poco ti scuoterà quello che sentirai dal di
fuori.
Sei forse da qualche parte, quando non sei presente
in te? E se, dimenticando te stesso, tu avessi anche
percorso il mondo intero, che giovamento ne avresti
ricavato? Se vuoi avere pace e spirituale
solidità, devi lasciar andare ogni cosa e
avere dinanzi agli occhi solamente te stesso.
Grande sarà il tuo progresso se riuscirai a
mantenerti libero da ogni preoccupazione terrena; se
invece apprezzerai in qualche modo una qualsiasi
cosa temporale, farai un gran passo indietro.
Nulla per te sia grande, nulla eccelso, nulla
gradito e caro, se non solamente Iddio, oppure cosa
che venga da Dio. Considera vano ogni conforto che
ti venga da qualsiasi creatura. L'anima che ama Dio
disprezza tutto ciò che sia inferiore a Dio.
Conforto dell'anima e vera letizia del cuore
è soltanto Dio, l'eterno, l'incommensurabile,
colui che riempie di sé l'universo.
Capitolo VI
La gioia di una coscienza retta
1. Giusto vanto dell'uomo retto è la
testimonianza della buona coscienza. Se sarai certo,
in coscienza, di aver agito rettamente, sarai sempre
nella gioia.
La buona coscienza permette di sopportare tante cose
ed è piena di letizia, anche nelle
avversità. Al contrario, se sentirai in
coscienza di aver fatto del male, sarai sempre
timoroso ed inquieto.
Dolce riposo sarà il tuo, se il cuore non
avrà nulla da rimproverarti. Non rallegrarti
se non quando avrai fatto del bene. I cattivi non
godono mai di una vera letizia e non sentono mai la
pace dell'anima, giacché «non
c'è pace per gli empi», dice il Signore
(Is 48,22; 57,21). E se la gente dice: «siamo
in pace, non ci accadrà alcun male (Mic
3,11), chi mai oserà farci del male?»,
non creder loro; ché improvvisa si
leverà la collera di Dio, «e quello che
hanno fatto andrà in fumo, e i loro piani
svaniranno» (Sal 145,4).
Per colui che ama Iddio, non è difficile
trovare la propria gloria nella sofferenza,
poiché ciò significa trovarla nella
croce del Signore.
La gloria data o ricevuta dagli uomini dura poco; e
una certa tristezza le si accompagna sempre. Invece
la gloria dei giusti viene dalla loro coscienza, non
dalle parole della gente; la loro letizia viene da
Dio ed è in Dio; la loro gioia viene dalla
verità.
Colui che aspira alla gloria vera ed eterna non si
preoccupa di quella temporale; invece colui che
cerca questa gloria caduca, anziché
disprezzarla dal profondo dell'animo, evidentemente
ama di meno la gloria celeste.
Grande serenità di spirito possiede colui che
non bada alle lodi né ai rimproveri della
gente; giacché, se ha la coscienza pulita, si
sentirà facilmente contento e tranquillo.
2. Tu non sei maggiormente santo se ricevi delle
lodi, né maggiormente cattivo se ricevi dei
rimproveri; sei quello che sei, e non puoi essere
ritenuto più grande di quanto tu non sia agli
occhi di Dio.
Se fai attenzione a quello che tu sei in te stesso,
interiormente, non baderai a ciò che possano
dire di te gli uomini. L'uomo vede in superficie,
Dio invece vede nel cuore; l'uomo guarda alle azioni
esterne, Dio invece giudica le intenzioni.
Agire bene, sempre, e avere poca stima di se
medesimi, è segno di umiltà di
spirito; non cercare conforto da alcuna creatura
è segno di grande libertà e di fiducia
interiore.
Chi non cerca per sé alcuna testimonianza dal
di fuori, evidentemente si abbandona del tutto a
Dio. Infatti, come dice S. Paolo, «non riceve
il premio colui che si loda da sé, ma colui
che è lodato da Dio» (2 Cor 10,18).
Procedere tenendo Dio nel cuore, e non esser stretto
da alcun legame che venga di fuori, ecco la
condizione dell'uomo spirituale.
Capitolo VII
L'amore di Gesù sopra ogni cosa
1. Beato colui che comprende che cosa voglia dire
amare Gesù e disprezzare se stesso per
Gesù.
Si deve lasciare ogni persona amata, per colui che
merita tutto il nostro amore: Gesù esige di
essere amato, lui solo, sopra ogni cosa.
Ingannevole e incostante è l'amore della
creatura; fedele e durevole è l'amore di
Gesù. Chi s'attacca alla creatura
cadrà con la creatura, che facilmente viene
meno; chi abbraccia Gesù troverà
saldezza per sempre.
Ama e tienti amico colui che, quando tutti se ne
andranno, non ti abbandonerà, né
permetterà che, alla fine, tu abbia a perire.
Che tu lo voglia oppur no, dovrai un giorno
separarti da tutti; tienti dunque stretto, in vita e
in morte, a Gesù, e affidati alla
fedeltà di lui, che solo ti potrà
aiutare allorché gli altri ti verranno meno.
2. Per sua natura, Gesù, tuo amore, è
tale da non permettere che tu ami altra cosa; egli
vuole possedere da solo il tuo cuore, e starvi come
un re sul suo trono. Di buon grado Gesù
starà presso di te, se tu saprai liberarti
perfettamente da ogni creatura.
Qualunque fiducia tu abbia posto negli uomini,
escludendo Gesù, ti risulterà quasi
del tutto buttata via. Non affidarti o appoggiarti
ad una canna che si piega al vento, perché
«ogni carne è come fieno e ogni suo
splendore cadrà come il fiore del
fieno» (1 Pt 1,24).
Se guarderai soltanto alle esterne apparenze umane,
sarai tosto ingannato. E se cercherai consolazione e
profitto negli altri, ne sentirai molto spesso un
danno.
Se cercherai in ogni cosa Gesù, troverai
certamente Gesù. Se invece cercherai te
stesso, troverai ancora te stesso, ma con tua
rovina. Infatti, se non cerca Gesù, l'uomo
nuoce a se stesso, più che non possano
nuocergli i suoi nemici e il mondo intero.
Capitolo VIII
L'intima amicizia con Gesù
1. Quando è presente Gesù, tutto
è per il bene, e nulla pare difficile.
Invece, quando Gesù non è presente,
tutto è difficile. Quando Gesù non
parla nell'intimo, ogni consolazione vale assai
poco. Invece, se Gesù dice anche soltanto una
parola, sentiamo una grande consolazione.
Forse che Maria Maddalena non balzò
subitamente dal luogo in cui stava in pianto, quando
Marta le disse: «C'è qui il maestro, ti
chiama»? (Gv 11,28). Momento felice, quello in
cui Gesù ci invita dal pianto al gaudio
spirituale.
Come sei arido e aspro, lontano da Gesù; come
sei sciocco e vuoto se vai dietro a qualcosa
d'altro, che non sia Gesù. Non è,
questo, per te, un danno più grande che
perdere il mondo intero? Che cosa ti può mai
dare il mondo se non possiedi Gesù? Essere
senza Gesù è un duro inferno; essere
con Gesù è un dolce paradiso.
Non ci sarà nemico che possa farti del male,
se avrai Gesù presso di te. Chi trova
Gesù trova un grande tesoro prezioso; anzi,
trova un bene più grande di ogni altro bene.
Chi perde Gesù perde più che non si
possa dire; perde più che se perdesse tutto
quanto il mondo. Colui che vive senza Gesù
è privo di tutto; colui che vive saldamente
con lui è ricco di tutto.
2. Grande avvedutezza è saper stare vicino a
Gesù; grande sapienza sapersi tenere stretti
a lui. Abbi umiltà e pace, e Gesù
sarà con te; abbi devozione e serenità
di spirito, e Gesù starà con te.
Che se comincerai a deviare verso le cose esteriori,
potrai subitamente allontanare da te Gesù,
perdendo la sua grazia; e se avrai cacciato lui, e
l'avrai perduto, a chi correrai per rifugio, a chi
ti volgerai come ad amico? Senza un amico non puoi
vivere pienamente; e se non hai come amico, al di
sopra di ogni altro, Gesù, sarai estremamente
triste e desolato.
3. È da stolto, dunque, quello che fai,
ponendo la tua fiducia e la tua gioia in altri che
in Gesù. È preferibile avere il mondo
intero contro di te che avere Gesù disgustato
di te. Sicché, tra tutte le persone care,
caro, per sé, sia il solo Gesù: tutti
gli altri si devono amare a causa di lui; lui,
invece, per se stesso. Gesù Cristo, il solo
che troviamo buono e fedele più di ogni altro
amico, lui solo dobbiamo amare, di amore
particolare. Per lui e in lui ti saranno cari sia
gli amici che i nemici; e lo pregherai per gli uni e
per gli altri, affinché tutti lo conoscano e
lo amino.
Non desiderare di essere apprezzato od amato per te
stesso, poiché questo spetta soltanto a Dio,
che non ha alcuno che gli somigli. Non volere che
uno si lasci prendere, nel suo cuore, tutto da te,
né lasciarti tutto prendere tu dall'amore di
chicchessia. Gesù soltanto deve essere in te,
come in ognuno che ami il bene.
Sii puro interiormente e libero, senza legami con le
creature. Se vuoi essere pienamente aperto a gustare
«com'è soave il Signore» (Sal
33,9), devi essere del tutto spoglio e offrire a
Gesù un cuore semplice e puro.
4. Ma, in verità, a tanto non giungerai, se
prima non sarà venuta dentro di te la sua
grazia trascinandoti, cosicché, scacciata e
gettata via ogni cosa, tu possa unirti con lui, da
solo a solo.
Quando la grazia di Dio scende sull'uomo, allora
egli diventa capace di ogni impresa; quando invece
la grazia viene meno, l'uomo diventa misero e
debole, quasi abbandonato al castigo. Ma anche
così non ci si deve lasciare abbattere;
né si deve disperare. Occorre piuttosto stare
fermamente alla volontà di Dio e, qualunque
cosa accada, sopportarla sempre a lode di
Gesù Cristo; giacché dopo l'inverno
viene l'estate, dopo la tempesta una grande quiete.
Capitolo IX
La mancanza di ogni conforto
1. Non è difficile disprezzare il conforto
umano, quando abbiamo quello che viene da Dio. Ma
è cosa difficile assai saper sopportare la
mancanza sia del conforto umano sia del conforto
divino, saper accettare volenterosamente di
soffrire, per amore di Dio, la solitudine del cuore,
senza cercare se stessi in nessuna cosa e senza
guardare ai propri meriti.
Che c'è di straordinario se sei pieno di
santa gioia, quando scende su di te la grazia
divina? È, questo, un momento che è
nel desiderio di tutti. Galoppa leggero chi è
sostenuto dalla grazia.
Che c'è di strabiliante se non sente fatica
colui che è sostenuto dall'Onnipotente ed
è condotto dalla somma guida? Ben volentieri
ci procuriamo qualche conforto; difficilmente uno si
spoglia di se stesso.
Il santo martire Lorenzo seppe staccarsi da questo
mondo, persino dal papa, giacché egli
disprezzò ogni cosa che gli apparisse cara
quaggiù. Egli giunse a sopportare con
dolcezza che gli fosse tolto Sisto, sommo sacerdote
di Dio, che egli amava sopra di ogni cosa. Per amore
del Creatore egli, dunque, superò l'amore
verso un uomo; di fronte a un conforto umano
preferì la volontà di Dio. Così
impara anche tu ad abbandonare, per amore di Dio,
qualche intimo e caro amico; e non sentire come cosa
intollerabile se vieni abbandonato da un amico, ben
sapendo che, alla fine, tutti dobbiamo separarci,
l'uno dall'altro.
Grande e lunga è la lotta che l'uomo deve
fare dentro di sé, per riuscire a superare se
stesso e a porre in Dio tutto il proprio cuore.
Colui che pretende di bastare a se stesso va molto
facilmente alla ricerca di consolazioni umane. Colui
invece che ama veramente Cristo e segue
volenterosamente la via della virtù non
scende a tali consolazioni: egli non cerca le
dolcezze esteriori, ma cerca piuttosto di sopportare
grandi prove e dure fatiche per amore di Cristo.
2. Quando, dunque, Dio ti dà una consolazione
spirituale, accoglila con gratitudine. Ma comprendi
bene che si tratta di un dono che ti viene da Dio,
non di qualcosa che risponda a un tuo merito, e non
insuperbirti. Per tale dono non devi rallegrarti
esageratamente, né presumere vanamente di te;
al contrario, per tale dono, devi farti più
umile, più prudente e più timorato in
tutte le tue azioni, giacché passerà
quel momento e verrà poi la tentazione.
Quando poi ti sarà tolta quella consolazione,
non disperare subitamente, ma aspetta con
umiltà e pazienza di essere visitato
dall'alto: Dio può ridarti una consolazione
più grande. Non è, questa, cosa nuova
né strana, per coloro che conoscono la via di
Dio; questo alterno ritmo si ebbe frequentemente nei
grandi santi e negli antichi profeti. Ecco la
ragione per la quale, mentre la grazia era presso di
lui, quello esclamava: «Nella pienezza dissi:
così starò in eterno» (Sal
29,7); poi, allontanatasi la grazia, avendo
esperimentato la sua interiore condizione,
aggiungeva: «togliesti, o Dio, da me la tua
faccia e sono pieno di tristezza» (Sal 29,8).
Tuttavia quegli frattanto non disperava, ma pregava
Iddio più insistentemente, dicendo: «A
te, Signore, innalzerò la mia voce,
innalzerò la mia preghiera al mio Dio»
(Sal 29,9). Ricavava alla fine il frutto della sua
orazione, e proclamava di essere stato esaudito, con
queste parole: «Il Signore mi udì ed
ebbe misericordia di me: il Signore è venuto
in mio soccorso» (Sal 29,11). Come?
«Mutasti - disse - il mio pianto in gioia, e
mi circondasti di letizia» (Sal 29,12).
Poiché così avvenne per i grandi
santi, noi, deboli e poveri, non dobbiamo
disperarci, se siamo ora ferventi, ora tiepidi;
ché lo Spirito viene e se ne parte, a suo
piacimento. È per questo che il santo Giobbe
diceva: «Lo visiti alla prima luce, ma tosto
lo metti alla prova» (Gb 7,18).
3. Su che cosa posso io fare affidamento, in chi
posso io confidare? Soltanto nella grande
misericordia divina e nella speranza della grazia
celeste.
Persone amanti del bene, che mi stiano vicine,
devoti confratelli, amici fedeli, libri edificanti
ed eccellenti trattati, dolcezza di canti e di inni:
anche se avessi tutte queste cose, poco mi
aiuterebbero e avrebbero per me ben poco sapore,
quando io fossi abbandonato dalla grazia e lasciato
nella mia miseria. Allora, il rimedio più
efficace sta nel saper attendere con pazienza,
sprofondandosi nella volontà di Dio.
Non ho mai trovato un uomo che avesse devozione e
pietà tanto grandi da non sentire talvolta
venir meno la grazia o da non avvertire un
affievolimento del suo fervore. Non ci fu mai un
santo rapito così in alto e così
illuminato, da non subire, prima o poi, la
tentazione. Infatti, chi non è provato da
qualche tribolazione non è degno di una
profonda contemplazione di Dio. Ché la
tentazione di oggi è segno di una divina
consolazione di domani; la quale viene, appunto,
promessa a coloro che sono stati provati dalla
tentazione. A colui che avrà vinto, dice:
«concederò di mangiare dell'albero
della vita» (Ap 2,7).
In effetti, la consolazione divina vien data
affinché l'uomo sia più forte nel
sostenere le avversità; poi viene la
tentazione, affinché egli non si insuperbisca
di quello stato di consolazione.
Non dorme il diavolo, e la carne non è ancor
morta. Perciò non devi smettere mai di
prepararti alla lotta, perché da ogni parte
ci sono nemici, che non si danno riposo.
Capitolo X
La gratitudine per la grazia divina
1. Perché vai cercando quiete, dal momento
che sei nato per la tribolazione e la pazienza
più che per la consolazione, sei destinato a
portare la croce più che a ricevere gioia?
Anche tra coloro che vivono nel mondo, chi non
sarebbe felice - se potesse ottenerli in ogni
momento - di avere il conforto e la letizia dello
spirito, poiché le gioie spirituali superano
tutti i piaceri mondani e le delizie materiali?
Le delizie del mondo sono tutte vuote o poco buone;
mentre le delizie spirituali, esse soltanto, sono
veramente piene di gioia ed innocenti, frutto delle
virtù e dono soprannaturale di Dio agli
spiriti puri. In verità però nessuno
può godere a suo talento di queste divine
consolazioni, perché il tempo della
tentazione non dà lunga tregua.
E poi una falsa libertà di spirito e una
eccessiva fiducia in se stessi sono di grande
ostacolo a questa visita dall'alto.
Dio ci fa un dono dandoci la consolazione della
grazia; ma l'uomo risponde in modo riprovevole se
non attribuisce tutto a Dio con gratitudine. E
così non possono fluire su di noi i doni
della grazia, perché non sentiamo gratitudine
per colui dal quale essa proviene e non riportiamo
tutto alla sua fonte originaria. La grazia
sarà sempre dovuta a chi è giustamente
grato; mentre al superbo sarà tolto quello
che viene dato all'umile.
Non voglio una consolazione che mi tolga la
compunzione del cuore; non desidero una
contemplazione che mi porti alla superbia.
Ché non tutto ciò che è alto
è santo; non tutti i desideri sono puri; non
tutto ciò che è soave è buono;
non tutto ciò che è caro è
gradito a Dio. Invece, accolgo con gioia una grazia
che mi faccia essere sempre più umile e
timorato e che mi renda più pronto a lasciare
me stesso.
Colui che è stato formato dal dono della
grazia ed ammaestrato dalla dura sottrazione di
essa, non oserà mai attribuirsi un briciolo
di bene; egli riconoscerà piuttosto di essere
povero e nudo.
2. Da' a Dio ciò che è di Dio, e
attribuisci a te ciò che è tuo:
mostrati riconoscente a Dio per la grazia, e a te
attribuisci soltanto il peccato, cosciente di
meritare una pena per la colpa commessa.
Mettiti al posto più basso, e ti sarà
dato il più alto; giacché la massima
elevazione non si ha che con il massimo
abbassamento.
I santi più alti agli occhi di Dio sono
quelli che, ai propri occhi, sono i più
bassi; essi hanno una gloria tanto più grande
quanto più si sono sentiti umili. Ripieni
della verità e della gloria celeste, non
desiderano la vana gloria di questo mondo; basati
saldamente in Dio, non possono in alcun modo
insuperbire. Essi, che attribuiscono a Dio tutto
quel che hanno ricevuto di bene, non vanno cercando
di essere esaltati l'uno dall'altro, ma vogliono
invece quella gloria che viene da Dio; desiderano
vivamente che, in loro stessi e in tutti i beati,
sia lodato sopra ogni cosa Iddio, al quale sempre
tendono.
Sii dunque riconoscente anche per la più
piccola cosa; così sarai degno di ricevere
doni più grandi. La cosa più piccola
sia per te come la più grande; quello che
è disprezzabile sia per te come un dono
spirituale. Se si guarda all'altezza di colui che lo
dà, nessun dono sembrerà piccolo o
troppo poco apprezzabile. Non è piccolo
infatti ciò che ci viene dato dal Dio
eccelso. Anche se ci desse pene e tribolazioni,
tutto questo deve esserci gradito, perché il
Signore opera sempre per la nostra salvezza,
qualunque cosa permetta che ci accada.
Chi vuol conservare la grazia divina, sia
riconoscente quando gli viene concessa, e sappia
sopportare quando gli viene tolta; preghi
perché essa ritorni, sia prudente ed umile
affinché non abbia a perderla.
Capitolo XI
Scarso è il numero di coloro che amano la
croce
1. Oggi, di innamorati del suo regno celeste,
Gesù ne trova molti; pochi invece ne trova di
pronti a portare la sua croce. Trova molti
desiderosi di consolazione, pochi desiderosi della
tribolazione; molti disposti a sedere a mensa, pochi
disposti a digiunare.
Tutti desiderano godere con lui, pochi vogliono
soffrire per lui. Molti seguono Gesù fino
alla distribuzione del pane, pochi invece fino al
momento di bere il calice della passione. Molti
guardano con venerazione ai suoi miracoli, pochi
seguono l'ignominia della croce. Molti amano
Gesù fin tanto che non succedono
avversità. Molti lo lodano e lo benedicono
soltanto mentre ricevono da lui qualche
consolazione; ma se Gesù si nasconde e li
abbandona per un poco, cadono in lamentazione e in
grande abbattimento.
Invece coloro che amano Gesù per Gesù,
non già per una qualche consolazione propria,
lo benedicono nella tribolazione e nella angustia
del cuore, come nel maggior gaudio spirituale. E
anche se Gesù non volesse mai dare loro una
consolazione, ugualmente vorrebbero sempre lodarlo e
ringraziarlo.
2. Oh! quanta è la potenza di un amore
schietto per Gesù, non commisto con alcun
interesse ed egoismo! Forse che non si debbono
definire quali mercenari tutti quelli che vanno
sempre cercando consolazioni? Forse che non si
dimostrano più innamorati di sé che di
Cristo quelli che pensano sempre al proprio utile e
vantaggio?
Dove si troverà uno che voglia servire Iddio
senza ricompensa? È difficile trovare chi sia
spiritualmente così alto da voler essere
spogliato di ogni cosa. Invero, chi lo
troverà uno veramente povero nello spirito e
distaccato da ogni creatura? Il suo pregio è
come quello di cose provenienti da lontano, dagli
estremi confini della terra (Pro 31,10).
Anche se uno si spogliasse di tutte le sue sostanze
(Ct 8,7), non è ancor nulla; anche se facesse
grande penitenza, è ancora poca cosa; anche
se avesse appreso ogni scienza, egli è ancora
ben lungi dalla meta; anche se avesse grande
virtù e fervente devozione, ancora gli manca
molto: cioè la sola cosa che gli è
massimamente necessaria. Che cosa dunque? Che,
abbandonato tutto, abbandoni anche se stesso ed esca
totalmente da sé, senza che gli rimanga un
briciolo di amore di sé; che, dopo aver
compiuto tutto quello che riconosce suo dovere, sia
persuaso di non aver fatto niente; che non faccia
gran conto di ciò che pur possa sembrar
grande, ma sinceramente si proclami servo inutile,
come dice la Verità stessa: «Quando
avrete fatto tutto ciò che vi è stato
comandato, dite: siamo servi inutili» (Lc
17,10).
Allora sì che uno potrà essere davvero
povero e nudo spiritualmente e dire col profeta:
«Sono abbandonato e povero» (Sal 24,16).
Ma nessuno è più ricco, nessuno
più libero, nessuno più potente di
costui che sa abbandonare se stesso e ogni cosa e
porsi all'ultimo posto.
Capitolo XII
La via maestra della santa croce
1. Per molti è questa una parola dura:
rinnega te stesso, prendi la tua croce e segui
Gesù (Mt 16,24; Lc 9,23). Ma sarà
molto più duro sentire, alla fine, questa
parola: «allontanatevi da me maledetti, nel
fuoco eterno» (Mt 25,41). In verità
coloro che ora accolgono volenterosamente la parola
della croce non avranno timore di sentire, in quel
momento, la condanna eterna.
Ci sarà nel cielo questo segno della croce,
quando il Signore verrà a giudicare. In quel
momento si avvicineranno, con grande fiducia, a
Cristo giudice tutti i servi della croce, quelli che
in vita si conformarono al Crocefisso.
Perché, dunque, hai paura di prendere la
croce, che è la via per il regno?
Nella croce è la salvezza; nella croce
è la vita; nella croce è la difesa dal
nemico; nella croce è il dono soprannaturale
delle dolcezze del cielo; nella croce sta la forza
della mente e la letizia dello spirito; nella croce
si assommano le virtù e si fa perfetta la
santità. Soltanto nella croce si ha la
salvezza dell'anima e la speranza della vita eterna.
Prendi, dunque, la tua croce, e segui Gesù;
così entrerai nella vita eterna. Ti ha
preceduto lui stesso, portando la sua croce (Gv
19,17) ed è morto in croce per te,
affinché anche tu portassi la tua croce e
desiderassi di essere anche tu crocefisso. Infatti,
se sarai morto con lui, con lui e come lui vivrai.
Se gli sarai stato compagno nella sofferenza, gli
sarai compagno anche nella gloria.
2. Ecco, tutto riposa sulla croce, e la sola strada
che porti alla vita e alla vera pace interiore
è quella della santa croce e della
mortificazione quotidiana.
Va' pure dove vuoi, cerca quel che ti piace, ma non
troverai, di qua o di là, una strada
più alta e più sicura della via della
santa croce. Predisponi pure e ordina ogni cosa,
secondo il tuo piacimento e il tuo gusto; ma altro
non troverai che dover sopportare qualcosa, o di
buona o di cattiva voglia: troverai cioè
sempre la croce.
Infatti, o sentirai qualche dolore nel corpo o
soffrirai nell'anima qualche tribolazione interiore.
Talvolta sarà Dio ad abbandonarti, talaltra
sarà il prossimo a metterti a dura prova; di
più, frequentemente, sarai tu di peso a te
stesso. E non potrai trovare conforto e sollievo in
alcun modo; ma dovrai sopportare tutto ciò
fino a che a Dio piacerà.
Dio, infatti, vuole che tu impari a soffrire
tribolazioni senza consolazione, e che ti sottometta
interamente a lui, facendoti più umile per
mezzo della sofferenza. Nessuno sente così
profondamente la passione di Cristo, come colui al
quale sia toccato di soffrire cose simili.
La croce è, dunque, sempre pronta e ti
aspetta dappertutto; dovunque tu corra non puoi
sfuggirla, poiché, in qualsiasi luogo tu
giunga, porti e trovi sempre te stesso. Volgiti
verso l'alto o verso il basso, volgiti fuori o
dentro di te, in ogni cosa troverai la croce. In
ogni cosa devi saper soffrire, se vuoi avere la pace
interiore e meritare il premio eterno.
3. Se porti la croce di buon animo, sarà essa
a portarti e a condurti alla meta desiderata, dove
cioè ogni patimento avrà fine. Se
invece la croce tu la porti contro voglia, essa ti
peserà; aggraverai te stesso e tuttavia la
dovrai portare.
Se scansi una croce, ne troverai senza dubbio
un'altra, e forse più grave. Credi forse di
poter sfuggire a ciò che nessun mortale
poté mai evitare? Quale santo stette mai in
questo mondo senza croce e senza tribolazione?
Neppure Gesù Cristo, nostro Signore, durante
la sua vita, passò una sola ora senza il
dolore della passione. «Era necessario -
diceva - che il Cristo patisse e risorgesse da morte
per entrare nella sua gloria» (Lc 24,26 e 46).
E perché mai tu vai cercando una via diversa
da questa via maestra, che è quella della
santa croce?
Tutta la vita di Cristo fu croce e martirio; e tu
cerchi per te riposo e gioia? Sbagli, sbagli se
cerchi qualcosa d'altro, che non sia il patire
tribolazioni: perché tutta questa vita
mortale è piena di miseria e segnata
tutt'intorno da croci.
Spesso, quanto più uno sarà salito in
alto progredendo spiritualmente, tanto più
pesanti saranno le croci che troverà,
giacché la sofferenza del suo esilio su
questa terra aumenta insieme con l'amore.
4. Tuttavia, costui, in mezzo a tante afflizioni,
non manca di consolante sollievo, giacché,
sopportando la sua croce, sente crescere in
sé un grande frutto; infatti, mentre si
sottopone alla croce volontariamente, tutto il peso
della tribolazione si trasforma in sicura fiducia di
conforto divino. Quanto più la carne è
prostrata da qualche afflizione, tanto più lo
spirito si rafforza per la consolazione interiore.
Anzi, talvolta, per amore di conformarsi alla croce
di Cristo, uno si rafforza talmente, nel desiderare
tribolazioni e avversità, da non voler essere
privato del dolore e dell'afflizione; giacché
si sente tanto più accetto a Dio quanto
più numerosi e gravosi sono i mali che
può sopportare per lui.
Non che ciò avvenga per forza umana, ma per
la grazia di Cristo; la quale tanto può e
tanto fa, nella nostra fragile carne, da farle
affrontare ed amare con fervore di spirito
ciò che, per natura, essa fugge ed aborrisce.
Non è secondo la natura umana portare e amare
la croce, castigare il corpo e ridurlo in
schiavitù, fuggire gli onori, sopportare
lietamente le ingiurie, disprezzare se stesso e
desiderare di essere disprezzato; infine, soffrire
avversità e patimenti, senza desiderare, in
alcun modo, che le cose vadano bene quaggiù.
Se guardi alle tue forze, non potresti far nulla di
tutto questo. Ma se poni la tua fiducia in Dio, ti
verrà forza dal cielo, e saranno sottomessi
al tuo comando il mondo e la carne. E neppure avrai
a temere il diavolo nemico, se sarai armato di fede
e porterai per insegna la croce di Cristo.
Disponiti dunque, da valoroso e fedele servo di
Cristo, a portare virilmente la croce del tuo
Signore, crocifisso per amor tuo. Preparati a dover
sopportare molte avversità e molti
inconvenienti in questa misera vita. Così (il
dolore) sarà infatti con te, dovunque tu sia;
questo, in realtà, troverai dovunque tu ti
nasconda.
Ed è necessario che ti comporti così:
non c'è rimedio o scappatoia dalla
tribolazione, dal male e dal dolore, fuor di questo,
che tu li sopporti. Se vuoi essere amico del Signore
ed essergli compagno, bevi avidamente il suo calice.
Quanto alle consolazioni, rimettiti a Dio: faccia
lui, con queste, come meglio gli piacerà. Ma,
da parte tua, disponiti a sopportare le
tribolazioni, considerandole come le consolazioni
più grandi; giacché «i patimenti
di questa nostra vita terrena», anche se tu li
dovessi, da solo, sopportare tutti, «non sono
nulla a confronto della conquista della gloria
futura» (Rm 8,18).
5. Quando sarai giunto a questo, che la sofferenza
ti sia dolce e saporosa per amore di Cristo, allora
potrai dire di essere a posto, perché avrai
trovato un paradiso in terra. Invece, fino a che il
patire ti sia gravoso e tu cerchi di fuggirlo, non
sarai a posto: ti terrà dietro dappertutto la
serie delle tribolazioni. Ma le cose poi andranno
subito meglio, e troverai pace, se ti sottoporrai a
ciò che è inevitabile, e cioè a
patire e a morire.
Anche se tu fossi innalzato fino al terzo cielo,
come Paolo, non saresti affatto sicuro, con
ciò, di non dover sopportare alcuna
contrarietà. «Io gli mostrerò -
dice Gesù - quante cose egli debba patire per
il mio nome» (At 9,16). Dunque, se vuoi
davvero amare il Signore e servirlo per sempre,
soltanto il patire ti rimane.
E magari tu fossi degno di soffrire qualcosa per il
nome di Gesù! Quale grande gloria ne
trarresti; quale esultanza ne avrebbero i santi; e
quanta edificazione ne riceverebbero tutti!
Saper patire è cosa che tutti esaltano a
parole; sono pochi però quelli che vogliono
patire davvero. Giustamente dovresti preferire di
patire un poco per Cristo, dal momento che molti
sopportano cose più gravose per il mondo.
6. Sappi per certo di dover condurre una vita che
muore; sappi che si progredisce nella vita in Dio
quanto più si muore a se stessi.
Nessuno infatti può comprendere le cose del
cielo, se non si adatta a sopportare le
avversità per Cristo. Nulla è
più gradito a Dio, nulla è più
utile per te, in questo mondo, che soffrire
lietamente per Cristo. E se ti fosse dato di
scegliere, dovresti preferire di sopportare le
avversità per amore di Cristo, piuttosto che
essere allietato da molte consolazioni;
giacché saresti più simile a Cristo e
più conforme a tutti i santi.
Infatti, il nostro merito e il progresso della
nostra condizione non consistono nelle frequenti
soavi consolazioni, ma piuttosto nelle pesanti
difficoltà e nelle tribolazioni da
sopportare.
Ché, se ci fosse qualcosa di meglio e di
più utile per la salvezza degli uomini,
Cristo ce lo avrebbe certamente indicato, con la
parola e con l'esempio. Invece egli esortò
apertamente a portare la croce i discepoli che
stavano con lui e tutti coloro che desideravano
mettersi al suo seguito, dicendo: «Se uno vuol
venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la
sua croce e mi segua» (Mt 16,24; Lc 9,23).
Dunque, la conclusione finale, attentamente lette e
meditate tutte queste cose, sia questa: «che
per entrare nel regno di Dio, occorre passare
attraverso molte tribolazioni» (At 14,22).
LA CONSOLAZIONE
INTERIORE
Capitolo I
Cristo parla interiormente all'anima fedele
1. «Darò ascolto a quello che stia per
dire dentro di me il Signore» (Sal 84,9).
Beata l'anima che ascolta il Signore che le parla
dentro, e accoglie dalla sua bocca la parola di
consolazione.
Beate le orecchie che colgono la preziosa e discreta
voce di Dio e non tengono alcun conto dei discorsi
di questo mondo.
Veramente beate le orecchie che danno retta, non
alla voce che risuona dal di fuori, ma alla
verità che parla e ammaestra dal di dentro.
Beati gli occhi che, chiusi alle cose esteriori,
sono attenti alle interiori. Beati coloro che sanno
penetrare ciò che è interiore e si
preoccupano di prepararsi sempre più, con
sforzo quotidiano, a comprendere le cose arcane del
cielo. Beati coloro che bramano di dedicarsi a Dio,
sciogliendosi da ogni impaccio temporale.
2. Comprendi tutto ciò, anima mia, e chiudi
la porta dei sensi, affinché tu possa udire
quello che ti dice interiormente il Signore Iddio.
Questo dice il tuo diletto: «Io sono la tua
salvezza» (Sal 34,3), la tua pace, la tua
vita; stai accanto a me e troverai la pace; lascia
tutte le cose che passano, cerca le cose eterne.
Che altro sono le cose temporali, se non illusioni?
e a che gioveranno tutte le creature, se sarai
abbandonata dal Creatore?
(Oh, anima mia), rinuncia perciò a tutto e
fatti cara e fedele al tuo Creatore, così da
poter raggiungere la vera beatitudine.
Capitolo II
La verità si fa sentire dentro di noi senza
parole altisonanti
1. «Parla, o Signore, il tuo servo ti
ascolta» (1 Sam 3,10). «Io sono il tuo
servo; dammi luce per apprendere quello che tu
proclami» (Sal 118,125). Disponi il mio cuore
alle parole della tua bocca; il tuo dire discenda
come rugiada.
Dissero una volta a Mosè i figli di Israele:
«Parlaci tu, e potremo ascoltarti; non ci
parli il Signore, affinché non avvenga che ne
moriamo» (Es 20,19). Non così, la mia
preghiera, o Signore. Piuttosto, con il profeta
Samuele, in umiltà e pienezza di desiderio,
io ti chiedo ardentemente: «Parla, o Signore,
il tuo servo ti ascolta» (1 Sam 3,10).
Non mi parli Mosè o qualche altro profeta;
parlami invece tu, Signore Dio, che ispiri e dai
luce a tutti i profeti: tu solo, senza di loro, mi
puoi ammaestrare pienamente; quelli, invece, senza
di te, non gioverebbero a nulla.
Possono, è vero, far risuonare parole, ma non
danno lo spirito; parlano bene, ma, se tu non
intervieni, non accendono il cuore; lasciano degli
scritti, ma sei tu che ne mostri il significato;
presentano i misteri, ma sei tu che sveli il senso
di ciò che sta dietro al simbolo; emettono
ordini, ma sei tu che aiuti ad eseguirli; indicano
la strada, ma sei tu che aiuti a percorrerla. Essi
operano solamente all'esterno, ma tu prepari e
illumini i cuori; essi irrigano superficialmente, ma
tu rendi fecondi; essi fanno risuonare delle parole,
ma sei tu che aggiungi all'ascolto il potere di
comprendere.
2. Non mi parli dunque Mosè; parlami tu,
Signore mio Dio, verità eterna,
affinché, se ammonito solo esteriormente e
privo di fuoco interiore, io non resti senza vita e
non mi isterilisca; affinché non mi sia di
condanna la parola udita non tradotta in pratica,
conosciuta ma non amata, creduta ma non osservata.
«Parla, dunque, o Signore, il tuo servo ti
ascolta» (1 Sam 3,10): «tu hai infatti
parole di vita eterna» (Gv 6,69).
Parlami, affinché scenda un po' di
consolazione all'anima mia, e tutta la mia vita sia
purificata. E a te sia gloria e onore perpetuo.
Capitolo III
Dare umile ascolto alla parola di Dio, da molti non
meditata a dovere
1. Ascolta, figlio, le mie parole; parole
dolcissime, più alte di tutta la dottrina dei
filosofi e dei sapienti di questo mondo. «Le
mie parole sono spirito e vita» (Gv 6,63), e
non vanno valutate secondo l'umano sentire. Non si
debbono convertire in vano compiacimento; ma si
debbono ascoltare nel silenzio, accogliendole con
tutta umiltà e con grande amore.
E dissi: «Beato colui che sarà stato
formato da te, o Signore, e da te istruito intorno
alla legge, così che gli siano alleviati i
giorni del dolore ed egli non sia desolato su questa
terra» (Sal 93,12s).
Io, dice il Signore, fin dall'inizio ammaestrai i
profeti, e ancora non manco di parlare a tutti. Ma
molti sono sordi, muti e duri alla mia voce.
Numerosi sono coloro che ascoltano più
volentieri il mondo che Dio, e seguono più
facilmente i desideri della carne che la
volontà di Dio.
Il mondo promette cose da poco e che durano ben
poco; eppure lo si serve con grande smania. Io
prometto cose grandissime ed eterne; eppure il cuore
degli uomini resta torpido. Chi mai mi obbedisce e
mi serve con tanto zelo, come si serve al mondo e ai
suoi padroni? «Arrossisci, o Sidone,
così dice il mare» (Is 23,4). E se vuoi
sapere il perché, ascolta.
Per uno scarso vantaggio si percorre un lungo
cammino; ma, per la vita eterna, molti a stento
alzano da terra un piede.
Si corre dietro ad un modesto guadagno; talora, per
un soldo, si litiga vergognosamente; per una cosa da
nulla e dietro una piccola speranza non si esita a
faticare giorno e notte; ma - cosa spudorata - per
un bene che non viene meno, per un premio
inestimabile, per l'onore più grande e la
gloria che non ha fine, si stenta a faticare anche
un poco.
2. Arrossisci, dunque, servo pigro e lamentoso;
ché certuni sono più pronti ad andare
alla perdizione di quanto non sia pronto tu ad
andare alla vita: trovano essi più gioia
nella vanità di quanta non ne trovi tu nella
verità. Eppure essi sono ben spesso traditi
nella loro speranza, mentre la mia promessa non
delude nessuno, né lascia a mani vuote colui
che confida in me.
Quel che ho promesso, darò; quel che ho detto
adempirò, purché uno sia rimasto
costante, sino alla fine, nel mio amore. Io sono
colui che compenserà tutti i buoni e
metterà severamente alla prova tutte le
persone devote.
Scrivi le mie parole nel tuo cuore e meditale
attentamente; ti saranno molto utili nell'ora della
tentazione. Quello che non avrai capito alla prima
lettura, lo comprenderai nel giorno in cui io
verrò a te.
Due sono i modi con i quali io visito i miei eletti:
la tentazione e la consolazione. Due sono le lezioni
che io do loro ogni giorno; una, rimproverando i
loro vizi; l'altra, esortandoli a rafforzare le loro
virtù.
Colui che, avendo ricevuto «le mie parole, le
disprezza, avrà chi lo giudica»
nell'ultimo giorno (Gv 12,48).
Preghiera per chiedere la grazia della devozione
3. Signore mio Dio, tu sei tutto il mio bene. E io,
chi sono per osare di rivolgermi a te? Sono il tuo
miserabile piccolo servo, un abietto vermiciattolo,
molto più misero e disprezzabile di quanto io
stesso non capisca e non osi confessare. Tuttavia,
Signore, ricordati di me, che sono un nulla, nulla
valgo e nulla ho.
Tu solo sei buono, giusto e santo; tutto puoi e ogni
cosa viene da te; tutto tu colmi, soltanto il
peccatore tu lasci a mani vuote.
Ricordati della tua misericordia, o Signore (Sal
24,6) e riempi il mio cuore con la tua grazia; tu,
che non permetti che resti vana la tua opera.
Come potrò sopportare me stesso, in questa
misera vita, se tu non mi conforterai con la tua
pietà e con la tua grazia? Non distogliere da
me la tua faccia, non tardare con la tua visita, non
farmi mancare la tua grazia, affinché l'anima
mia non divenga per te come una terra arida (Sal
142,6).
Signore, insegnami a fare la tua volontà (Sal
142,10); insegnami a stare degnamente e umilmente
accanto a te. Tutto tu sai di me, poiché mi
conosci nell'intimo; anzi mi conoscevi prima che il
mondo esistesse, prima che io fossi nato.
Capitolo IV
Mantenersi intimamente uniti a Dio in spirito di
verità e di umiltà
1. Figlio, cammina alla mia presenza in spirito di
verità, e cercami sempre con
semplicità di cuore. Chi cammina dinanzi a me
in spirito di verità sarà protetto
dagli assalti malvagi; la verità lo
farà libero da quelli che cercano di sedurlo
e dai perversi, con le loro parole infamanti. Se ti
farà libero la verità, sarai libero
veramente e non terrai in alcun conto le vane parole
degli uomini.
È vero, o Signore: ti prego, così mi
avvenga, come tu dici. Mi sia maestra la tua
verità; mi custodisca e mi conduca alla meta
di salvezza, mi liberi da affetti e da amori
perversi, contrari alla divina volontà.
Allora camminerò con te, con grande
libertà di spirito.
2. Io ti insegnerò, dice la Verità,
ciò che è retto e mi è gradito.
Ripensa con grande, amaro dolore, ai tuoi peccati, e
non credere mai di valere qualcosa, per opere buone
che tu abbia compiuto. In realtà sei un
peccatore, irretito da molte passioni e schiavo di
esse. Da te non giungi a nulla: subitamente cadi,
subitamente vieni sconvolto e dissolto. Non hai
nulla di che ti possa vantare; hai molto, invece, di
che ti debba umiliare, giacché sei più
debole assai di quanto tu possa capire.
Di tutto quello che fai, niente ti sembri grande,
prezioso e ammirevole; niente ti sembri meritevole
di stima: alto, lodevole e desiderabile davvero ti
sembri soltanto ciò che è eterno.
Più di ogni altra cosa, ti sia cara la
Verità eterna; e sempre ti dispiaccia la tua
estrema pochezza.
Nulla devi temere, disprezzare e fuggire quanto i
tuoi vizi e i tuoi peccati; cose che ti debbono
affliggere più che ogni danno materiale.
3. Ci sono persone che camminano al mio cospetto con
animo non puro: persone che - dimentiche di se
stesse e della propria salvezza e mosse da una certa
curiosità e superbia - vorrebbero conoscere i
miei segreti e comprendere gli alti disegni di Dio.
Costoro cadono sovente in grandi tentazioni e in
grandi peccati per quella loro iattanza, superbia e
curiosità, che io ho in odio.
Mantieni una religiosa riverenza dinanzi al giudizio
divino, dinanzi allo sdegno dell'Onnipotente. Non
volere, dunque, sondare l'operato dell'Altissimo.
Esamina invece le tue iniquità: in quante
cose hai errato e quante cose buone hai tralasciato.
Ci sono alcuni che fanno consistere la loro
pietà soltanto nelle letture, nelle immagini
sacre o nelle raffigurazioni esteriori e simboliche;
altri mi hanno sulla bocca, ma poco c'è nel
loro cuore.
Ci sono invece altri che, illuminati nella mente e
puri nei loro affetti, anelando continuamente alle
cose eterne, provano fastidio a sentir parlare di
cose terrene e soffrono ad assoggettarsi a
ciò che la natura impone. Sono questi che
ascoltano ciò che dice, dentro di loro, lo
Spirito di verità. Il quale li ammaestra a
disprezzare le cose di questa terra e ad amare
quelle del cielo; ad abbandonare il mondo e ad
aspirare, giorno e notte, al cielo.
Capitolo V
Mirabili effetti dell'amore verso Dio
1. Ti benedico, o Padre celeste, padre del mio
Signore Gesù Cristo, perché ti sei
degnato di ricordarti della mia miseria. Ti
ringrazio, o Padre delle misericordie, Dio di ogni
consolazione (2 Cor 1,3), che con il tuo conforto,
talora mi ritempri, quantunque io ne sia totalmente
indegno. In ogni momento ti benedico e do gloria a
te, con l'unigenito tuo Figlio e con lo Spirito
Santo paraclito, per tutti i secoli. Amen.
Oh! mio Signore, che sei santo e mi ami, come
esulteranno tutte le mie viscere, quando verrai nel
mio cuore!
«In te è la mia gloria, la gioia del
mio cuore, la mia speranza e il mio rifugio nel
giorno della tribolazione» (Sal 3,4; 118,111;
58,17). Poiché, però, il mio amore per
te è ancora fiacco, e deboli sono le mie
forze, ho bisogno del tuo aiuto e del tuo conforto.
Vieni a me, dunque, il più spesso, e
istruiscimi nella via della santità; liberami
dalle passioni malvagie e risana il mio cuore da
tutti gli affetti sregolati, cosicché,
interiormente risanato e del tutto purificato, io
diventi pronto nell'amarti, forte nel patire, fermo
nel perseverare.
2. Grande cosa è l'amore. Un bene grande,
veramente. Un bene che, solo, rende leggera ogni
cosa pesante e sopporta tranquillamente ogni cosa
difficile; porta il peso senza fatica e rende dolce
e gustosa ogni cosa amara. Il nobile amore di
Gesù spinge ad operare grandi cose e suscita
desideri di sempre maggiore perfezione.
L'amore aspira a salire in alto, senza essere
trattenuto da alcunché di terreno. Esige di
essere libero e staccato da ogni affetto umano,
cosicché non abbia ostacoli a scrutare
nell'intimo, non subisca impacci per interessi
temporali, non sia sopraffatto da alcuna
difficoltà.
Niente è più dolce dell'amore; niente
è più forte, più alto o
più grande: niente, né in cielo
né in terra, è più colmo di
gioia, più completo o più buono:
perché l'amore nasce da Dio e soltanto in
Dio, al di sopra di tutte le cose create, può
trovare riposo.
Chi ama vola, corre lietamente; è libero, e
non trattenuto da nulla; dà ogni cosa per il
tutto, e ha il tutto in ogni cosa, perché
trova la sua pace in quell'uno supremo, dal quale
discende e proviene tutto ciò che è
buono; non guarda a ciò che gli viene donato,
ma, al di là dei doni, guarda a colui che
dona.
Spesso l'amore non conosce misura, in un fervore che
supera ogni bene. L'amore non sente gravezza, non
tiene conto della fatica, anela a più di
quanto non possa raggiungere, non adduce a scusa la
sua insufficienza, perché ritiene che ogni
cosa gli sia possibile e facile.
Colui che ama può fare ogni cosa, e molte
cose compie e manda ad effetto.
Quando colui che ama viene meno e riposa, l'amore
vigila; anche nel sonno, non s'abbandona;
affaticato, non è prostrato; legato, non si
lascia costringere; atterrito, non si turba: erompe
verso l'alto e procede sicuro, come fiamma viva,
come favilla ardente.
3. Questo mio grido l'intende appieno colui che
possiede amore. Un grande grido agli orecchi di Dio
è lo slancio stesso ardente dell'anima, che
esclama: «Dio mio, mio amore, tu sei
interamente mio ed io tua». Accrescimi
nell'amore, affinché io impari a gustare
nell'intimo quanto l'amore è soave; impari a
sciogliermi nell'amore e a navigare in esso.
Che io sia tutto preso dall'amore, che mi elevi
sopra me stesso, in estasi appassionata; che io
canti il canto dell'amore e che mi innalzi con te, o
mio diletto. Viene meno, nel lodarti, l'anima mia,
nella gioia dell'amore. Che io ti ami più che
me stesso, e me stesso soltanto per te; che in te io
ami tutti coloro che ti amano veramente, come
comanda la legge dell'amore, luce che da te
proviene.
4. L'amore è sollecito, sincero, devoto,
prudente, longanime, virile e sempre dimentico di
sé: ché, se uno cerca se stesso, esce
fuori dall'amore.
L'amore è attento, umile e sicuro; non
fiacco, non leggero, né intento a cose vuote;
sobrio, costante, casto, quieto e vigilante nei
sensi.
L'amore è sottomesso e obbediente ai
superiori, basso e disprezzato ai suoi propri occhi,
devoto e grato a Dio. In Dio confida e spera sempre,
anche quando non lo sente vicino, perché non
si vive nell'amore senza dolore.
Colui che non è pronto a soffrire ogni cosa e
ad ubbidire al suo Diletto, non è degno di
essere chiamato uomo d'amore; questi deve
abbracciare con slancio tutte le avversità e
le amarezze per il suo Diletto, senza da ciò
deflettere, qualsiasi evenienza si frapponga.
Capitolo VI
Chi ha vero amore, come ne dà prova
1. Figlio, ancora non sei forte e saggio nell'amore.
Perché, o Signore?
Perché, per una piccola contrarietà,
lasci la strada intrapresa e troppo avidamente
cerchi consolazione.
Chi è forte nell'amore, regge alle tentazioni
e non crede alla suadente furbizia del nemico. Come
gli sono caro nella prosperità, così
non gli dispiaccio nelle avversità.
Chi è saggio nell'amore non guarda tanto al
pregio del dono, quanto all'amore di colui che dona.
Guarda più all'affetto che al prezzo, e pone
tutti i doni al di sotto della persona amata.
Chi è nobile nell'amore non si appaga nel
dono, ma si appaga in me, al di sopra di qualunque
dono.
Se talvolta, verso di me, o verso i miei santi, hai
l'animo meno ben disposto di quanto vorresti, non
per questo tutto è perduto. Quell'amore che
talora senti, buono e dolce, è effetto della
grazia presente in te; è, per così
dire, un primo assaggio della patria celeste; ma
è cosa su cui non bisogna fare troppo conto,
perché non è ferma e costante.
2. Segno distinto di virtù e di grande merito
è questo: lottare quando si affacciano
cattivi impulsi dell'animo e disprezzare le
suggestioni del diavolo. Dunque non lasciarti
turbare da alcun pensiero che ti venga dal di fuori,
di qualsivoglia natura. Saldamente mantieni, invece,
i tuoi propositi, con l'animo diretto a Dio.
Non è una vana illusione che, talvolta, tu
sia d'un tratto portato fino all'estremo rapimento,
per poi ritornare subito alle consuete manchevolezze
spirituali; queste infatti non dipendono da te, ma
le subisci contro tua voglia. Anzi, fino a che tali
manchevolezze ti disgustano, e ad esse resisti,
questo è cosa meritoria, non già
rovinosa per l'animo.
Sappi che l'antico avversario tenta in ogni modo di
ostacolare il tuo desiderio di bene, distogliendoti
da qualsiasi esercizio di devozione; distogliendoti
cioè dal culto dei santi, dal pio ricordo
della mia passione, dall'utile pensiero dei tuoi
peccati, dalla vigilanza del tuo cuore; infine, dal
fermo proposito di progredire nella virtù.
L'antico avversario insinua molti pensieri perversi,
per molestarti e spaventarti, per distoglierti dalla
preghiera e dalle sante letture. Lo disgusta che uno
umilmente si confessi; se potesse, lo farebbe
disertare dalla comunione.
Non credergli, non badargli, anche se ti avrà
teso sovente i lacci dell'inganno. Ascrivile a lui,
quando ti insinua cose cattive e turpi. Digli:
Vattene, spirito impuro; arrossisci, miserabile.
Veramente immondo sei tu, che fai entrare nei miei
orecchi cose simili. Allontanati da me, perfido
ingannatore; non avrai alcun posto in me: presso di
me starà Gesù come un combattente
valoroso; e tu sarai svergognato.
Preferisco morire e patire qualsiasi pena, piuttosto
che cedere a te. Taci, ammutolisci; non ti
ascolterò più, per quante insidie tu
mi possa tendere. «Il Signore è per me
luce e salvezza; di chi avrò paura?»
(Sal 26,1). «Anche se fossero eretti contro di
me interi accampamenti, il mio cuore non
vacillerà» (Sal 26,3). «Il
Signore è il mio alleato e il mio
redentore» (Sal 18,15).
3. Combatti come un soldato intrepido. E se talvolta
cadi per la tua debolezza, riprendi forza maggiore,
fiducioso in una mia grazia più grande,
guardandoti però attentamente dalla vana
compiacenza e dalla superbia: è a causa di
esse che molti vengono indotti in inganno, cadendo
talora in una cecità pressoché
incurabile. È questa rovina degli uomini
superbi, stoltamente presuntuosi, che ti deve
indurre a prudenza e ad indefettibile umiltà.
Capitolo VII
Proteggere la grazia sotto la salvaguardia
dell'umiltà
1. O figlio, è per te cosa assai utile e
sicura tenere nascosta la grazia della devozione;
non insuperbirne, non continuare a parlarne e
neppure a ripensarci molto. Disprezza, invece, te
stesso, tenendo questa grazia come data a uno che
non ne era degno. Non devi attaccarti troppo forte a
un tale slancio devoto che subitamente può
trasformarsi in un sentimento contrario. Nel tempo
della grazia ripensa a quanto, di solito, sei misero
e povero senza la grazia.
Un progresso nella vita spirituale non lo avrai
raggiunto quando avrai avuto la grazia della
consolazione, ma quando, con umiltà,
abnegazione e pazienza, avrai saputo sopportare che
essa ti sia tolta. Cosicché, neppure allora,
tu sia pigro nell'amore alla preghiera o lasci
cadere del tutto le abituali opere di pietà;
anzi, tu faccia volenterosamente tutto quanto
è in te, come meglio potrai e saprai, senza
lasciarti andare del tutto, a causa
dell'aridità e dell'ansietà spirituale
che senti.
2. Molti, non appena accade qualcosa di male, si
fanno tosto impazienti e perdono la buona
volontà. Ma le vie dell'uomo non dipendono
sempre da lui. È Dio che può dare e
consolare, quando vuole e quanto vuole e chi egli
vuole; nella misura che gli piacerà, e non di
più.
Molti, poi, fattisi arditi per il fatto che
sentivano la grazia della devozione, procurarono la
loro rovina: essi vollero fare di più di
quanto era nelle loro possibilità, non
considerando la propria pochezza e seguendo
l'impulso del cuore piuttosto che il giudizio della
ragione. Presunsero di poter fare più di
quello che era nella volontà di Dio;
perciò d'un tratto persero la grazia: essi,
che avevano posto il loro nido nel cielo, restarono
a mani vuote, abbandonati alla loro miseria;
cosicché, umiliati e spogliati, imparassero a
non volare con le loro ali, ma a star sotto le mie
ali, nella speranza.
Coloro che sono ancora novellini e inesperti nella
via del Signore facilmente si ingannano e cadono, se
non si attaccano al consiglio di persone elette. E
se vogliono seguire quello che loro sembra giusto,
anziché affidarsi ad altri più
esperti, finiranno male, a meno che non si
ritraggano per tempo dal proprio errore.
Coloro che si credono sapienti di per sé di
rado si lasciano umilmente guidare da altri.
Senonché uno scarso sapere e una modesta
capacità di comprendere, accompagnati
dall'umiltà, valgono più di un gran
tesoro di scienza, accompagnato dal vuoto
compiacimento di sé.
È meglio per te aver poco, piuttosto che
molto; del molto potresti insuperbire.
3. Non agisce con sufficiente saggezza colui che,
avendo la grazia, si dà interamente alla
gioia, senza pensare alla sua miseria di prima e
alla purezza che si deve avere nel timore di Dio;
timore cioè di perdere quella grazia che gli
era stata data. Così non dimostra di avere
sufficiente virtù colui che, al momento
dell'avversità o in altra circostanza che lo
opprima, si dispera eccessivamente e concepisce, nei
miei confronti, pensieri e sentimenti di fiducia
meno piena di quanto mi si dovrebbe.
Al momento della lotta, si troverà spesso
estremamente abbattuto e pieno di paura proprio
colui che, in tempo di quiete, avrà voluto
essere troppo sicuro. Se tu, invece, riuscissi a
restare umile e piccolo in te stesso, e a bene
governare e dirigere il tuo spirito, non cadresti
così facilmente nel pericolo e nel peccato.
Un buon consiglio è questo, che, quando hai
nell'animo uno speciale ardore spirituale, tu
consideri bene quello che potrà accadere se
verrà meno tale luce interiore. Quando poi
ciò accadesse, pensa che di nuovo possa
tornare quella luce che per un certo tempo ti ho
tolta, per tua sicurezza e per la mia gloria.
Infatti, subire una simile prova è spesso a
te più utile che godere stabilmente di una
situazione tranquilla, secondo il tuo piacere.
In verità i meriti non si valutano secondo
questo criterio, che uno abbia frequenti visioni, o
riceva particolari gioie interiori, oppure che uno
conosca bene le Scritture, o sia posto in un grado
più alto. Ma piuttosto secondo questo
criterio, che uno sia radicato nella vera
umiltà e ripieno dell'amore divino; che
ricerchi sempre soltanto e interamente di rendere
gloria a Dio; che consideri se stesso un nulla; che
si disprezzi veramente e preferisca perfino essere
disprezzato ed umiliato dagli altri, anziché
essere onorato.
Capitolo VIII
La bassa opinione di sé agli occhi di Dio
1. «Che io osi parlare al mio Signore, pure
essendo polvere e cenere» (Gn 18,27).
Se avrò avuto troppo grande opinione di me,
ecco tu mi starai dinanzi e le mie iniquità
daranno testimonianza del vero, contro di me;
né potrò controbattere. Se invece mi
sarò considerato cosa da poco - riducendomi a
un nulla, liberandomi da ogni reputazione di me
stesso, facendomi polvere, quale sono - la tua
grazia mi sarà propizia e la tua luce
sarà vicina al mio cuore. Così ogni
stima, anche minima, svanirà per sempre,
sommersa nell'abisso della mia umiltà.
In tal modo, o Dio, tu mi mostri a me stesso: che
cosa sono e che cosa fui, a che giunsi. Sono un
nulla, e neppure me ne rendo conto.
Lasciato a me stesso, ecco il nulla; tutto è
manchevolezza. Se, invece, d'un tratto, tu guardi a
me, immediatamente divento forte e pieno di nuova
gioia. Ed è cosa veramente meravigliosa
questo sentirmi così improvvisamente
sollevato, e così amorosamente abbracciato da
te; ché, per la mia gravezza, sono portato
sempre al basso. È opera, questa, del tuo
amore: senza mio merito esso mi viene incontro, mi
aiuta in tante mie varie necessità, mi mette
al riparo da ogni grave pericolo e mi strappa da
mali veramente innumerevoli.
2. Mi ero perduto, amandomi di un amore davvero non
retto; invece, cercando soltanto te, e con retto
amore, ho trovato, ad un tempo, e me stesso e te.
Per tale amore mi sono sprofondato ancor di
più nel mio nulla; perché sei tu, che,
nella tua grande bontà, vai, nei mie
confronti, al di là di ogni merito, e al di
là di quello che io oso sperare e chiedere.
Sii benedetto, o mio Dio, perché, quantunque
io non sia degno di alcun dono, la tua
magnanimità e la tua infinita bontà
non cessano di largire benefici anche agli ingrati,
che si sono allontanati da te. Portaci di nuovo a
te, affinché siamo pieni di gratitudine, di
umiltà e di devozione. Tu sei infatti il
nostro sostegno, la nostra forza, la nostra
salvezza.
Capitolo IX
Riferire tutto a Dio, ultimo fine
1. O figlio, se veramente desideri farti santo, devo
essere io il tuo supremo ed ultimo fine; un fine che
renderà puri i tuoi affetti, troppo spesso
piegati verso te stesso e verso le creature; ed
è male giacché, quando in qualche cosa
cerchi te stesso, immediatamente vieni meno ed
inaridisci.
Tutto devi dunque ricondurre, in primo luogo, a me;
perché tutto da me proviene. Considera ogni
cosa come emanata dal sommo Bene, e perciò
riferisci tutto a me, come alla sua origine.
Acqua viva attingono a me, come a fonte viva,
l'umile e il grande, il povero e il ricco. Colui che
si mette al mio servizio, con spontaneità e
libertà di spirito, riceverà grazia su
grazia. Invece colui che cerca onore e gloria, non
in me, ma altrove; colui che cerca diletto in un suo
bene particolare, non godrà di quella gioia
vera e duratura che allarga il cuore. Anzi
incontrerà molti ostacoli ed angustie.
2. Nulla di ciò che è buono devi
ascrivere a te; nessuna capacità devi
attribuire ad un mortale. Riconosci invece che
è di Dio, senza del quale nulla ha l'uomo.
Tutto è stato dato da me, tutto voglio
riavere; e chiedo con forza che l'uomo me ne sia
grato. È questa la verità, che mette
in fuga ogni inconsistente vanteria. Quando verranno
la grazia celeste e il vero amore, allora
scompariranno l'invidia e la grettezza del cuore, e
non dominerà più l'amor proprio;
perché l'amore di Dio vince ogni cosa e
irrobustisce le forze dell'anima.
Se vuoi essere saggio, poni la tua gioia e la tua
speranza soltanto in me. Infatti «nessuno
è buono; buono è soltanto Iddio»
(Lc 18,19). Sia egli lodato, al di sopra di ogni
cosa; e sia in ogni cosa benedetto.
Capitolo X
Dolce cosa, abbandonare il mondo e servire Dio
1. Parlerò ancora, e non tacerò;
dirò all'orecchio del mio Dio, mio signore e
mio re, che sta nei cieli: se «è tanto
grande e sovrabbondante, o Signore, la dolcezza che
hai preparato per coloro che ti temono» (Sal
30,20), che cosa sei tu, per coloro che ti amano e
per coloro che ti servono con tutto il cuore?
Davvero ineffabile è la dolcezza della tua
contemplazione, che tu concedi a coloro che ti
amano.
Ecco dove massimamente mostrasti la soavità
del tuo amore per me: non ero, e mi hai creato; mi
ero allontanato da te, e tu mi hai ricondotto a
servirti; infine mi hai comandato di amarti.
Oh, fonte di eterno amore, che potrò dire di
te; come mi potrò dimenticare di te, che ti
sei degnato di ricordarti di me? E, dopo che mi ero
perduto nel marciume, hai usato misericordia con il
tuo servo, al di là di ogni speranza; gli hai
offerto grazia ed amicizia, al di là di ogni
merito. Che cosa mai potrò dare in cambio di
un tal beneficio? Giacché non a tutti
è concesso di abbandonare ogni cosa, di
rinunciare al mondo e di scegliere la vita del
monastero.
2. Non è forse gran cosa che io serva a te,
al quale ogni creatura deve servire? Non mi deve
sembrare gran cosa? Ma piuttosto mi sembra grande e
meraviglioso che tu, unendolo ad eletti tuoi servi,
ti degni di accogliere quale servo, uno come me,
così misero e privo di meriti.
A te appartiene chiaramente tutto ciò che io
posseggo e con cui ti servo. E invece sei tu che mi
servi, più di quanto io non serva te. Ecco,
tutto fanno prontamente, secondo il tuo comando, il
cielo e la terra, che tu hai creati per servizio
dell'uomo. E questo è ancor poco; ché
anche gli angeli li hai creati e predisposti per
servizio dell'uomo. Ma, al di sopra di tutto
ciò, sta il fatto che tu stesso ti sei
degnato di servire l'uomo, promettendogli in dono te
stesso.
E io che darò, in cambio di tutti questi
innumerevoli benefici? Potessi stare al tuo servizio
tutti i giorni della mia vita; potessi almeno
riuscire a servirti degnamente per un solo giorno.
In verità, a te è dovuto ogni
servizio, ogni onore e ogni lode, in eterno. In
verità tu sei il mio Signore, ed io sono il
tuo misero servo, che deve porre al tuo servizio
tutte le sue forze, senza mai stancarsi di cantare
le tue lodi.
Questo è il mio desiderio, questa è la
mia volontà. Degnati tu di supplire alle mie
deficienze.
3. Mettersi al tuo servizio, disprezzando ogni cosa
per amor tuo, è grande onore e grande merito.
Infatti, coloro che si saranno sottoposti
spontaneamente al tuo santo servizio avranno grazia
copiosa e troveranno la soavissima consolazione
dello Spirito Santo. Coloro che, per il tuo nome,
saranno entrati nella via stretta, lasciando ogni
cosa mondana, conseguiranno una grande
libertà interiore.
Quanto è grato e lieto questo servire a Dio,
che rende l'uomo veramente libero e santo. Quanto
è benedetta la condizione del religioso
servizio, che rende l'uomo simile agli angeli:
compiacenza di Dio, terrore dei demoni, esempio ai
fedeli.
Con indefettibile desiderio dobbiamo, dunque,
abbracciare un tale servizio, che ci assicura il
sommo bene e ci fa conseguire una gioia perenne,
senza fine.
Capitolo XI
Vagliare e frenare i desideri del nostro cuore
1. Figlio, tu devi imparare ancora molte cose, fin
qui non bene apprese.
Signore, quali sono queste cose?
Che tu indirizzi il tuo desiderio interamente
secondo la mia volontà; che tu non stia
attaccato a te stesso; che ardentemente tu ami e
brami di seguire la mia volontà.
Sovente vari desideri ti accendono e urgono in te
fortemente, ma devi riflettere se tu non sia mosso
dal tuo onore o comodo. Se mirerai a me, sarai
pienamente felice, comunque io voglia che vadano le
cose; se invece c'è sotto una qualunque tua
voglia, ecco, è questo che ti impedisce e ti
appesantisce.
Guardati, dunque, dal basarti troppo su un desiderio
concepito senza che io sia stato consultato;
affinché poi tu non abbia a pentirti;
affinché non abbia a disgustarti ciò
che dapprima ti era sembrato caro e che avevi
agognato come preferibile sopra ogni cosa.
2. In verità, non ogni moto, pur se ci appare
degno di approvazione, va subito favorito; né
ogni moto che ci ripugna va respinto fin da
principio.
Occorre talvolta che tu usi il freno, anche
nell'intraprendere e nel desiderare cose buone.
Ché il tuo animo potrebbe poi esser distolto
da ciò, come cosa eccessiva; o potresti
ingenerare scandalo in altri, per essere andato al
di là delle regole comuni; o potresti d'un
tratto cadere in agitazione perché ti si
ostacola.
Altra volta, invece, occorre che tu faccia violenza
a te stesso, andando virilmente contro l'impulso dei
sensi; occorre che tu non faccia caso a ciò
che la carne desidera o non desidera, preoccupandoti
piuttosto che essa, pur contro voglia, stia
sottomessa allo spirito. Occorre che la carne sia
imbrigliata e costretta a stare soggetta, fino a che
non sia pronta a tutto; fino a che non sappia
accontentarsi, lieta di poche e semplici cose, senza
mormorare per qualche inconveniente.
Capitolo XII
L'educazione a patire e la lotta contro la
concupiscenza
1. Signore Dio, capisco che è per me
veramente necessario saper soffrire, giacché
in questo mondo accadono tante avversità.
Invero, comunque io abbia disposto per la mia
tranquillità, la mia vita non può
essere esente dalla lotta e dal dolore.
Così è, o figlio. Tale infatti
è la mia volontà: tu non devi andar
cercando una pace, che non abbia e non senta
tentazione o avversità; anzi devi ritenere
per certo di aver trovato pace, anche quando sarai
afflitto da varie tribolazioni e sarai provato da
molte contrarietà.
Se obietterai di non riuscire ora a sopportare
tanto, come riuscirai a sostenere poi il fuoco del
purgatorio? Tra due mali, scegliere sempre il
minore. Così, per poter sfuggire alle pene
eterne future, vedi di sopportare, con fermezza e
per amore di Dio, i mali presenti.
Credi forse che quelli che vivono nel mondo non
abbiano a patire per nulla, o soltanto un pochino?
No; questo non lo riscontrerai, nemmeno cercando tra
le persone che vivono negli agi più grandi.
Tuttavia - mi dirai - costoro hanno molte gioie,
fanno ciò che loro più piace e alle
loro tribolazioni non danno, perciò, gran
peso. Ammettiamo che le cose stiano così e
che costoro abbiano tutto ciò che vogliono.
Ma quanto pensi che potrà durare? Ecco,
«come fumo si disperderanno» (Sal 36,20)
coloro che in questo mondo sono nell'abbondanza;
delle loro gioie di un tempo non resterà
ricordo alcuno.
2. Di più, anche mentre sono ancora in vita,
costoro non godono quelle gioie andando esenti da
amarezze, da noie e da timori. Che anzi,
frequentemente, proprio dalle stesse cose dalle
quali si ripromettono gioia, essi traggono una
dolorosa pena.
E giustamente per loro ciò accade. Infatti,
cercando essi ed inseguendo il piacere anche contro
l'ordine disposto da Dio, non lo raggiungono senza
vergogna ed amarezza.
Come è breve questo piacere e falso e
contrario al volere di Dio; e come è turpe.
Eppure gli uomini, ebbri e ciechi, non capiscono; e,
come bruti, vanno incontro alla morte dell'anima per
un piccolo piacere di questa vita corruttibile.
Ma tu, figlio, non andare dietro alle «tue
concupiscenze; distogliti dal tuo capriccio»
(Sir 18,30). «Metti il tuo gaudio nel Signore;
egli ti darà ciò che il tuo cuore
domanderà» (Sal 36,4).
Infatti, se veramente desideri la pienezza della
gioia e della mia consolazione, ecco, la tua
felicità consisterà nel disprezzo di
tutto ciò che è nel mondo e nel
distacco da ogni piacere. Così ti saranno
concesse grandi consolazioni. Quanto più ti
allontanerai da ogni conforto che venga dalle
creature, tanto più grandi e soavi
consolazioni troverai in me.
A questo non giungerai, però, senza avere
prima sofferto e faticosamente lottato. Farà
resistenza il radicato costume; ma sarà vinto
poi da una abitudine migliore. Protesterà la
carne, ma sarà tenuta a freno dal fervore
spirituale. Ti istigherà, fino
all'esasperazione, l'antico serpente; ma sarà
messo in fuga dalla preghiera oppure gli sarà
ostacolato un facile ingresso, se ti troverà
preso da un lavoro pratico.
Capitolo XIII
Mettersi al di sotto di tutti in umile obbedienza,
sull'esempio di Gesù Cristo
1. Figlio, colui che tenta di sottrarsi
all'obbedienza si sottrae anche alla grazia. Colui
che cerca il bene suo personale perde anche il bene
che è proprio del vivere in comune. Colui che
non si sottopone lietamente e spontaneamente al suo
superiore dimostra che la carne non gli obbedisce
ancora perfettamente, ma spesso recalcitra e
mormora.
Impara dunque a sottometterti prontamente al tuo
superiore, se vuoi soggiogare la tua carne. Infatti,
il nemico di fuori lo si vincerà più
presto, se sarà saldo l'uomo interiore. Non
c'è peggiore e più insidioso nemico
dell'anima tua, di te stesso, quando il corpo non si
accorda con lo spirito. Per avere vittoria sulla
carne e sul sangue, devi assumere un totale e vero
disprezzo di te. Tu hai ancora invece un eccessivo e
disordinato amore di te stesso; per questo sei tanto
esitante a rimetterti interamente alla
volontà degli altri.
2. Ma che c'è di strano, se tu, polvere e
nulla, ti sottoponi a un uomo, per amore di Dio,
quando io, onnipotente ed altissimo, che dal nulla
ho creato tutte le cose per amor tuo, mi feci
piccolo fino a sottopormi all'uomo? Mi sono fatto
l'ultimo e il più piccolo di tutti, proprio
perché, per questo mio abbassarmi, tu potessi
vincere la tua superbia.
Impara a obbedire, tu che sei polvere; impara ad
umiliarti, tu che sei terra e fango; impara a
disprezzare i tuoi desideri e a metterti in totale
sottomissione. Insorgi infiammato contro te stesso,
e non permettere che in te si annidi la tumefazione
della superbia. Dimostrati così basso e nella
polvere che tutti possano camminare sopra di te e
calpestarti come il fango della strada.
Che hai da lamentarti tu, uomo da nulla? Che hai tu,
immondo peccatore, da contrapporre a coloro che ti
accusano: tu, che tante volte hai offeso Dio,
meritando assai spesso l'inferno? Ma, ecco,
poiché apparve preziosa al mio sguardo
l'anima tua, il mio occhio ebbe compassione di te,
così che, conoscendo il mio amore, tu avessi
continua gratitudine per i miei benefici ed
abbracciassi, senza esitare, un'umile sottomissione,
nella paziente sopportazione dell'altrui disprezzo.
Capitolo XIV
Pensare all'occulto giudizio di Dio, per non
insuperbirci del bene
1. Come tuono fai scendere sopra di me i tuoi
giudizi, Signore; timore e terrore scuotono tutte le
mie ossa. Sbigottito penso che neppure i cieli sono
puri, di fronte a te. Se hai trovato dei malvagi
persino tra gli angeli e non li hai risparmiati, che
cosa accadrà di me?
Caddero le stelle del cielo, ed io che cosa presumo
di me? Caddero nel profondo certuni, che sembrava
avessero compiuto opere degne di lode; certuni che
mangiavano il pane degli angeli, li ho visti
contentarsi delle carrube che mangiano i porci.
Invero, non c'è santità se tu, o
Signore, togli la tua mano; la sapienza non serve a
nulla, se tu cessi di reggerci; la fortezza non
giova, se tu cessi di custodirla; la castità
non è sicura, se tu non la difendi; la
vigilanza su se stessi non vale, se tu non sei
presente con la tua santa protezione. Infatti se tu
ci abbandoni, andiamo a fondo e moriamo; se tu,
invece, ci assisti, ci teniamo ritti e viviamo.
In verità, noi siamo malfermi, ma tu ci
rafforzi; siamo tiepidi, ma tu ci infiammi.
2. Oh! come devo essere conscio della mia bassezza e
della mia abiezione; e come devo considerare un
nulla quel poco di bene che mi possa sembrare di
aver fatto.
Con quale pienezza di sottomissione devo accettare,
o Signore, i tuoi profondi giudizi, giacché
mi trovo ad essere nient'altro che nulla e poi
nulla. È cosa grande, che supera ogni misura,
mare grande, invalicabile, questo riscontrare che di
mio non c'è assolutamente niente.
Dove mai si nasconde la mia boria, dove finisce la
sicurezza che riponevo nel disprezzo della gloria?
Ogni mia vuota vanteria è inghiottita nella
profondità dei tuoi giudizi sopra di me.
Che cosa mai è l'uomo di fronte a te? Forse
che la creta può vantarsi nei confronti di
colui che la plasma? (cfr. Is 45,9). Come può
gonfiarsi, con vane parole, colui che, in
verità, nell'intimo è soggetto a Dio?
Neppure il mondo intero lo potrebbe far montare in
superbia, poiché la Verità stessa lo
ha soggiogato. Neppure un elogio da parte di tutti
gli uomini lo potrebbe smuovere, poiché ha
posto interamente la sua speranza in Dio: infatti,
quelli che fanno tali elogi, ecco, non sono che
nulla, e scompariranno con il suono delle loro
parole. Mentre la «parola del Signore resta in
eterno» (Sal 116,2).
Capitolo XV
Come comportarci e che cosa dire di fronte a ogni
nostro desiderio
1. Figliolo, così tu devi dire in ogni cosa:
Signore, se questa è la tua volontà,
così si faccia. Signore, se questo è
per tuo amore, così si faccia, nel tuo nome.
Signore, se questo ti parrà necessario per
me, e lo troverai utile, fa' che io ne usi per il
tuo onore; se invece comprenderai che questo
è male per me e non giova alla mia salvezza,
toglimi questo desiderio.
Infatti, non tutti i desideri vengono dallo Spirito
Santo, anche se a noi appaiono giusti, retti e
buoni. È difficile giudicare veramente se sia
uno spirito buono, o uno spirito contrario, che ti
spinge a desiderare questa o quell'altra cosa;
oppure se tu sia mosso da un sentimento personale.
Molti, che dapprima sembravano guidati da sentimento
buono, alla fine si sono trovati ingannati.
Perciò ogni cosa che balza alla mente come
desiderabile sempre la si deve volere e cercare con
animo pieno di timor di Dio e con umiltà di
cuore. Soprattutto, ogni cosa va rimessa a me, con
abbandono di se stessi, dicendo: Signore, tu sai che
cosa sia meglio per me. Si faccia così, o
altrimenti, secondo la tua volontà. Dammi
quello che vuoi, e quanto vuoi e quando vuoi.
Disponi di me secondo la tua sapienza, la tua
volontà e la tua maggior gloria. Mettimi dove
tu vuoi, e fai con me quello che vuoi, liberamente.
Sono nelle tue mani; fammi rigirare per ogni verso.
Ecco, io sono il tuo servo, disposto a tutto,
perché non voglio vivere per me ma per te: e
volesse il cielo che ciò fosse in modo degno
e perfetto.
Preghiera perché riusciamo a compiere la
volontà di Dio
2. Amorosissimo Gesù, dammi la tua grazia,
perché «sia operante in me» (Sap
9,10) e in me rimanga sino alla fine. Dammi di
desiderare e di volere ciò che più ti
è gradito e più ti piace. La tua
volontà sia la mia volontà; che io la
segua e che ad essa mi conformi pienamente; che io
abbia un solo volere e disvolere con te; che io
possa desiderare o non desiderare soltanto quello
che tu desideri o non desideri.
Dammi di morire a tutte le cose del mondo; fammi
amare di esser disprezzato per causa tua, e di
essere dimenticato in questo mondo.
Fammi bramare sopra ogni altra cosa di avere riposo
in te, e di trovare in te la pace del cuore.
Tu sei la vera pace interiore, tu sei il solo
riposo; fuori di te ogni cosa è aspra e
tormentosa. «In questa pace, nella pace vera,
cioè in te, unico sommo eterno bene,
avrò riposo e quiete» (Sal 4,9). Amen.
Capitolo XVI
Soltanto in Dio va cercata la vera consolazione
1. Qualunque cosa io possa immaginare e desiderare
per mia consolazione, non l'aspetto qui, ora, ma in
futuro. Ché, pure se io potessi avere e
godere da solo tutte le gioie e le delizie del
mondo, certamente ciò non potrebbe durare a
lungo. Sicché, anima mia, non potrai essere
pienamente consolata e perfettamente confortata se
non in Dio, che allieta i poveri e accoglie gli
umili.
Aspetta un poco, anima mia, aspetta ciò che
Dio ha promesso e avrai in cielo la pienezza di ogni
bene. Se tu brami disordinatamente i beni temporali,
perderai quelli eterni del cielo: dei beni di
quaggiù devi avere soltanto l'uso temporaneo,
col desiderio fisso a quelli eterni. Anima mia,
nessun bene di quaggiù ti potrà
appagare, perché non sei stata creata per
avere soddisfazione in queste cose. Anche se tu
avessi tutti i beni del mondo, non potresti essere
felice e beata, perché è in Dio,
creatore di tutte le cose, che consiste la tua
completa beatitudine e la tua felicità. Non
una felicità quale appare nella esaltazione
di coloro che amano stoltamente questo mondo, ma una
felicità quale si aspettano i buoni seguaci
di Cristo; quale, talora, è pregustata, fin
da questo momento, da coloro che vivono dello
spirito e dai puri di cuore, «il cui pensiero
è già nei cieli» (Fil 3,20).
2. Vano e di breve durata è il conforto che
viene dagli uomini; santo e puro è quello che
la verità fa sentire dal di dentro. L'uomo
pio si porta con sé, dappertutto, il suo
consolatore, Gesù, e gli dice: O Signore
Gesù, stammi vicino in ogni luogo e in ogni
tempo.
La mia consolazione sia questa, di rinunciare
lietamente ad ogni conforto umano. Che se mi
verrà meno la tua consolazione, sia per me di
supremo conforto, appunto, questo tuo volere, questa
giusta prova; poiché «non durerà
per sempre la tua collera e le tue minacce non
saranno eterne» (Sal 102,9).
Capitolo XVII
Affidare stabilmente a Dio ogni cura di noi stessi
1. Figlio, lascia che io faccia con te quello che
voglio: io so quello che ti è necessario. Tu
hai pensieri umani e i tuoi sentimenti seguono
spesso suggestioni umane.
Signore, è ben vero quanto dici. La tua
sollecitudine per me è più grande di
ogni premura che io possa avere per me stesso. In
verità, chi non rimette in te tutte le sue
preoccupazioni si affida proprio al caso.
Signore, purché la mia volontà sia
continuamente retta e ferma in te, fai di me quello
che ti piace. Giacché, qualunque cosa avrai
fatto di me non può essere che per il bene.
Se mi vuoi nelle tenebre, che tu sia benedetto; e se
mi vuoi nella luce, che tu sia ancora benedetto. Se
ti degni di darmi consolazione, che tu sia
benedetto; e se mi vuoi nella tribolazione, che tu
sia egualmente sempre benedetto.
2. Figlio, se vuoi camminare con me, questo deve
essere il tuo atteggiamento. Devi essere pronto a
patire, come pronto a godere; devi lietamente essere
privo di tutto e povero, come sovrabbondante e
ricco.
Signore, qualunque cosa vorrai che mi succeda, la
sopporterò di buon grado per tuo amore. Con
lo stesso animo voglio accettare dalla tua mano bene
e male, dolcezza e amarezza, gioia e tristezza; e
voglio renderti grazie per ogni cosa che mi accada.
Preservami tu da tutti i peccati, e non
temerò né la morte né
l'inferno. Purché tu non mi respinga per
sempre cancellandomi dal libro della vita, qualunque
tribolazione mi piombi addosso non mi farà
alcun male.
Capitolo XVIII
Sopportare serenamente le miserie di questo mondo
sull'esempio di Cristo
1. Figlio, io discesi dal cielo per la tua salvezza
e presi sopra di me le tue miserie, non
perché vi fossi costretto, ma per slancio
d'amore; e ciò perché tu imparassi a
soffrire e a sopportare senza ribellione le miserie
di questo mondo. Infatti, dall'ora della mia nascita
fino alla morte in croce, non venne mai meno in me
la forza di sopportare il dolore. Ho conosciuto
grande penuria di beni terreni; ho udito molte
accuse rivolte a me; ho sopportato con dolcezza cose
da far arrossire ed ingiurie; per il bene fatto ho
ricevuto ingratitudine; per i miracoli, bestemmie;
per il mio insegnamento, biasimi.
2. Signore, tu ben sapesti patire per tutta la tua
vita, compiendo pienamente, in tal modo, la
volontà del Padre tuo; perciò è
giusto che io, misero peccatore, sappia sopportare
me stesso, fin quando a te piacerà; è
giusto che, per la mia salvezza, io porti il peso di
questa vita corruttibile, fino a quando tu vorrai.
In verità, anche se noi la sentiamo come un
peso, la vita di quaggiù, per effetto della
tua grazia, già fu resa capace di molti
meriti e più tollerabile e luminosa, per noi,
povera gente, in virtù del tuo esempio e
dietro le orme dei tuoi santi. Anzi la nostra vita
è piena di consolazione, molto più di
quanto non fosse al tempo del vecchio testamento,
quando era ancora chiusa la porta del cielo e ancora
era nascosta la via di esso, quando erano ben pochi
quelli che si davano pensiero di cercare il regno
dei cieli; ma neppure i giusti, meritevoli di
salvezza, potevano entrare nella pace celeste prima
della tua passione e del passaggio della tua santa
morte.
Oh, come ti debbo ringraziare per aver mostrato a
me, e a tutti i tuoi seguaci, la strada diritta e
sicura verso l'eterno tuo regno! La nostra strada
è la tua stessa via: attraverso una santa
capacità di patire camminiamo verso di te,
che sei il nostro premio.
Se tu non ci avessi preceduto, con questo
insegnamento, chi si prenderebbe cura di seguirti?
Quanti si volterebbero indietro, se non guardassero
al tuo esempio luminoso. Ecco, siamo ancora ben poco
fervorosi, pur dopo tanti miracoli e nonostante i
tuoi ammaestramenti; che cosa mai sarebbe di noi, se
non avessimo avuto una così grande luce per
seguirti?
Capitolo XIX
La capacità di sopportare le offese e la vera
provata pazienza
1. Che è quello che vai dicendo, o figlio?
Cessa il tuo lamento, tenendo presenti le sofferenze
mie e quelle degli altri santi. «Non hai
resistito ancora fino al sangue» (Eb 12,4).
Ciò che tu soffri è poca cosa, se ti
metti a confronto con coloro che patirono tanto
gravemente: così fortemente tentati,
così pesantemente tribolati, e messi in vari
modi a dura prova. Occorre dunque che tu rammenti le
sofferenze più gravi degli altri, per
imparare a sopportare le tue, così piccole.
Che se ti sembrano eccessive, vedi se anche questo
non dipenda dalla tua incapacità di
sopportazione. Comunque, siano piccoli o grandi
questi mali, fa' in modo di sopportare tutto
pazientemente.
Il tuo agire sarà tanto più saggio, e
tanto più grande sarà il tuo merito,
quanto meglio ti sarai disposto al patire; anzi lo
troverai anche più lieve, se, intimamente e
praticamente, sarai pronto e sollecito.
E non dire: questo non lo posso sopportare; non devo
tollerare cose simili da una tale persona, che mi fa
del male assai, e mi rimprovera cose che non avevo
neppure pensato; da un altro, non da lui, le
tollererei di buon grado, e riterrei giusto doverle
sopportare. È una stoltezza un simile
ragionamento. Esso non tiene conto della
virtù della pazienza, né di colui a
cui spetta di premiarla; ma tiene conto piuttosto
delle persone e delle offese ricevute.
Vero paziente non è colui che vuole
sopportare soltanto quel che gli sarà
sembrato giusto, e da chi gli sarà piaciuto.
Vero paziente, invece, è colui che non guarda
da quale persona egli venga messo alla prova: se dal
suo superiore, oppure da un suo pari, o da un
inferiore; se da un uomo buono e santo, oppure da un
malvagio, o da persona che non merita nulla. Vero
paziente è colui che indifferentemente - da
qualunque persona, e per quante volte, gli venga
qualche contrarietà - tutto accetta con animo
grato dalla mano di Dio; anzi lo ritiene un
vantaggio grande, poiché non c'è cosa,
per quanto piccola, purché sopportata per
amore di Dio, che passi senza ricompensa, presso
Dio.
2. Sii dunque preparato al combattimento, se vuoi
ottenere vittoria. Senza lotta non puoi giungere ad
essere premiato per la tua sofferenza. Se rifiuti la
sofferenza, rifiuti anche il premio; se invece
desideri essere premiato, devi combattere da vero
uomo e saper sopportare con pazienza. Come al riposo
non si giunge se non dopo aver faticato, così
alla vittoria non si giunge se non dopo aver
combattuto.
Oh, Signore, che mi diventi possibile, per tua
grazia, quello che mi sembra impossibile per la mia
natura: tu sai che ben scarsa è la mia
capacità di soffrire, e che al sorgere di
una, sia pur piccola, difficoltà, mi trovo
d'un colpo atterrato. Che mi diventi cara e
desiderabile, in tuo nome, qualsiasi prova e
qualsiasi tribolazione: soffrire ed esser tribolato
per amor tuo, ecco ciò che è
grandemente salutare all'anima mia.
Capitolo XX
Riconoscere la propria debolezza e la miseria di
questa nostra vita
1. «Confesserò contro di me il mio
peccato» (Sal 31,5); a te, o Signore,
confesserò la mia debolezza. Spesso basta una
cosa da nulla per abbattermi e rattristarmi: mi
propongo di comportarmi da uomo forte, ma, al
sopraggiungere di una piccola tentazione, mi trovo
in grande difficoltà. Basta una cosa
assolutamente da nulla perché me ne venga una
grave tentazione: mentre, fino a che non l'avverto,
mi sento abbastanza sicuro, poi, a un lieve spirare
di vento, mi trovo quasi sopraffatto.
«Guarda dunque, Signore, alla mia
miseria» (Sal 24,18) e alla mia
fragilità, che tu ben conosci per ogni suo
aspetto; abbi pietà di me; «tirami
fuori dal fango, così che io non vi rimanga
confitto» (Sal 68,15), giacendo a terra per
sempre.
Quello che mi risospinge indietro e mi fa arrossire
dinanzi a te, è appunto questa mia
instabilità e questa mia debolezza nel
resistere alle tentazioni. Che, pur quando ad esse
non si acconsenta del tutto, già molto mi
disturba la persecuzione loro; e assai mi affligge
vivere continuamente così, in lotta.
La mia debolezza mi appare in modo chiaro dal fatto
che proprio i pensieri che dovrei avere sempre in
orrore sono molto più facili a piombare su di
me che ad andarsene.
Voglia il Cielo, o potentissimo Dio di Israele, che,
nel tuo grande amore per le anime di coloro che
hanno fede in te, tu abbia a guardare alla fatica e
alla sofferenza del tuo servo; che tu l'assista in
ogni cosa a cui si accinge. Fammi forte della divina
fortezza, affinché non abbia a prevalere in
me l'uomo vecchio: questa misera carne non ancora
pienamente sottomessa allo spirito, contro la quale
bisogna combattere, finché si vive in questa
miserabile vita.
2. Ahimè! quale è questa vita, dove
non mancano tribolazioni e miserie; dove tutto
è pieno di agguati e di nemici! Ché,
se scompare un'afflizione o una tentazione, un'altra
ne viene; anzi, mentre ancora dura una lotta, ne
sopraggiungono molte altre, e insospettate.
Ora, come si può amare una vita così
piena di amarezze, così soggetta a disgrazie
e a miserie? Di più, come si può
chiamare vita questa, se da essa procedono tante
morti e calamità? E invece la si ama e molta
gente va cercando in essa la propria gioia. Il mondo
viene sovente accusato di essere ingannevole e vano;
ma non per questo viene facilmente abbandonato,
perché prevalgono le brame terrene.
Altro è ciò che induce ad amare il
mondo; altro è ciò che induce a
condannarlo. Inducono ad amarlo il desiderio
dell'uomo carnale, «il desiderio degli occhi e
la superbia della vita» (1 Gv 2,16); inducono
invece ad odiarlo e ad esserne disgustati le pene e
le sofferenze che giustamente conseguono a quei
desideri perversi.
E tuttavia - tristissima cosa - i piaceri malvagi
hanno il sopravvento in coloro che hanno l'animo
rivolto al mondo, e «considerano gioia lo
stare tra le spine» (Gb 30,7); incapaci, come
sono, di vedere e di gustare la soavità di
Dio e l'intima bellezza della virtù. Quelli
invece che disprezzano totalmente il mondo, e si
sforzano di vivere per Dio in santa disciplina,
conoscono la divina dolcezza, che è stata
promessa a chi sa davvero rinunciare; essi
comprendono appieno quanto siano gravi gli errori e
gli inganni del mondo.
Capitolo XXI
In Dio, al di sopra di ogni bene e di ogni dono,
dobbiamo trovare la nostra pace
1. O anima mia, al di sopra di ogni cosa troverai
riposo, sempre, nel Signore, perché lui
stesso costituisce la pace dei santi, in eterno.
Dammi, dolcissimo e amabilissimo Gesù, di
trovare quiete in te. In te, al di sopra di ogni
creatura, di ogni bene di salute e di bellezza; al
di sopra di ogni gloria ed onore, potere e
autorità; al di sopra di tutto il sapere, il
più penetrante; al di sopra di ogni ricchezza
e capacità; al di sopra di ogni letizia e
gioia, di ogni fama e stima degli uomini; al di
sopra di ogni dolcezza, consolazione, speranza o
promessa umana; al di sopra di ogni ambita
ricompensa, di ogni dono o favore che, dall'alto, tu
possa concedere; al di sopra di ogni motivo di
gaudio e di giubilo, che mente umana possa concepire
e provare; infine, al di sopra degli Angeli, degli
Arcangeli e di tutte le schiere celesti, al di sopra
delle cose visibili e delle cose invisibili, e di
tutto ciò che non sia tu, Dio mio:
poiché, o Signore mio Dio, tu sei
eccellentissimo su ogni cosa.
Tu solo sei l'altissimo e l'onnipotente; tu solo dai
ogni appagamento e pienezza e ogni dolcezza e
conforto; tu solo sei tutta la bellezza e
l'amabilità; tu solo sei, più d'ogni
cosa, ricco di nobiltà e di gloria; in te
sono, furono e saranno, tutti quanti i beni,
compiutamente. Perciò, qualunque cosa tu mi
dia, che non sia te stesso, qualunque cosa tu mi
riveli di te, o mi prometta, senza che io possa
contemplare o pienamente possedere te, è ben
poco e non mi appaga. Ché, in verità,
il mio cuore non può realmente trovare quiete
e totale accontentamento, se non riposi in te,
portandosi più in alto di ogni dono e di ogni
creatura.
2. Cristo Gesù, mio sposo tanto amato, amico
vero, signore di tutte le creature, chi mi
darà ali di vera libertà, per volare e
giungere a posarmi in te? Quando mi sarà dato
di essere completamente libero da me stesso e di
contemplare la tua soavità, o Signore mio
Dio? Quando mi raccoglierò interamente in te,
cosicché, per amor tuo non mi accorga di me
stesso, ma soltanto di te, al di là del
limite di ogni nostro sentire e in un modo che non
tutti conoscono?
Ma eccomi ora qui a piangere continuamente e a
portare dolorosamente la mia infelicità.
Giacché, in questa valle di miserie, molti
mali mi si parano innanzi: sovente mi turbano, mi
rattristano e mi ottenebrano; sovente mi intralciano
il cammino o me ne distolgono, tenendomi legato e
impacciato, tanto da non poter accostarmi
liberamente a te, a godere del gioioso abbraccio,
costantemente aperto agli spiriti beati.
Che il mio sospiro e la grande e varia desolazione
di questo mondo abbiano a commuoverti. O
Gesù, splendore di eterna gloria, conforto
del mio pellegrinaggio, a te è rivolta la mia
faccia senza che io dica nulla, è il mio
silenzio che ti parla. Fino a quando tarderà
a venire il mio Dio? Venga a me, che sono il suo
poverello, e mi dia letizia; stenda la sua mano e
strappi me misero da ogni angustia. Vieni, vieni:
senza di te non ci sarà una sola giornata,
anzi una sola ora, gioiosa, perché la mia
gioia sei tu, e vuota è la mia mensa senza di
te.
Un pover'uomo, io sono, quasi chiuso in un carcere e
caricato di catene, fino a che tu non mi abbia
rifatto di nuovo, con la tua presenza illuminante,
mostrandomi un volto benevolo, e fino a che tu non
mi abbia ridato la libertà.
Vadano altri cercando, invece di te, qualunque cosa
loro piaccia. Quanto a me, nulla mi è ora
gradito, nulla mi sarà mai gradito, fuori di
te, mio Dio, mia speranza e salvezza eterna.
Né tacerò, o smetterò di
supplicare, fino a che non torni a me la tua grazia
e la tua parola non si faccia sentire dentro di me.
3. Ecco, sono qua; eccomi a te, che mi hai invocato.
Le tue lacrime, il desiderio dell'anima tua, la tua
umiliazione e il pentimento del tuo cuore mi hanno
piegato e mi hanno fatto avvicinare a te.
Dicevo io allora: ti avevo invocato, Signore, avevo
desiderato di godere di te, pronto a rinunciare ad
ogni cosa per te; ma eri stato tu, per primo, che mi
avevi mosso a cercarti. Sii dunque benedetto, o
Signore, tu che hai usato tale bontà con
questo tuo servo, secondo la grandezza della tua
misericordia.
Che cosa mai potrà dire ancora, al tuo
cospetto, il tuo servo, se non parole di grande
umiliazione, dinanzi a te, sempre ricordandosi della
propria iniquità e della propria bassezza?
Non c'è, infatti, tra tutte le meraviglie del
cielo e della terra, cosa alcuna che ti possa
somigliare. Le tue opere sono perfette, e
infallibili i tuoi giudizi; per la tua provvidenza
si reggono tutte le cose. Sia, dunque, lode e gloria
a te, o sapienza del Padre. La mia bocca, la mia
anima e insieme tutte le cose create ti esaltino e
ti benedicano.
Capitolo XXII
Riconoscere i molti e vari benefici di Dio
1. Introduci, o Signore, il mio cuore nella tua
legge e insegnami a camminare nei tuoi precetti. Fa'
che io comprenda la tua volontà; fa' che, con
grande reverenza e con attenta riflessione, io mi
rammenti, uno per uno e tutti insieme, i tuoi
benefici, così che sappia rendertene degne
grazie. Per altro, so bene e confesso di non potere,
neppure minimamente, renderti i dovuti
ringraziamenti di lode. Ché io sono inferiore
a tutti i beni che mi sono stati concessi. Quando
penso alla tua altezza, il mio spirito viene meno di
fronte a questa immensità.
Tutto ciò che abbiamo, nello spirito e nel
corpo, tutto ciò che possediamo, fuori di noi
e dentro di noi, per natura o per grazia, tutto
è tuo dono; e sta a celebrare la benevolenza,
la misericordia e la bontà di colui, da cui
riceviamo ogni bene.
Che se uno riceve di più e un altro di meno,
tutto è pur sempre tuo: senza di te, non
possiamo avere neppure la più piccola cosa.
Da un lato, chi ha ricevuto di più non
può vantarsene come di un suo merito,
né innalzarsi sugli altri o schernire chi ha
di meno. Più grande e più santo
è, infatti, colui che fa minor conto di se
stesso e ringrazia Dio con maggiore umiltà e
devozione; più pronto a ricevere maggiormente
è colui che si ritiene più
disprezzabile di tutti e si giudica più
indegno.
D'altro lato, chi ha ricevuto di meno non deve
rattristarsi, non deve indignarsi o nutrire invidia
per chi ha avuto di più; deve piuttosto
guardare a te e lodare grandemente la tua
bontà, perché tu largisci i tuoi doni
con tanta abbondanza, gratuità e benevolenza,
«senza guardare alle persone» (1 Pt
1,17).
2. Tutto viene da te. Che tu sia, dunque, lodato per
ogni cosa. Quello che sia giusto concedere a
ciascuno, lo sai tu. Perché uno abbia di meno
e un altro di più, non possiamo comprenderlo
noi, ma solo tu, presso cui sono definiti i meriti
di ciascuno. Per questo, o Signore Iddio, io
considero un grande dono anche il non avere molte di
quelle cose, dalle quali vengono lodi e onori
dall'esterno, secondo il giudizio umano.
Così, guardando alla sua povertà e
alla nullità della sua persona, nessuno ne
tragga un senso di oppressione, di tristezza o di
abbattimento, ma invece ne tragga consolazione e
grande serenità; perché i poveri e
coloro che stanno in basso, disprezzati dal mondo,
tu, o Dio, li hai scelti come tuoi intimi amici. Una
prova di questo è data dai tuoi apostoli. Tu
li hai posti come «principi su tutta la
terra» (Sal 44,17); essi infatti passarono in
questo mondo senza un lamento: tanto umili e
semplici, tanto lontani da ogni astuzia e malizia,
che trovarono gioia anche nel sopportare oltraggi
«a causa del tuo nome» (At 5,41),
abbracciando con grande slancio quello da cui il
mondo rifugge.
Colui che ti ama, colui che apprezza i tuoi doni, di
nulla deve esser lieto quanto di realizzare in
sé la tua volontà e il comando dei
tuoi eterni decreti. Solo nel tuo volere egli deve
trovare appagamento e consolazione, tanto da
desiderare di essere il più piccolo, con lo
stesso slancio con il quale altri può
desiderare di essere il più grande. Colui che
ti ama deve trovare pace e contentezza nell'ultimo
posto, come nel primo; deve accettare di buon grado,
sia di essere disprezzato e messo in disparte senza
gloria e senza fama, sia di essere onorato al di
sopra degli altri e di emergere nel mondo.
Invero, il desiderio di fare la tua volontà e
di rendere gloria a te deve prevalere in lui su ogni
altra cosa, consolandolo e allietandolo più
di tutti i doni che gli siano stati dati o gli
possano essere dati.
Capitolo XXIII
Le quattro cose che recano una vera grande pace
1. O figlio, ora ti insegnerò la via della
pace e della vera libertà.
Fa', o Signore, come tu dici; mi è gradito
ascoltare il tuo insegnamento.
Studiati, o figlio, di fare la volontà di
altri, piuttosto che la tua. Scegli sempre di avere
meno, che più. Cerca sempre di avere il posto
più basso e di essere inferiore a tutti.
Desidera sempre, e prega, che in te si faccia
interamente la volontà di Dio. Un uomo che
faccia tali cose, ecco, entra nel regno della pace e
della tranquillità.
Una grande dottrina di perfezione è
racchiusa, o Signore, in queste tue brevi parole:
brevi a dirsi, ma piene di significato e ricche di
frutto. Che se io potessi fedelmente custodirle,
tali parole, nessun turbamento dovrebbe tanto
facilmente sorgere in me; in verità, ogni
volta che mi sento inquieto od oppresso, trovo che
mi sono allontanato da questa dottrina. Ma tu, che
tutto puoi; tu, che hai sempre caro il progresso
dell'anima mia, accresci sempre la tua grazia,
così che io possa adempiere alle tue parole e
raggiungere la mia salvezza.
Preghiera contro i malvagi pensieri
2. O Signore, mio Dio, «non allontanarti da
me; Dio mio, volgiti in mio aiuto» (Sal
70,12); ché vennero contro di me vari
pensieri e grandi terrori, ad affliggere l'anima
mia. Come ne uscirò illeso, come mi
aprirò un varco attraverso di essi?
Dice il Signore: io andrò innanzi a te e
«abbatterò i grandi della terra»
(Is 45,2). Aprirò le porte della prigione e
ti rivelerò i segreti dei santi.
O Signore, fa' come dici; e ogni iniquo pensiero
fugga dinanzi a te. Questa è la mia speranza,
questo è il mio unico conforto: in tutte le
tribolazioni rifugiarmi in te, porre la mia fiducia
in te; invocarti dal profondo del mio cuore e
attendere pazientemente la tua consolazione.
Preghiera per ottenere lume all'intelletto
3. Rischiarami, o buon Gesù, con la luce del
lume interiore, e strappa ogni tenebra dal profondo
del mio cuore; frena le varie fantasie; caccia le
tentazioni che mi fanno violenza; combatti
valorosamente per me e vinci queste male bestie,
dico le allettanti concupiscenze, cosicché,
per la forza che viene da te, si faccia pace, e
nell'aula santa, cioè nella coscienza pura
(Sal 121,7), risuoni la pienezza della tua lode.
Comanda ai venti e alle tempeste. Di' al mare
«calmati», al vento «non
soffiare»; e si farà grande bonaccia
(Mt 8,26). «Manda la tua luce e la tua
verità» (Sal 52,3) a brillare sulla
terra; ché terra io sono, povera e vuota,
fino a quando tu non mi illumini.
Effondi dall'alto la tua grazia; irriga il mio cuore
di grazia celeste; versa l'acqua della devozione ad
irrigare la faccia della terra, che produca buono,
ottimo frutto.
Innalza la mia mente schiacciata dalla mole dei
peccati; innalza alle cose celesti tutto l'animo
mio, in modo che gli rincresca di pensare alle cose
di questo mondo, dopo aver gustato la dolcezza della
felicità suprema.
Strappami e distoglimi dalle effimere consolazioni
che danno le creature; poiché non v'è
cosa creata che possa soddisfare il mio desiderio e
darmi pieno conforto. Congiungimi a te con il
vincolo indissolubile dell'amore, poiché tu
solo basti a colui che ti ama, e a nulla valgono
tutte le cose, se non ci sei tu.
Capitolo XXIV
Guardarsi dall'indagare curiosamente la vita degli
altri
1. Figlio, non essere curioso; non prenderti inutili
affanni. Che t'importa di questo e di quello?
«tu segui me» (Gv 21,22). Che ti importa
che quella persona sia di tal fatta, o diversa, o
quell'altra agisca e dica così e così?
Tu non dovrai rispondere per gli altri; al contrario
renderai conto per te stesso. Di che cosa dunque ti
vai impicciando?
Ecco, io conosco tutti, vedo tutto ciò che
accade sotto il sole e so la condizione di ognuno:
che cosa uno pensi, che cosa voglia, a che cosa miri
la sua intenzione. Tutto deve essere, dunque, messo
nelle mie mani. E tu mantieniti in pace sicura,
lasciando che altri si agiti quanto crede, e metta
agitazione attorno a sé: ciò che
questi ha fatto e ciò che ha detto
ricadrà su di lui, poiché, quanto a
me, non mi può ingannare.
2. Non devi far conto della vanità di un
grande nome, né delle molte amicizie,
né del particolare affetto di varie persone:
tutte cose che sviano e danno un profondo
offuscamento di spirito. Invece io sarò lieto
di dirti la mia parola e di palesarti il mio
segreto, se tu sarai attento ad avvertire la mia
venuta, con piena apertura del cuore.
Stai dunque in guardia, veglia in preghiera (1 Pt
4,7), e umiliati in ogni cosa (Sir 3,20).
Capitolo XXV
In che cosa consistono la stabilità della
pace interiore e il vero progresso spirituale
1. O figlio, così ho detto: «io vi
lascio la pace; vi dono la mia pace; non quella,
però, che dà il mondo» (Gv
14,27). Tutti tendono alla pace; non tutti
però si preoccupano di ciò che
caratterizza la vera pace.
La mia pace è con gli umili e i miti di
cuore; e la tua pace consisterà nel saper
molto sopportare. Se mi ascolterai e seguirai le mie
parole, potrai godere di una grande pace.
Che farò dunque in ogni caso?
Guarda bene a quello che fai e a quello che dici:
sia questa la sola tua intenzione, essere caro
soltanto a me; non desiderare né cercare
altro, fuori di me; non giudicare mai avventatamente
quello che dicono o fanno gli altri e non
impicciarti in faccende che non ti siano state
affidate. In tal modo potrai essere meno turbato, o
più raramente; ché non sentire mai
turbamento alcuno e non patire alcuna noia, nello
spirito e nel corpo, non è di questa vita, ma
è condizione propria della pace eterna.
2. Perciò non credere di avere trovato la
vera pace, soltanto perché non senti
difficoltà alcuna; non credere che tutto vada
bene, soltanto perché non hai alcuno che ti
si ponga contro; non credere che tutto sia perfetto,
soltanto perché ogni cosa avviene secondo il
tuo desiderio; non pensare di essere qualcosa di
grande o di essere particolarmente caro a Dio,
soltanto perché ti trovi in stato di grande e
soave devozione. Non è da queste cose,
infatti, che si distingue colui che ama veramente la
virtù; non è in queste cose che
consistono il progresso e la perfezione dell'uomo.
In che cosa, dunque, o Signore?
Nell'offrire te stesso, con tutto il cuore, al
volere di Dio, senza cercare alcunché di tuo,
nelle piccole come nelle grandi cose, per il tempo
presente come per l'eternità; così che
tu sia sempre, alla stessa maniera,
imperturbabilmente, in atto di ringraziamento,
bilanciando bene tutte le cose, le prospere e le
contrarie.
Quando sarai tanto forte e longanime nella speranza
che, pur avendo perduta ogni consolazione interiore,
saprai disporre il tuo animo a soffrire ancora di
più e, senza giustificarti, loderai Dio,
allora sì che tu camminerai nella vera e
giusta strada della pace; allora sì che avrai
la sicura speranza di rivedere con gioia il mio
volto.
Se poi arriverai a disprezzare pienamente te stesso,
sappi che allora godrai di pace sovrabbondante, per
quanto è possibile alla tua condizione di
pellegrino su questa terra.
Capitolo XXVI
L'eccelsa libertà dello spirito, frutto
dell'umile preghiera più che dello studio
1. O Signore, questo è il compito di chi
vuole essere perfetto: non staccarsi mai
spiritualmente dal tendere alle cose celesti e
passare tra le molte preoccupazioni quasi senza
affanno. E ciò non già per
storditezza, ma per quel tal privilegio, proprio di
uno spirito libero, di non essere attaccato ad
alcuna cosa creata, con un affetto che sia contrario
al volere di Dio.
Ti scongiuro, o mio Dio pieno di misericordia,
tienimi lontano dalle preoccupazioni di questa vita,
così che esse non mi siano di troppo
impaccio; tienimi lontano dalle molte esigenze
materiali, così che io non sia prigioniero
del piacere; tienimi lontano da tutto quanto
è di ostacolo all'anima, così che io
non finisca schiacciato da queste difficoltà.
E non voglio dire che tu mi tenga lontano soltanto
dalle cose che la vanità di questo mondo
brama con pieno ardore; ma da tutte quelle miserie
che, a causa della comune maledizione
dell'umanità, gravano dolorosamente
sull'anima del tuo servo, impedendole di accedere, a
sua voglia, alla libertà dello spirito.
2. O mio Dio, dolcezza ineffabile, muta in amarezza
per me ogni piacere terrestre: esso mi distoglie
dall'amare le cose eterne e mi avvince tristemente a
sé, facendomi balenare qualcosa che, al
momento, appare buono e gradito.
O mio Dio, non sia più forte di me la carne,
non sia più forte di me il sangue; non mi
inganni il mondo, con la sua gloria passeggera; non
mi vinca il diavolo, con la sua astuzia. Dammi
fortezza a resistere, pazienza a sopportare,
costanza a perseverare.
In luogo di tutte le consolazioni del mondo, dammi
la dolcissima unzione del tuo Spirito; in luogo
dell'attaccamento alle cose della terra, infondi in
me l'amore della tua gloria.
Ecco, per uno spirito fervoroso, sono ben pesanti e
cibo e bevanda e vestito e tutte le altre cose utili
a sostentare il corpo. Di queste cose utili fa' che
io usi moderatamente, senza attaccarmi ad esse con
desiderio eccessivo. Abbandonare tutto non si
può, perché alla natura si deve pur
dare sostentamento; ma la santa legge di Dio vieta
di cercare le cose superflue e quelle che danno
maggiormente piacere. Diversamente, la carne si
porrebbe sfacciatamente contro lo spirito.
Tra questi due estremi, mi regga la tua mano, o
Signore, te ne prego; e mi guidi, per evitare ogni
eccesso.
Capitolo XXVII
Più d'ogni altra cosa l'amore di se stesso
rallenta il nostro passo verso il sommo Bene
1. O figlio, per avere tutto, devi dare tutto e non
più appartenerti per nulla: sappi che l'amore
di te stesso ti danneggia più di ogni altra
cosa di questo mondo.
Ciascuna cosa sta più o meno fortemente a te
abbarbicata, a seconda dell'amore e della passione
che tu porti per essa. Ma se il tuo sarà un
amore puro, libero e conforme al volere di Dio,
sarai affrancato dalla schiavitù delle cose.
Non desiderare ciò che non ti è lecito
avere; non volere ciò che ti può
essere d'impaccio, privandoti della libertà
interiore.
Pare incredibile che tu non ti rimetta a me, dal
profondo del cuore, con tutto te stesso e con tutte
le cose che puoi desiderare ed avere. Perché
ti consumi in vana tristezza? perché ti
opprimi con inutili affanni? Sta' al mio volere, e
non subirai alcun nocumento.
Se tu andrai cercando questo o quest'altro; se
vorrai essere qui oppur là, per conseguire
maggiormente il tuo comodo e il tuo piacere, non
sarai mai in pace, libero da angoscia; perché
in ogni cosa ci sarà qualche difetto e
dappertutto ci sarà uno che ti contrasta.
2. Quello che giova, dunque, non è ciò
che possa essere da noi raggiunto o fatto più
grande, fuori di noi; quello che giova è
ciò che viene da noi disprezzato e strappato
radicalmente dal nostro cuore. E questo va inteso
non solamente della stima del denaro o delle
ricchezze, ma anche della bramosia degli onori e del
desiderio di vane lodi: tutte cose che passano, col
passare di questo mondo.
Non sarà un certo luogo che ti darà
sicurezza, se ti manca il fervore spirituale. Non
sarà una pace cercata fuori di te che
reggerà a lungo, se ti manca quello che
è il vero fondamento della fermezza del
cuore; vale a dire, se tu non sei saldamente in me,
puoi trasferirti altrove, ma non puoi migliorare te
stesso. Se, affacciandosi un'occasione, la
coglierai, troverai ancora, e ancora di più,
quello che avevi fuggito.
Preghiera per ottenere la purificazione del cuore e
la celeste sapienza
3. O Dio, dammi vigore, con la grazia dello Spirito
Santo; fa' che la mia forza interiore s'accresca;
fa' che il mio cuore si liberi da ogni vano,
angoscioso tormento, senza lasciarsi allettare da
vari desideri di cosa alcuna, di poco prezzo o
preziosa; fa' che io guardi tutte le cose come
passeggere, e me con esse, parimenti passeggero,
poiché nulla resta fermo, sotto il sole, qui
dove tutto è «vanità e
afflizione di spirito» (Qo 1,14).
Quanto è saggio chi ragiona così.
Dammi, o Signore, la celeste sapienza; così
che io apprenda a cercare e a trovare te, sopra ogni
cosa; apprenda a gustare e ad amare te, sopra ogni
cosa; apprenda a considerare tutto il resto per
quello che è, secondo il posto assegnatogli
dalla tua sapienza.
Dammi la prudenza, per saper allontanare chi mi
lusinga; dammi la pazienza, per sopportare chi mi
contrasta. Perché qui è grande
saggezza, nel non lasciarsi smuovere da ogni vuota
parola e nel non prestare orecchio alla sirena che
perfidamente ci invita.
Cominciata in tal modo la strada, si procede in essa
con sicurezza.
Capitolo XXVIII
Contro le linguacce denigratrici
O figlio, non sopportare di mal animo se certuni
danno un cattivo giudizio su di te e dicono, nei
tuoi confronti, parole che non ascolti con piacere.
Il tuo giudizio su te stesso deve essere ancora
più grave; devi credere che non ci sia
nessuno più debole di te.
Se terrai conto massimamente
dell'interiorità, non darai molto peso a
parole che volano; giacché, nei momenti
avversi, è prudenza, e non piccola, starsene
in silenzio, volgendo l'animo a me, senza lasciarsi
turbare dal giudizio della gente. La tua pace non
riposi nella parola degli uomini. Che questi ti
abbiano giudicato bene o male, non per ciò
sei diverso.
Dove sta la vera pace, dove sta la vera gloria? Non
forse in me? Godrà di una grande pace chi non
desidera di piacere agli uomini, né teme di
spiacere ad essi. È appunto da un tale
desiderio, contrario al volere di Dio, e da un tale
vano timore, che nascono tutti i turbamenti del
cuore e tutte le deviazioni degli affetti.
Capitolo XXIX
Come bisogna invocare Dio nella tribolazione
«Sia sempre benedetto il tuo nome» (Tb
3,23), o Signore; tu che hai disposto che venisse su
di me questa tormentosa tentazione. Sfuggire ad essa
non posso; devo invece rifugiarmi in te,
perché tu mi aiuti, mutandomela in bene.
O Signore, ecco io sono nella tribolazione: non ha
pace il mio cuore, anzi è assai tormentato da
questa passione.
Che dirò, allora, o Padre diletto? Sono
stretto tra queste angustie; «fammi uscire
salvo da un tale momento. Ma a tale momento io
giunsi» (Gv 12,27) perché, dopo essere
stato fortemente abbattuto e poi liberato per merito
tuo, tu ne fossi glorificato.
«Ti piaccia, o Signore, di salvarmi tu»
(Sal 39,14); infatti che cosa posso fare io nella
mia miseria; dove andrò, senza di te? Anche
in questo momento di pericolo dammi di saper
sopportare; aiutami tu, o mio Dio: non avrò
timore di nulla, per quanto grande sia il peso che
graverà su di me.
E frattanto che dirò? O Signore, «che
sia fatta la tua volontà» (Mt 26,42).
Bene le ho meritate, la tribolazione e
l'oppressione; e ora debbo invero saperle sopportare
- e, volesse il cielo, sopportare con pazienza -,
finché la tempesta sia passata e torni la
bonaccia.
La tua mano onnipotente può fare anche
questo, togliere da me questa tentazione o mitigarne
la violenza, affinché io non perisca del
tutto: così hai già fatto più
volte con me, «o mio Dio e mia
misericordia» (Sal 58,17). Quanto è a
me più difficile, tanto è più
facile a te «questo cambiamento della destra
dell'Altissimo» (Sal 76,11).
Capitolo XXX
Chiedere l'aiuto di Dio, nella fiducia di ricevere
la sua grazia
1. O figlio, io sono «il Signore che consola
nel giorno della tribolazione» (Na 1,7). Vieni
a me, quando sei in pena. Quello che pone maggiore
ostacolo alla celeste consolazione è proprio
questo, che troppo tardi tu ti volgi alla preghiera.
Infatti, prima di rivolgere a me intense orazioni,
tu vai cercando vari sollievi e ti conforti in cose
esteriori. Avviene così che nulla ti è
di qualche giovamento, fino a che tu non comprenda
che sono io la salvezza di chi spera in me, e che,
fuori di me, non c'è efficace e utile
consiglio, né rimedio durevole.
Ora, dunque, ripreso animo dopo la burrasca, devi
trovare nuovo vigore nella luce della mia
misericordia. Giacché ti sono accanto, dice
il Signore, per restaurare ogni cosa, con misura,
non solo piena, ma colma.
C'è forse qualcosa che per me sia difficile;
oppure somiglierò io ad uno che dice e non
fa? Dov'è la tua fede? Sta' saldo nella
perseveranza; abbi animo grande e virilmente forte.
Verrà a te la consolazione, al tempo suo.
Aspetta me; aspetta: verrò e ti
risanerò.
È una tentazione quella che ti tormenta;
è una vana paura quella che ti atterrisce. A
che serve la preoccupazione di quel che può
avvenire in futuro, se non a far sì che tu
aggiunga tristezza a tristezza? «Ad ogni
giorno basta la sua pena» (Mt 6,34). Vano e
inutile è turbarsi o rallegrarsi per cose
future, che forse non accadranno mai.
2. Tuttavia, è umano lasciarsi ingannare da
queste fantasie; ed è segno della nostra
pochezza d'animo lasciarsi attrarre tanto facilmente
dalle suggestioni del nemico. Il quale non bada se
ti illuda o ti adeschi con cose vere o false, se ti
abbatta con l'attaccamento alle cose presenti o con
il timore delle cose future.
«Non si turbi dunque il tuo cuore, e non abbia
timore» (Gv 14,27). Credi in me e abbi fiducia
nella mia misericordia. Spesso, quando credi di
esserti allontanato da me, io ti sono accanto;
spesso, quando ti credi interamente perduto, allora
è vicina la possibilità di un merito
più grande. Non tutto è perduto quando
accade una cosa contraria. Non giudicare secondo il
sentire umano. Non restare così schiacciato
da alcuna difficoltà, da qualunque parte essa
venga; non subirla come se ti fosse tolta ogni
speranza di salute.
Non crederti abbandonato del tutto, anche se
temporaneamente ho permesso che ti affliggesse
qualche tribolazione. Così, infatti, si passa
nel regno dei cieli. Senza dubbio, per te e per gli
altri miei servi, essere provati dalle
avversità è più utile che avere
tutto a comando.
Io conosco i pensieri nascosti; so che, per la tua
salvezza, è molto bene che tu sia lasciato
talvolta privo di soddisfazione, perché tu
non abbia a gonfiarti del successo e a compiacerti
di ciò che non sei.
Quel che ho dato posso riprenderlo e poi
restituirlo, quando mi piacerà. Quando
avrò dato, avrò dato cosa mia; quando
avrò tolto, non avrò tolto cosa tua;
poiché mio è «tutto il bene che
viene dato»; mio è «ogni dono
perfetto» (Gc 1,17).
3. Non indignarti se ti avrò mandato una
gravezza o qualche contrarietà; né si
prostri l'animo tuo: io ti posso subitamente
risollevare, mutando tutta la tristezza in gaudio.
Io sono giusto veramente, e degno di molta lode,
anche quando opero in tal modo con te.
Se senti rettamente, se guardi alla luce della
verità, non devi mai abbatterti così,
e rattristarti, a causa delle avversità, ma
devi piuttosto rallegrarti e rendere grazie; devi
anzi considerare gaudio supremo questo, che io,
affliggendoti con sofferenze, ti concedo il mio
perdono.
«Come il Padre ha amato me, così
anch'io amo voi» (Gv 15,9), dissi ai miei
discepoli diletti. E, per vero, non li ho mandati
alle gioie di questo mondo, ma a grandi lotte; non
li ho mandati agli onori, ma al disprezzo; non
all'ozio, ma alla fatica; non a godere
tranquillità, ma a portare molta pazienza.
Ricordati, figlio mio, di queste parole.
Capitolo XXXI
Abbandonare ogni creatura, per poter trovare Dio
1. O mio Signore, davvero mi occorre una grazia
sempre più grande, se debbo giungere
là dove nessuno né alcuna cosa creata
mi potrà essere di impaccio; infatti,
finché una qualsiasi cosa mi trattenga, non
potrò liberamente volare a te. E liberamente
volare a te era, appunto, l'ardente desiderio di
colui che esclamava: «Chi mi darà ali
come di colomba, e volerò, e avrò
pace?» (Sal 54,7).
Quale pace più grande di quella di un occhio
puro? Quale libertà più grande di
quella di chi non desidera nulla di terreno? Occorre
dunque passare oltre ad ogni creatura; occorre
tralasciare pienamente se stesso, uscire
spiritualmente da sé e vedere che tu, che hai
fatto tutte le cose, non hai nulla in comune con le
creature.
Chi non è libero da ogni creatura, non
potrà attendere liberamente a ciò che
è divino. Proprio per questo sono ben pochi
coloro che sanno giungere alla contemplazione,
perché pochi riescono a separarsi appieno
dalle cose create, destinate a perire.
Per giungere a ciò, si richiede una grazia
grande, che innalzi l'anima e la rapisca più
in alto di se medesima. Ché, se uno non
è elevato nello spirito e libero da ogni
creatura; se non è totalmente unito a Dio,
tutto quello che sa e anche tutto quello che
possiede non ha grande peso. Sarà sempre
piccolo e giacerà a terra colui che apprezza
qualcosa che non sia il solo, unico, immenso ed
eterno bene. In verità ogni cosa, che non sia
Dio, è un nulla, e come un nulla va
considerata.
Ben differenti sono la virtù della sapienza,
propria dell'uomo illuminato e devoto, e la scienza,
propria dell'erudito e dotto uomo di studio.
Giacché la sapienza che emana da Dio, e
fluisce dall'alto in noi, è di gran lunga
più sublime di quella che faticosamente si
acquista con il nostro intelletto.
2. Troviamo non poche persone che desiderano la
contemplazione, ma poi non si preoccupano di mettere
in pratica ciò che si richiede per la
contemplazione stessa; e il grande ostacolo consiste
in questo, che ci si accontenta degli indizi esterni
e di ciò che cade sotto i sensi, possedendo
ben poco della perfetta mortificazione.
Non so come sia, da quale spirito siamo mossi, a
quale meta tendiamo, noi che sembriamo aver fama di
spirituali: ci diamo tanta pena e ci preoccupiamo
tanto di queste cose che passano e non hanno valore
alcuno, mentre a stento riusciamo, qualche rara
volta, a pensare al nostro essere interiore, in
totale raccoglimento. Un raccoglimento breve,
purtroppo; dopo del quale ben presto ci buttiamo
alle cose esteriori, senza più sottoporre il
nostro agire a un vaglio severo.
Dove siano posti e ristagnino i nostri affetti, noi
non badiamo; e non ci disgusta che tutte le nostre
cose siano corrotte. Invero il grande diluvio
avvenne perché «ciascuno aveva corrotto
la sua via» (Gn 6,12).
Quando, dunque, la nostra interna inclinazione
è profondamente guastata, necessariamente si
guasta anche la conseguente azione esterna,
rivelatrice di scarsa forza interiore. È dal
cuore puro che discendono frutti di vita virtuosa.
Si indaga quanto uno abbia fatto, ma non si indaga
attentamente con quanta virtù egli abbia
agito. Si guarda se uno sia stato uomo forte, ricco,
bello e abile; se sia stato valente scrittore,
cantante eccellente o bravo lavoratore; ma si tace,
da parte di molti, su quanto egli sia stato povero
in spirito e paziente e mite e devoto, e quanta
spiritualità interiore egli abbia avuto.
La natura bada alle cose esterne dell'uomo; la
grazia alle cose interiori. Quella frequentemente si
inganna, questa si affida a Dio per non essere
ingannata.
Capitolo XXXII
Rinnegare se stessi e rinunciare ad ogni desiderio
1. O figlio, se non avrai rinnegato totalmente te
stesso, non potrai avere una perfetta
libertà. Infatti sono come legati tutti
coloro che portano amore alle cose e a se stessi,
pieni di bramosia e di curiosità, svagati,
sempre in cerca di novità e di mollezze,
anziché di ciò che è di
Gesù Cristo; essi vanno spesso immaginando e
raffigurando ciò che è perituro; ma
ogni cosa che non è nata da Dio
scomparirà.
Tieni ben ferma questa massima, breve e perfetta:
Tralascia ogni cosa; rinunzia alle brame e troverai
la pace. Quando avrai attentamente meditato nel tuo
cuore questa massima, e l'avrai messa in pratica,
allora comprenderai ogni cosa.
O Signore, non è questa una faccenda che si
possa compiere in un giorno; non è un gioco
da ragazzi. Ché anzi in queste brevi parole
si racchiude tutta la perfezione dell'uomo di fede.
2. O figlio, non devi lasciarti piegare, non devi
subito abbatterti, ora che hai udito quale è
la strada di chi vuole esser perfetto. Devi
piuttosto sentirti spinto a cose più alte;
almeno ad aspirare ad esse col desiderio.
Volesse il cielo che così fosse per te; che
tu giungessi a non amare più te stesso e ad
attenerti soltanto alla volontà mia e di
colui che ti ho mostrato quale Padre. Allora tu mi
saresti assai caro e la tua vita si tramuterebbe
tutta in una pace gioiosa.
Ma tu hai ancora molte cose da abbandonare; e se non
rinunzierai a tutte le cose e del tutto, per me, non
otterrai quello che chiedi.
«Il mio invito è che, per farti
più ricco, tu acquisti da me l'oro
colato» (Ap 3,18), vale a dire la celeste
sapienza, che sovrasta tutto ciò che è
basso; che tu lasci indietro e la sapienza di questo
mondo ed ogni accontentamento di te stesso ed ogni
compiacimento degli uomini. Il mio invito è
che tu, in luogo di ciò che è ritenuto
prezioso e importante in questo mondo, acquisti una
cosa disprezzata: la vera sapienza, che viene dal
cielo ed appare qui disprezzata assai, piccola e
quasi lasciata in oblio. Sapienza che non presume
molto di sé, non ambisce ad essere
magnificata quaggiù e viene lodata a parole
da molti, i quali, con la loro vita, le stanno
invece lontani. Eppure essa è la gemma
preziosa, che i più lasciano in disparte.
Capitolo XXXIII
L'instabilità del nostro cuore e l'intenzione
ultima, che deve essere posta in Dio
O figlio, non ti fidare della disposizione d'animo:
quella in cui ora ti trovi ben presto muterà
in una disposizione diversa. Per tutta la vita sarai
soggetto, anche se tu non lo vuoi, a tale
mutevolezza. Volta a volta, sarai trovato lieto o
triste, tranquillo o turbato, fervente oppure no,
voglioso o pigro, pensoso o spensierato. Ma colui
che è ricco di sapienza e di dottrina
spirituale si pone saldamente al di sopra di tali
mutevolezze, non badando a quello che senta dentro
di sé, o da che parte spiri il vento della
instabilità; badando, invece, che tutto il
proposito dell'animo suo giovi al debito e ottimo
fine. Così infatti egli potrà restar
sempre se stesso in modo irremovibile, tenendo
costantemente fisso a me, pur attraverso così
vari eventi, l'occhio puro della sua intenzione.
E quanto più puro sarà l'occhio
dell'intenzione, tanto più sicuro sarà
il cammino in mezzo alle varie tempeste. Ma
quest'occhio puro dell'intenzione, in molta gente,
è offuscato, perché lo sguardo si
volge presto a qualcosa di piacevole che balzi
dinanzi. E poi raramente si trova uno che sia esente
del tutto da questo neo, di cercare la propria
soddisfazione: come gli Ebrei, che erano venuti,
quella volta, a Betania, da Marta e Maria,
«non già per vedere Gesù, ma per
vedere Lazzaro» (Gv 12,9).
Occorre, dunque, che l'occhio dell'intenzione sia
purificato, reso semplice e retto; occorre che esso,
al di là di tutte le varie cose che si
frappongono, sia indirizzato a me.
Capitolo XXXIV
Chi è ricco d'amore gusta Dio in tutto e al
di sopra di ogni cosa
1. Ecco, mio Dio e mio tutto. Che voglio di
più; quale altra cosa posso io desiderare per
la mia felicità? O parola piena di dolce
sapore; sapore però che gusta soltanto colui
che ama il Verbo, non colui che ama il mondo e le
cose del mondo! Mio Dio e mio tutto. È detto
abbastanza per chi ha intelletto; ed è una
gioia, per chi ha amore, ripeterlo spesso.
In verità, se tu sei con noi, recano gioia
tutte le cose; se, invece, tu sei lontano, tutto
infastidisce.
Sei tu che dai pace al cuore: una grande pace e una
gioia festosa. Sei tu che fai gustare rettamente
ogni cosa e fai sì che noi ti lodiamo in
tutte le cose. Senza di te nulla ci può dare
diletto. Perché una cosa possa esserci
gradita e rettamente piacevole, occorre che la tua
grazia non sia assente; occorre che questa cosa sia
condita del condimento della tua sapienza.
C'è forse una cosa che uno non sappia
rettamente gustare, se questi ha gusto di te? E che
cosa mai potrà esserci di gioioso per uno che
non ha gusto di te?
Dinanzi alla tua sapienza, scompaiono i sapienti di
questo mondo; scompaiono anche coloro che amano
ciò che è carnale: tra quelli si trova
una grande vanità; tra questi, la morte. Veri
sapienti sono riconosciuti, all'incontro, coloro che
seguono te, disprezzando le cose di questo mondo e
mortificando la carne: veri sapienti, perché
passati dalla vanità alla verità,
dalla carne allo spirito. Sono questi che sanno
gustare Dio, e che riconducono a lode del Creatore
tutto ciò che si trova nelle creature.
2. Diversi, molto diversi per noi, sono il gusto che
dà il Creatore e il gusto che dà la
creatura; quello dell'eternità e quello del
tempo; quello della luce increata e quello della
luce che ci viene data. O eterna luce, che trascendi
ogni luce creata, manda dall'alto un lampo
splendente, che tutto penetri nel più
profondo del mio cuore! Rendi puro e lieto e limpido
e vivo il mio spirito, in tutte le sue
facoltà; che esso sia intimamente unito a te,
in un gioioso abbandono.
Quando, dunque, verrà quel momento beato e
atteso, in cui tu mi appagherai pienamente con la
tua presenza e sarai tutto e in tutto per me? Fino a
quando questo non mi sarà concesso, non ci
sarà per me una piena letizia.
Ancora, purtroppo, vive in me l'uomo vecchio; ancora
non è totalmente crocefisso, non è
morto del tutto; ancora si pone duramente con le sue
brame, contro lo spirito; muove lotte interiori e
non permette che il regno dell'anima abbia pace.
Ma «tu, che comandi alla forza del mare e
plachi il moto dei flutti» (Sal 88,10),
«levati in mio soccorso» (Sal 43,25);
«disperdi le genti che vogliono la
guerra» (Sal 67,31), «abbattile con la
tua potenza» (Sal 58,12). Mostra, te ne
scongiuro, le tue opere grandi, e sarà data
gloria alla tua potenza. Altra speranza, altro
rifugio non mi è dato se non in te, Signore
Dio mio.
Capitolo XXXV
In questa vita, nessuna certezza di andare esenti da
tentazioni
1. O figlio, giammai, in questa vita, sarai libero
dall'inquietudine: finché avrai vita avrai
bisogno d'essere spiritualmente armato.
Ti trovi tra nemici e vieni assalito da destra e da
sinistra. Perciò, se non farai uso, da una
parte e dall'altra, dello scudo della fermezza, non
tarderai ad essere ferito. Di più, se non
terrai il tuo animo fisso in me, con l'unico
proposito di tutto soffrire per amore mio, non
potrai reggere all'ardore della lotta e arrivare al
premio dei beati.
Tu devi virilmente passare oltre ogni cosa, e avere
braccio valido contro ogni ostacolo: «La manna
viene concessa al vittorioso» (Ap 2,17),
mentre una miseria grande è lasciata a chi
manca di ardore.
2. Se vai cercando la tua pace in questa vita, come
potrai giungere alla pace eterna? Non a pienezza di
tranquillità, ma a una grande sofferenza ti
devi preparare. Giacché la pace vera non la
devi cercare in terra, ma nei cieli; non negli
uomini, o nelle altre creature, ma soltanto in Dio.
Tutto devi lietamente sopportare, per amore di Dio:
fatiche e dolori; tentazioni e tormenti; angustie,
miserie e malanni; ingiurie, biasimi e rimproveri;
umiliazioni e sbigottimenti; ammonizioni e critiche
sprezzanti. Cose, queste, che aiutano nella via
della virtù e costituiscono una prova per chi
si è posto al servizio di Cristo; cose,
infine, che preparano la corona del cielo.
Ché una eterna ricompensa io darò per
un travaglio di breve durata; e una gloria senza
fine, per una umiliazione destinata a passare.
3. Forse tu credi di poter sempre avere le
consolazioni spirituali a tuo piacimento? Non le
ebbero così neppure i miei santi; i quali
soffrirono, invece, tante difficoltà e
tentazioni di ogni genere e grandi desolazioni.
Sennonché, con la virtù della
sopportazione, essi si tennero sempre ritti,
confidando più in Dio che in se stessi;
consci che «le sofferenze del momento presente
non sono nulla a confronto della conquista della
gloria futura» (Rm 8,18).
O vuoi tu avere subito quello che molti ottennero a
stento, dopo tante lacrime e tante fatiche?
«Aspetta il Signore, comportati da uomo»
(Sal 26,14), e fatti forza; non disperare, non
disertare. Disponiti, invece, fermamente, anima e
corpo, per la gloria di Dio. Strabocchevole
sarà la mia ricompensa. Io sarò con te
in ogni tribolazione.
Capitolo XXXVI
Contro i vuoti giudizi umani
1. O figlio, poni saldamente il tuo cuore nel
Signore; e se la coscienza ti proclama onesto e
senza colpa, non temere il giudizio degli uomini.
Cosa buona e santa è sopportare il giudizio
umano; cosa non gravosa per chi è umile di
cuore e confida in Dio, più che in se stesso.
C'è molta gente che parla tanto: e,
perciò, poco è il credito che le si
deve dare. Del resto, fare contenti tutti non
è possibile. Ché, se Paolo
cercò di piacere a tutti nel Signore e si
fece «tutto per tutti» (1 Cor 9,22),
tuttavia non diede alcuna importanza al fatto
d'esser giudicato da questo tempo (1 Cor 4,3).
Egli operò grandemente, con tutto se stesso e
con tutte le sue forze, per l'edificazione e la
salvezza del prossimo; ma non poté impedire
che talvolta fosse giudicato e persino disprezzato
dagli altri. Per questo, tutto mise nelle mani di
Dio, a cui tutto è noto. Con la pazienza e
con l'umiltà egli si difese dalla
sfrontatezza di quelli che dicevano iniquità
o pensavano vuotaggini e cose mondane o buttavano
fuori ogni cosa a loro capriccio: pur talvolta
rispondendo, perché dal suo silenzio non
nascesse scandalo ai deboli.
2. «Chi sei tu mai, per avere paura di un uomo
mortale?» (Is 51,12). L'uomo, oggi c'è,
e domani non lo si vede più. Temi Iddio, e
non ti sgomenterai di ciò che può
farti paura da parte degli uomini. Che cosa
può un uomo contro di te, con parole e
improperi? Egli nuoce a se stesso, più che a
te; né potrà sfuggire al giudizio di
Dio, chiunque egli sia. Per quanto ti riguarda, tu
tienti fissi gli occhi in Dio, e «non volere
opporti a lui, con parole di lamento» (2 Tm
2,14).
Che se, al momento, sembra che tu soccomba e che tu
sia coperto di vergogna immeritata, non devi, per
questo, sdegnarti; né devi fare che sia
più piccolo il tuo premio, per difetto di
pazienza. Guarda, invece, a me, in cielo: a me, cui
è dato di strappare l'uomo da ogni
umiliazione e da ogni ingiustizia, «rendendo a
ciascuno secondo le sue opere» (Mt 16,27; Rm
2,6).
Capitolo XXXVII
L'assoluta e totale rinuncia a se stesso per
ottenere libertà di spirito
1. O figlio, abbandona te stesso, e mi troverai.
Vivi libero da preferenze, libero da tutto
ciò che sia tuo proprio, e ne avrai sempre
vantaggio; ché una grazia sempre più
grande sarà riversata sopra di te, non appena
avrai rinunciato a te stesso, senza volerti
più riavere.
O Signore, quante volte dovrò rinunciare, e
in quali cose dovrò abbandonare me stesso?
Sempre, e in ogni momento, sia nelle piccole come
nelle grandi cose. Nulla io escludo: ti voglio
trovare spogliato di tutto. Altrimenti, se tu non
fossi interiormente ed esteriormente spogliato di
ogni tua volontà, come potresti essere mio; e
come potrei io essere tuo? Più presto lo
farai, più sarai felice; più
completamente e sinceramente lo farai, più mi
sarai caro e tanto maggior profitto spirituale ne
trarrai.
Ci sono alcuni che rinunciano a se stessi, ma
facendo certe eccezioni: essi non confidano
pienamente in Dio, e perciò si affannano a
provvedere a se stessi. Ci sono alcuni che dapprima
offrono tutto; ma poi, sotto i colpi della
tentazione, ritornano a ciò che è loro
proprio, senza progredire minimamente nella
virtù.
Alla vera libertà di un cuore puro e alla
grazia della rallegrante mia intimità,
costoro non giungeranno, se non dopo una totale
rinuncia e dopo una continua immolazione; senza di
che non si ha e non si avrà una giovevole
unione con me.
2. Te l'ho detto tante volte, ed ora lo ripeto:
lascia te stesso, abbandona te stesso e godrai di
grande pace interiore. Da' il tutto per il tutto;
non cercare, non richiedere nulla; sta'
risolutamente soltanto in me, e mi possederai, avrai
libertà di spirito, e le tenebre non ti
schiacceranno.
A questo debbono tendere il tuo sforzo, la tua
preghiera, il tuo desiderio: a saperti spogliare di
tutto ciò che è tuo proprio, a
metterti nudo al seguito di Cristo nudo, a morire a
te stesso, a vivere per sempre in me.
Allora i vani pensieri, i perversi turbamenti, le
inutili preoccupazioni, tutto questo
scomparirà. Allora scompariranno il timore
dissennato e ogni amore non conforme al volere di
Dio.
Capitolo XXXVIII
Il buon governo di sé nelle cose esterne e il
ricorso a Dio nei pericoli
1. O figlio, tu devi attentamente mirare a questo,
che dappertutto, e in qualunque azione ed
occupazione esterna, tu rimanga interiormente libero
e padrone di te; che le cose siano tutte sotto di
te, e non tu sotto di esse. Cosicché tu abbia
a dominare e governare i tuoi atti, e tu non sia
come un servo o un mercenario, ma tu sia libero
veramente come l'ebreo che passa dalla
servitù alla condizione di erede e alla
libertà dei figli di Dio. I figli di Dio
stanno al di sopra delle cose di questo mondo, e
tengono gli occhi fissi all'eterno; guardano con
l'occhio sinistro le cose che passano, e con il
destro le cose del cielo; infine non sono attratti,
così da attaccarvisi, dalle cose di questo
tempo, ma traggono le cose a sé,
perché servano al bene, così come sono
state disposte da Dio e istituite dal sommo
Artefice. Il quale nulla lascia, in alcuna sua
creatura, che non abbia il suo giusto posto.
2. Se, di fronte a qualunque avvenimento, non ti
fermerai all'apparenza esterna e non apprezzerai con
occhio carnale ciò che vedi ed ascolti; se,
all'incontro, in ogni questione, entrerai subito,
come Mosè, sotto la tenda, per avere
consiglio dal Signore, udrai talvolta la risposta di
Dio, e ne uscirai istruito su molte cose di oggi e
del futuro. Era solito Mosè ritornare alla
sua tenda, per dubbi e quesiti da risolvere; era
solito rifugiarsi nella preghiera, per alleviare i
pericoli e le perversità degli uomini.
Così anche tu devi rifugiarti nel segreto del
tuo cuore, implorando con tanta intensità
l'aiuto divino.
Che se - come si legge - Giosuè e i figli di
Israele furono raggirati dai Gabaoniti, fu proprio
perché non chiesero prima il responso del
Signore; ma, facendo troppo affidamento su questi
allettanti discorsi, furono traditi da una falsa
benevolenza.
Capitolo XXXIX
Nessun affanno nel nostro agire
1. O figlio, ogni tua faccenda affidala a me; al
tempo giusto disporrò sempre io per il
meglio. Attieniti al mio comando e ne sentirai
vantaggio.
O Signore, di gran cuore affido a te ogni cosa; poco
infatti potranno giovare i miei piani. Volesse il
cielo che io non fossi tanto preso da ciò che
potrà accadere in futuro, e mi offrissi,
invece, senza esitare alla tua volontà.
2. Figlio mio, capita spesso che l'uomo persegua con
ardore alcunché di cui sente la mancanza; e
poi, quando l'ha raggiunto, cominci a giudicare
diversamente, perché i sentimenti non restano
fermi intorno a uno stesso punto, e ci spingono
invece da una cosa all'altra.
Non è una questione da nulla rinunciare a se
stessi, anche in cose di poco conto. Il vero
progresso dell'uomo consiste nell'abnegazione di
sé. Pienamente libero e sereno è
appunto soltanto chi rinnega se stesso.
Ecco, però, che l'antico avversario, il quale
si pone contro tutti coloro che amano il bene, non
tralascia la sua opera di tentazione; anzi, giorno e
notte, prepara gravi insidie, se mai gli riesca di
far cadere nel laccio dell'inganno qualcuno che sia
poco guardingo. «Vegliate e pregate, dice il
Signore, per non entrare in tentazione» (Mt
26,41).
Capitolo XL
Nulla di buono ha l'uomo da sé, e di nulla
può vantarsi
1. «O Signore, che cosa è l'uomo, che
tu abbia a ricordarti di lui? Che cosa è il
figlio dell'uomo, che tu venga a lui?» (Sal
8,5).
Quali meriti ha mai l'uomo, perché tu gli dia
la tua grazia?
O Signore, di che posso lamentarmi se mi abbandoni;
che cosa posso, a buon diritto, addurre se tu non mi
concedi quello che chiedo?
Soltanto questo, in verità, posso dire, con
certezza, in cuor mio: Signore, nulla io sono, nulla
posso, nulla di buono io ho da me stesso; anzi
fallisco in ogni cosa, tendendo sempre al nulla. Se
non vengo aiutato da te e plasmato interiormente, mi
infiacchisco totalmente e mi abbandono.
«Invece tu, o Signore, sei sempre te stesso e
tale resti in eterno» (Sal 101,28.13),
immutabilmente buono, giusto e santo, che agisci in
tutto bene, giustamente e santamente, disponendo
ogni cosa con sapienza. Io, invece, essendo
più pronto a regredire che ad avanzare, non
mi mantengo sempre nella stessa condizione;
ché anzi «sette tempi diversi passano
sopra di me» (Dn 4,13.20.22); anche se il mio
stato può, d'un tratto, mutarsi in meglio,
non appena tu lo vuoi, e mi porgi la mano
soccorritrice. Da te solo, infatti, non già
dall'umano soccorso, mi può venire l'aiuto e
il dono della fermezza, cosicché la mia
faccia non muti continuamente, e il mio cuore si
volga solo a te, e in te trovi pace.
Dunque, se io fossi capace di disprezzare ogni
consolazione degli uomini - sia per conseguire
maggior fervore, sia per rispondere al bisogno di
cercare te, in mancanza di chi mi possa confortare -
allora potrei fondatamente sperare nella tua grazia
ed esultare del dono di una rinnovellata
consolazione.
2. Siano rese grazie a te; a te dal quale tutto
discende, se qualcosa di buono mi accade. Ché
io non sono altro che vanità, «anzi un
nulla, al tuo cospetto» (Sal 38,6), un uomo
incostante e debole. Di che cosa posso io vantarmi;
come posso pretendere di essere stimato? Forse per
quel nulla che io sono? Sarebbe vanità sempre
più grande.
O veramente vuota vanteria, peste infame, massima
presunzione, che distoglie dalla vera gloria,
privandoci della grazia del cielo. Giacché,
mentre si compiace di se stesso, l'uomo dispiace a
te; mentre ambisce ad essere lodato dagli altri, si
spoglia della vera virtù. Vera gloria,
invece, e gaudio santo, è gloriarci in te,
non in noi; trovare compiacimento nel tuo nome, non
nella nostra virtù; non cercare diletto in
alcuna creatura, se non per te.
Sia lodato il tuo nome, non il mio; sia benedetto il
tuo nome santo, non il mio; e a me non sia data lode
alcuna da parte degli uomini. Tu sei la mia gloria e
la gioia del mio cuore; in te esulterò e mi
glorierò sempre: «per nulla invece in
me, se non nella mia debolezza» (2 Cor 12,5).
Lasciando ai Giudei il cercare gloria gli uni dagli
altri, io cercherò quella gloria che viene
solo da Dio. A confronto della tua gloria eterna,
è vanità e stoltezza ogni lode che
viene dagli uomini, ogni onore di quaggiù,
ogni mondana grandezza.
O mia verità e mia misericordia, mio Dio,
Trinità beata, a te solo sia lode,
virtù, onore e gloria, per gli infiniti
secoli dei secoli!
Capitolo XLI
Il disprezzo di ogni onore di questo mondo
Figlio, non crucciarti se vedi che altri sono
onorati ed innalzati, mentre tu sei disprezzato ed
umiliato. Drizza il tuo animo a me, nel cielo;
così non ti rattristerà il disprezzo
degli uomini, su questa terra.
O Signore, noi siamo come ciechi e facilmente ci
lasciamo sedurre dall'apparenza. Ma se esamino
seriamente me stesso, non c'è cosa che possa
essermi fatta da alcuna creatura che sia un torto
nei miei confronti: dunque non avrei motivo di
lamentarmi con te. È, appunto, perché
spesso e gravemente ho peccato al tuo cospetto, che
qualsiasi creatura si può muovere a ragione
contro di me.
A me, dunque, è giusto che si dia vergogna e
disprezzo; a te, invece, lode, onore, potenza e
gloria. E se non mi sarò ben predisposto a
desiderare di essere disprezzato da ogni creatura,
ad essere buttato in un canto e ad essere
considerato proprio un nulla, non potrò
trovare pace e serenità interiore; non
potrò essere spiritualmente illuminato e
pienamente a te unito.
Capitolo XLII
La nostra pace non dobbiamo porla negli uomini
1. O figlio, se poni la tua pace su qualcuno, a
motivo del tuo sentimento e del piacere di stare con
lui, avrai sempre incertezza ed inquietudine. Se,
invece, tu ricorrerai alla verità, sempre
viva e stabile, non sarai contristato per
l'abbandono da parte di un amico; neppure per la sua
morte. Su di me deve essere fondato l'amore per
l'amico; per me deve essere amato chi ti appare un
buon amico e ti è particolarmente caro in
questa vita; senza di me non regge e non dura
l'amicizia; non c'è legame d'amicizia
veramente puro, se non sono io ad annodarlo.
Perciò tu devi essere totalmente morto ad
ogni attaccamento verso persone che ti siano care,
così da preferire, per quanto sta in te, di
essere privo di ogni umana amicizia.
2. Tanto più ci si avvicina a Dio, quanto
più ci si ritira lontano da ogni conforto
terreno. Tanto più si ascende in alto, a Dio,
quanto più si entra nel profondo di noi
stessi, persuadendosi di non valere proprio nulla.
Ché se uno, invece, attribuisce a sé
qualcosa di buono, questi ostacola la venuta della
grazia divina in lui; giacché la grazia dello
Spirito Santo cerca sempre un cuore umile.
Se tu sapessi annichilirti e uscire da ogni affetto
di quaggiù, liberandoti da ogni attaccamento
di questo mondo, allora, certamente, io verrei a te,
con larghezza di grazia; infatti, quando guardi alle
creature, ti si sottrae la vista del Creatore. Per
amore del Creatore, impara dunque a vincere te
stesso, in tutte le cose; così potrai
giungere alla conoscenza di Dio.
Se una cosa, per quanto piccola sia, la si ama e ad
essa si guarda non rettamente, questa ostacola la
via verso il sommo Bene e corrompe.
Capitolo XLIII
Contro l'inutile scienza di questo mondo
1. Figlio, non ti smuovano gli eleganti ragionamenti
umani; ché «il regno di Dio non
consiste nei discorsi, ma nelle virtù»
(1 Cor 4,20). Guarda alle mie parole; esse
infiammano i cuori e illuminano le menti; conducono
al pentimento e infondono molteplice consolazione.
Che tu non legga mai neppure una parola al fine di
poter apparire più dotto e più
sapiente. Attendi, invece, alla mortificazione dei
vizi; cosa che ti gioverà assai più
che essere a conoscenza di molti difficili problemi.
Per quanto tu abbia molto studiato ed appreso,
dovrai sempre tornare al principio primo. Sono io
«che insegno all'uomo la sapienza» (Sal
93,10); sono io che concedo ai piccoli una
conoscenza più chiara di quella che possa
essere impartita dall'uomo. Colui per il quale sono
io a parlare, avrà d'un tratto la sapienza e
progredirà assai nello spirito. Guai a coloro
che vanno ricercando presso gli uomini molte strane
nozioni, e poco si preoccupano di quale sia la
strada del servizio a me dovuto.
Verrà il tempo in cui apparirà il
maestro dei maestri, Cristo signore degli angeli, ad
ascoltare quel che ciascuno ha da dire, cioè
ad esaminare la coscienza di ognuno. Allora
Gerusalemme sarà giudicata in gran luce (Sof
1,12). Allora ciò che si nascondeva nelle
tenebre apparirà in piena chiarezza; allora
verrà meno ogni ragionamento fatto di sole
parole.
2. Sono io che innalzo in un attimo la mente umile,
così da farle comprendere i molti fondamenti
della verità eterna; più che se uno
avesse studiato a scuola per dieci anni. Sono io che
insegno, senza parole sonanti, senza complicazioni
di opinioni diverse, senza solennità di
cattedra, senza contrapposizione di argomenti. Sono
io che insegno a disprezzare le cose terrene, a
rifuggire da ciò che è contingente e a
cercare l'eterno; inoltre, a rifuggire dagli onori,
a sopportare le offese, a riporre ogni speranza in
me, a non desiderare nulla all'infuori di me e ad
amarmi con ardore, al di sopra di ogni cosa.
In verità ci fu chi, solo con il profondo
amore verso di me, apprese le cose di Dio; e le sue
parole erano meravigliose. Abbandonando ogni cosa,
egli aveva imparato assai più che
applicandosi a sottili disquisizioni.
Ad alcuni rivolgo parole comuni; ad altri, parole
spirituali. Ad alcuni appaio con la mite luce di
figurazioni simboliche, ad altri rivelo i misteri
con grande fulgore.
La voce dei libri è una sola, e non plasma
tutti in egual modo. Io, invece, che sono maestro
interiore di verità, io che scruto i cuori e
comprendo i pensieri e muovo le azioni degli uomini,
vado distribuendo a ciascuno secondo che ritengo
essere giusto.
Capitolo XLIV
Non ci si deve attaccare alle cose esteriori
1. O figlio, molte cose occorre che tu le ignori,
considerandoti come morto su questa terra, come uno
per cui il mondo intero è crocifisso; molte
altre cose, occorre che tu vi passi in mezzo, senza
prestare ascolto, meditando piuttosto su ciò
che costituisce la tua pace.
Giova di più distogliere lo sguardo da
ciò che non approviamo, lasciando che
ciascuno si tenga il suo parere, piuttosto che
metterci in accanite discussioni. Se sarai in regola
con Dio e terrai conto del suo giudizio, riporterai
più facilmente vittoria.
2. Signore, a che punto siamo arrivati? Ecco, per
una perdita nelle cose di questo mondo, si piange;
per un piccolo guadagno ci si affatica e si corre.
Invece un danno spirituale passa nell'oblio, e a
stento, troppo tardi, ci si ritorna sopra. Ci si
preoccupa di ciò che non serve a nulla o a
ben poco; e ciò che è sommamente
necessario lo si lascia da parte con negligenza.
Giacché l'uomo inclina tutto verso le cose
esteriori, e beatamente vi si acquieta, se subito
non si ravvede.
Capitolo XLV
Non fare affidamento su alcuno: le parole facilmente
ingannano
1. «Aiutami, o Signore, nella tribolazione,
perché è vana la salvezza che viene
dagli uomini» (Sal 59,13).
Quante volte non trovai affatto fedeltà,
proprio là dove avevo creduto di poterla
avere; e quante volte, invece, la trovai là
dove meno avevo creduto. Vana è, dunque, la
speranza negli uomini, mentre in te, o Dio, sta la
salvezza dei giusti.
Sii benedetto, o Signore mio Dio, in tutto quanto
accade.
Deboli siamo, e malfermi; facilmente ci inganniamo e
siamo mutevoli. Quale uomo è tanto prudente e
tanto attento da saper sempre custodire se stesso,
così da non cadere mai in qualche delusione o
incertezza? Ma non cadrà così
facilmente colui che confida in te, o Signore, e ti
cerca con semplicità di cuore. Ché se
incontrerà una tribolazione, in qualunque
modo sia oppresso, subitamente ne sarà
strappato da te, o sarà da te consolato,
poiché tu non abbandoni chi spera in te, fino
all'ultimo.
Cosa rara è un amico sicuro, che resti tale
in tutte le angustie dell'amico. Ma tu, o Signore,
tu solo sei sempre pienamente fedele: non c'è
un amico siffatto, fuori di te.
2. Quale profonda saggezza ci fu in quell'anima che
poté dire: «Il mio spirito è
saldo, e fondato su Cristo!». Se così
fosse anche per me, non sarei tanto facilmente
agitato da timori umani, né mi sentirei
ferito dalle parole.
Chi può mai prevedere ogni cosa e cautelarsi
dai mali futuri? Se, spesso, anche ciò che
era previsto riesce dannoso, con quanta durezza ci
colpirà ciò che è imprevisto?
Perché non ho meglio provveduto a me misero?
e perché mi sono affidato tanto leggermente
ad altri? Siamo uomini, nient'altro che fragili
uomini, anche se molti ci ritengono e ci dicono
angeli.
Oh, Signore, a chi crederò; a chi, se non a
te? Tu sei la Verità che non inganna e non
può esser ingannata; mentre «l'uomo
è sempre bugiardo» (Sal 115,11),
debole, insicuro e mutevole, specie nelle parole,
tanto che a stento ci si può fidare subito di
quello che, in apparenza, pur ci sembra buono.
Con quanta sapienza tu già ci avevi ammonito
che ci dobbiamo guardare dagli uomini; che
«nemici dell'uomo sono i suoi più
vicini» (Mt 10,36); che non si deve credere se
uno dice: «ecco qua, ecco là!»
(Mt 24,23; Mc 13,21). Ho imparato a mie spese; e
voglia il cielo che ciò mi serva per
acquistare maggiore prudenza e non ricadere nella
stoltezza.
«Bada, mi dice taluno, bada bene, e serba per
te quel che ti dico». Ma, mentre io sto zitto
zitto, credendo che la cosa resti segreta, neppure
lui che mi aveva chiesto il silenzio riesce a
tacere: improvvisamente mi tradisce, tradendo anche
se stesso; e se ne va.
Oh, Signore, difendimi da siffatta gente
chiacchierona e stolta, cosicché io non le
cada in mano, e mai non commetta simili cose. Da'
alla mia bocca una parola vera e sicura, e allontana
da me il linguaggio dell'inganno.
Che io mi guardi in ogni modo da ciò che non
vorrei dover sopportare da altri.
3. Quanta bellezza e quanta pace, fare silenzio
intorno agli altri; non credere pari pari ad ogni
cosa, né andare ripetendola; rivelare se
stesso soltanto a pochi; cercare sempre te, che
scruti i cuori, senza lasciarsi portare di qua e di
là da ogni vuoto discorso; volere che ogni
cosa, interiore ed esterna, si compia secondo la tua
volontà!
Quale tranquillità, fuggire le apparenze
umane, per conservare la grazia celeste; non ambire
a ciò che sembri assicurare ammirazione
all'esterno, e inseguire invece, con ogni
sollecitudine, ciò che assicura emendazione
di vita e fervore!
Di quanto danno fu, per molti, una virtù a
tutti nota e altamente lodata! Di quanto vantaggio
fu, invece, una grazia conservata nel silenzio,
durante questa nostra fragile vita, della quale si
dice a ragione che è tutta una tentazione e
una lotta!
Capitolo XLVI
Affidarsi a Dio quando spuntano parole che feriscono
1. O figlio, sta' saldo e fermo, e spera in me. Che
altro sono, le parole, se non parole? Volano al
vento, ma non intaccano la pietra. Se sei in colpa,
pensa ad emendarti di buona voglia; se ti senti
innocente, considera di doverle sopportare
lietamente per amore di Dio. Non è gran cosa
che tu sopporti talvolta almeno delle parole, tu che
non sei capace ancora di sopportare forti
staffilate.
E perché mai cose tanto da nulla ti feriscono
nell'animo, se non perché tu ragioni ancora
secondo la carne e dai agli uomini più
importanza di quanto sia giusto? Solo per questo,
che hai paura che ti disprezzino, non vuoi che ti
rimproverino dei tuoi falli e cerchi di nasconderti
dietro qualche scusa. Se guardi più a fondo
in te stesso, riconoscerai che il mondo e il vano
desiderio di piacere agli uomini sono ancora vivi
dentro di te. Se rifuggi dall'esser poco considerato
e dall'essere rimproverato per i tuoi difetti, segno
è che non sei sinceramente umile né
veramente morto al mondo, e che il mondo non
è per te crocefisso.
Ascolta, invece, la mia parola e non farai conto
neppure di diecimila parole umane. Ecco, anche se
molte cose si potessero inventare e dire, con
malizia grande, contro di te, che male ti potrebbero
fare esse, se tu le lasciassi del tutto passare, non
considerandole più che una pagliuzza? Ti
potrebbero forse strappare anche un solo capello?
Chi non ha spirito di interiorità e non tiene
Iddio dinanzi ai suoi occhi, questi si lascia
scuotere facilmente da una parola offensiva. Chi
invece, senza ricercare il proprio giudizio, si
affida a me, questi sarà libero dal timore
degli uomini.
Sono io, infatti, il giudice, cui sono palesi tutti
i segreti; io so come è andata la cosa; io
conosco sia colui che offende sia colui che patisce
l'offesa. Quella parola è uscita da me: Quel
che è avvenuto, è avvenuto
perché io l'ho permesso,
«affinché fossero rivelati gli intimi
pensieri di tutti» (Lc 2,35). Sono io che
giudicherò, tra il colpevole e l'innocente;
ma voglio che prima siano saggiati, e l'uno e
l'altro, al mio arcano giudizio.
2. La testimonianza degli uomini sbaglia
frequentemente. Il mio giudizio, invece, è
veritiero; resterà e non muterà.
Nascosto, per lo più, o aperto via via a
pochi, esso non sbaglia né può
sbagliare, anche se può sembrare ingiusto
agli occhi di chi non ha la sapienza.
A me dunque si ricorra per ogni giudizio e non ci si
fidi del proprio criterio. Il giusto, infatti, non
resterà turbato, «qualunque cosa gli
venga» da Dio (Pro 12,21). Qualunque cosa sia
stata ingiustamente portata contro di lui, non se ne
darà molto pensiero; così come non si
esalterà vanamente, se, a buon diritto,
sarà scagionato da altri.
Il giusto considera, infatti, che «sono io
colui che scruta i cuori e le reni» (Ap 2,23);
io, che non giudico secondo la superficiale
apparenza umana. Invero, sovente ai miei occhi
apparirà condannabile ciò che, secondo
il giudizio umano, passa per degno di lode.
O Signore Dio, «giudice giusto, forte e
misericordioso» (Sal 7,12), tu che conosci la
fragilità e la cattiveria degli uomini, sii
la mia forza e tutta la mia fiducia, ché non
mi basta la mia buona coscienza. Tu sai quello che
io non so; per questo avrei dovuto umiliarmi dinanzi
ad ogni rimprovero e sopportarlo con mansuetudine.
Per tutte le volte che non mi comportai in tal modo,
perdonami, nella tua benevolenza, e dammi di nuovo
la grazia di una più grande sopportazione.
In verità, a conseguire il perdono, la tua
grande misericordia mi giova di più che non
mi giovi una mia supposta santità a difesa
della mia segreta coscienza. Ché, «pur
quando non sentissi di dovermi nulla
rimproverare», non potrei per questo ritenermi
giusto (1 Cor 4,4); perché, se non fosse per
la tua misericordia, «nessun vivente sarebbe
giusto, al tuo cospetto» (Sal 142,2).
Capitolo XLVII
Ogni cosa gravosa va sopportata per conseguire la
vita eterna
1. O figlio, non lasciarti sopraffare dai compiti
che ti sei assunto per amor mio; non lasciarti mai
abbattere dalle tribolazioni. In ogni evenienza ti
dia, invece, forza e consolazione la mia promessa;
ché io ben so ripagare al di là di
qualsiasi limite e misura.
Non durerà a lungo la tua sofferenza
quaggiù; non continuerà per sempre il
peso dei tuoi dolori. Attendi un poco, e li vedrai
finire d'un tratto, questi dolori; verrà il
momento in cui fatiche ed agitazioni cesseranno.
È poca cosa, e dura poco, tutto ciò
che passa con questa vita.
Fa' quel che devi; lavora fedelmente nella mia
vigna: io stesso sarò la tua ricompensa.
Scrivi, leggi, canta, piangi, taci, prega, sopporta
virilmente le avversità: premio a tutto
questo, alle più grandi lotte, è la
vita eterna.
Sarà pace, in quell'ora che sa il Signore. E
non ci sarà giorno e notte, come adesso, ma
perpetua luce, chiarità infinita, pace ferma
e sicura tranquillità. Allora non dirai:
«chi mi libererà da questo corpo di
morte?» (Rm 7,24); e non esclamerai:
«ohimé! quanto si prolunga questo mio
stare quaggiù» (Sal 119,5). Ché
la morte sarà annientata e vi sarà
piena salvezza, senza ombra di angustia; e, intorno
a te, una gioia beata, una soave schiera gloriosa.
2. Oh! se tu vedessi il premio eterno che ricevono i
santi in cielo; se tu vedessi di quanta gloria
esultano ora, essi che un tempo erano ritenuti
spregevoli e quasi immeritevoli di vivere, per
certo, ti getteresti subito a terra, preferendo
essere inferiore a tutti, piuttosto che eccellere
anche su di un solo; non desidereresti giorni lieti
in questa vita, godendo piuttosto delle tribolazioni
sopportate per amore di Dio; infine crederesti che
il guadagno più grande consiste nell'essere
considerato un nulla tra gli uomini.
Oh! se queste cose avessero un gusto per te e ti
scendessero nel profondo del cuore, come oseresti
fare anche il più piccolo lamento? Forse che,
per la vita eterna, non si deve sopportare ogni
tribolazione? Non è cosa di poco conto
perdere o guadagnare il regno di Dio.
Alza, dunque, il tuo sguardo al cielo: eccomi,
insieme a tutti i miei santi, i quali sopportarono
grandi lotte, nella vita di quaggiù. Ora essi
sono nella gioia, ricevono consolazione, stanno
nella serenità, nella pace e nel riposo. E
resteranno con me nel regno del Padre mio, per
sempre.
Capitolo XLVIII
La vita eterna e le angustie della vita presente
1. O beata dimora della città suprema, o
giorno spendente dell'eternità, che la notte
non offusca; giorno perennemente irradiato dalla
somma verità; giorno sempre gioioso e sereno;
giorno, per sua essenza, immutabile! Volesse il
cielo che tutte queste cose temporali finissero e
che sopra di noi brillasse quel giorno; il quale
già illumina per sempre, di splendida luce, i
santi, mentre, per coloro che sono pellegrini su
questa terra, esso splende soltanto da lontano e di
riflesso! Ben sanno i cittadini del cielo quanto sia
piena di gioia quell'età; lamentano gli esuli
figli di Eva quanto, invece, sia grave e pesante
l'età presente.
Invero, brevi e duri, pieni di dolore e di angustie,
sono i giorni di questo nostro tempo, durante i
quali l'uomo è insozzato da molti peccati e
irretito da molte passioni, oppresso da molte paure,
schiacciato da molti affanni, distratto da molte
curiosità, impicciato in molte cose vane,
circondato da molti errori, atterrito da molte
fatiche, appesantito dalle tentazioni, snervato dai
piaceri, afflitto dal bisogno.
Oh! quando finiranno questi mali; quando mi
libererò dalla miserevole schiavitù
dei vizi; quando, nella mia mente, avrò
soltanto te, o Signore, e in te troverò tutta
la mia gioia; quando godrò di libertà
vera, senza alcun legame, senza alcun gravame della
mente e del corpo; quando avrò pace stabile e
sicura, da nulla turbata, pace interiore ed
esteriore, pace non minacciata da alcuna parte?
O buon Gesù, quando ti vedrò faccia a
faccia; quando contemplerò la gloria del tuo
regno; quando sarai il tutto per me (1 Cor 15,28);
quando sarò con te nel tuo regno, da te
preparato dall'eternità per i tuoi diletti?
Sono qui abbandonato, povero ed esule in terra
nemica, con continue lotte e immani disgrazie.
Consola tu il mio esilio, lenisci il mio dolore,
perché ogni mio desiderio si volge a te con
sospiri. Infatti, qualunque cosa il mondo mi offra
qui come sollievo, essa mi è invece di peso.
Desidero l'intimo godimento di te, ma non mi
è dato di raggiungerlo; desidero star saldo
alle cose celesti, ma le cose temporali e le
passioni non mortificate mi tirano in basso; nello
spirito, bramo pormi al di sopra di tutte le cose,
ma, nella carne, sono costretto a subirle, contro
mia voglia. E così, uomo infelice, combatto
con me stesso e divento un peso per me stesso (Gb
7,20), ché lo spirito tende all'alto e la
carne al basso.
2. Oh! quale è l'intima mia sofferenza,
quando, dentro di me, sto pensando alle cose del
cielo e, mentre prego, di colpo, mi balza davanti
una turba di tentazioni e immaginazioni carnali. Dio
mio, «non stare lontano da me» (Sal
70,12) e «non allontanarti in collera dal tuo
servo» (Sal 26,9). «Lancia i tuoi
fulmini», disperdi questa turba; «lancia
le tue saette e saranno sconvolte le macchinazioni
del nemico» (Sal 143,6). Fa' che i miei
sentimenti siano concentrati in te; fa' che io
dimentichi tutto ciò che appartiene al mondo;
fa' che io cacci via e disprezzi le ingannevoli
immagini con le quali ci appare il vizio.
Vieni in mio aiuto, o eterna Verità,
cosicché nessuna cosa vana abbia potere di
smuovermi; vieni, o celeste Soavità,
cosicché ogni cosa non pura fugga davanti al
tuo volto. Ancora, perdonami e assolvimi, nella tua
misericordia, ogni volta che, nella preghiera, vado
pensando ad altro fuori che a te. In verità,
confesso sinceramente di essere solitamente molto
distratto: ché, ben spesso, io non sono
là dove materialmente sto e seggo, ma sono
invece là dove vengo portato dalla mente.
Là dove è il mio pensiero, io sono;
dove il mio pensiero solitamente è, là
sta ciò che io amo; è quello che fa
piacere alla nostra natura, o ci è caro per
abitudine, che mi viene d'un tratto alla mente.
Per questo tu, che sei la Verità eterna,
dicesti chiaramente: «Dove è il tuo
tesoro là è il tuo cuore» (Mt
6,21). Se amo il cielo, volentieri penso alle cose
del cielo; se amo il mondo, mi rallegro delle gioie
e mi rattristo delle avversità del mondo; se
amo le cose carnali, di esse sovente vado
fantasticando; se amo ciò che è
spirito, trovo diletto nel pensare alle cose dello
spirito.
Qualunque siano le cose che io amo, di queste parlo
e sento parlare volentieri; di queste riporto a casa
il ricordo. Beato invece colui che, per te, o
Signore, lascia andare tutto ciò che è
creato, e che, facendo violenza alla natura,
crocifigge i desideri della carne col fervore dello
Spirito: così da poterti offrire, a coscienza
tranquilla, una orazione pura; così da essere
degno di prender parte ai cori celesti, rifiutando,
dentro e fuori di sé, ogni cosa terrena.
Capitolo XLIX
Il desiderio della vita eterna. I grandi beni
promessi a quelli che lottano
1. Figlio mio, quando senti, infuso dall'alto, un
desiderio di eterna beatitudine; quando aspiri ad
uscire dalla povera dimora del tuo corpo, per poter
contemplare il mio splendore, senza ombra di
mutamento, allarga il tuo cuore e accogli con grande
sollecitudine questa santa ispirazione.
Rendi grazie senza fine alla superna Bontà,
che si mostra tanto benigna con te, venendo
indulgente presso di te; ti risolleva con ardore e
ti innalza con forza, cosicché, con la tua
pesantezza, tu non abbia a inclinare verso le cose
terrene. Tutto ciò, infatti, non lo devi ad
una tua iniziativa o ad un tuo sforzo, ma soltanto
al favore della grazia di Dio, che dall'alto guarda
a te. Ti sarà dato così di progredire
nelle virtù, in una sempre più grande
umiltà, preparandoti alle lotte future,
attaccato a me con tutto lo slancio del tuo cuore e
intento a servirmi con volenteroso fervore.
2. Figlio, il fuoco arde facilmente, ma senza fumo
la fiamma non ascende. Così certuni ardono
dal desiderio delle cose celesti, ma non sono liberi
dalla tentazione di restare attaccati alle cose
terrene; e perciò, quello che pur avevano
chiesto a Dio con tanto desiderio, non lo compiono
esclusivamente per la gloria di Dio.
Tale è sovente anche il tuo desiderio, che
hai ammesso esserti così molesto: non
è puro e perfetto, infatti, quello che
è inquinato dal comodo proprio. Non chiedere
ciò che ti piace e ti è utile, ma
piuttosto ciò che è gradito a me e mi
rende gloria. A ben vedere, al tuo desiderio e ad
ogni cosa desiderata devi preferire il mio comando,
e seguirlo.
Conosco la tua brama, ho ascoltato i frequenti tuoi
gemiti: già vorresti essere nella
libertà gloriosa dei figli di Dio; già
ti alletta la dimora eterna, la patria del cielo,
pienamente felice. Ma un tale momento non è
ancora venuto; questo è tuttora un momento
diverso: il momento della lotta, della fatica e
della prova. Tu brami di essere ricolmo del sommo
Bene, ma questo non lo puoi ottenere adesso.
Sono io, «aspettami, dice il Signore»
(Sof 3,8), finché venga il regno di Dio. Devi
essere ancora provato qui in terra, e travagliato in
vario modo. Qualche consolazione ti sarà data
talvolta; ma non ti sarà concessa una piena
sazietà.
«Confortati, pertanto, e sii gagliardo»
(Gs 1,7), nell'agire e nel sopportare ciò che
va contro la natura.
Occorre che tu ti rivesta dell'uomo nuovo; che tu ti
trasformi in un altro uomo. Occorre che tu faccia
sempre quello che non vorresti e che tu tralasci
quello che vorresti.
Avrà successo quanto è voluto da
altri, e quanto vuoi tu non andrà innanzi.
Sarà ascoltato quanto dicono gli altri, e
quanto dici tu sarà preso per un nulla. Altri
chiederanno, e riceveranno; tu chiederai, e non
otterrai. Altri saranno grandi al cospetto degli
uomini; sul tuo conto, silenzio. Ad altri
sarà affidata questa o quella faccenda; tu,
invece, non sarai ritenuto utile a nulla.
Da ciò la natura uscirà talvolta
contristata; ma grande frutto riporterai se
sopporterai in silenzio.
3. In questi, e in consimili vari modi, il servo
fedele del Signore viene di solito sottoposto a
prova, come sappia rinnegare e vincere del tutto se
stesso.
Altro, forse, non c'è, in cui tu debba essere
così morto a te stesso, fuor che constatare
ciò che contrasta con la tua volontà,
e doverlo sopportare; specialmente allorché
ti viene imposto di fare cosa che ti sembra non
opportuna o meno utile a te. Non osando opporre
resistenza a un potere superiore, tu, che sei
sottoposto, trovi duro camminare al comando di
altri, e lasciar cadere ogni tua volontà. Ma
se consideri, o figlio, quale sia il frutto di
queste sofferenze, cioè il rapido venire
della fine e il premio, allora non troverai
più alcun peso da tali sofferenze, ma un
validissimo conforto al tuo soffrire.
Giacché, invece di quella scarsa
volontà che ora, da te, non sai coltivare,
godrai per sempre nei cieli la pienezza della tua
volontà.
Nei cieli, invero, troverai tutto ciò che
vorrai, tutto ciò che potrai desiderare: nei
cieli godrai integralmente di ciò che
è bene e non temerai che esso ti venga a
mancare. Nei cieli il tuo volere, a me sempre unito,
a nulla aspirerà che venga di fuori, a nulla
che sia tuo proprio. Nei cieli nessuno ti
farà resistenza, nessuno si lamenterà
di te, nessuno ti sarà di ostacolo e nulla si
porrà contro di te; ma tutti i desideri
saranno insieme realizzati e ristoreranno pienamente
il tuo animo, appagandolo del tutto. Nei cieli, per
ogni oltraggio patito, io darò gloria; per la
tristezza, un premio di lode; per l'ultimo posto,
una dimora nel regno, nei secoli. Nei cieli si
vedrà il frutto dell'obbedienza; avrà
gioia il travaglio della penitenza; sarà
coronata di gloria l'umile soggezione.
Ora, dunque, devi chinarti umilmente sotto il potere
di ognuno, senza preoccuparti di sapere chi sia
colui che ti ha detto o comandato alcunché;
bada sommamente - sia un superiore, o uno più
giovane di te o uno pari a te, a chiederti o ad
accennarti qualcosa - di accettare tutto come
giusto, facendo in modo di eseguirlo con buona
volontà.
Altri vada cercando questo, altri quello; che uno si
glori in una cosa, e un altro sia lodato mille volte
per un'altra: quanto a te, invece, non in questa o
in quest'altra cosa devi trovare la tua gioia, ma
nel disprezzare te stesso, nel piacere soltanto a me
e nel darmi gloria. È questo che devi
desiderare, che in te sia glorificato sempre Iddio,
«per la vita e per la morte» (Fil 1,20).
Capitolo L
Chi è nella desolazione deve mettersi nelle
mani di Dio
1. Signore Dio, Padre santo, che tu sia, ora e
sempre, benedetto, perché come tu vuoi
così è stato fatto, e quello che fai
è buono. Che in te si allieti il tuo servo,
non in se stesso o in alcunché d'altro. Tu
solo sei letizia vera; tu la mia speranza e il mio
premio; tu, o Signore, la mia gioia e la mia gloria.
Che cosa ha il tuo servo, se non quello che, pur
senza suo merito, ha ricevuto da te?
Quello che hai dato e hai fatto a me, tutto è
tuo. «Povero io sono, e tribolato, fin dagli
anni della mia giovinezza» (Sal 87,16);
talvolta l'anima mia è triste fino alle
lacrime, talvolta si turba in se stessa sotto
l'incombere delle passioni.
Desidero il gaudio della pace; domando la pace dei
tuoi figli, da te nutriti nello splendore della
consolazione. Se tu doni questa pace, se tu infondi
questa santa letizia, l'anima del tuo servo
sarà tutta un canto nel dare lode a te,
devotamente. Se, invece, tu ti ritrai, come fai
talvolta, il tuo servo non potrà percorrere
lesto la «via dei tuoi comandamenti»
(Sal 118,32). Di più, gli si piegheranno le
ginocchia e si batterà il petto; per lui non
sarà più come prima, ieri o ier
l'altro, quando il tuo lume gli splendeva sul capo e
l'ombra delle tue ali lo proteggeva dall'irrompere
delle tentazioni.
2. Padre giusto e degno di perpetua lode, giunga
l'ora in cui il tuo servo deve essere provato. Padre
degno di amore, è giusto che in questo
momento il tuo servo patisca un poco per te. Padre
degno di eterna venerazione, giunge l'ora, che da
sempre sapevi sarebbe venuta, l'ora in cui il tuo
servo - pur se interiormente sempre vivo in te -
deve essere sopraffatto esteriormente, vilipeso
anche ed umiliato, scomparendo dinanzi agli uomini,
afflitto dal patire e dall'angoscia; e ciò
per risorgere di nuovo con te, in una aurora di
nuova luce, nello splendore dei cieli.
Padre santo, così hai disposto, così
hai voluto; e come hai voluto è stato fatto.
Giacché questo è il dono che tu fai
all'amico tuo, di patire e di essere tribolato in
questo mondo, per amor tuo; e ciò quante
volte e da chiunque permetterai che sia fatto. Nulla
accade quaggiù senza che tu lo abbia
provvidenzialmente disposto, e senza una ragione.
«Cosa buona è per me, che tu mi abbia
umiliato, per farmi conoscere la tua
giustizia» (Sal 118,71) e per far sì
che io abbandoni ogni orgoglio interiore e ogni
temerarietà. Cosa per me vantaggiosa, che la
vergogna abbia ricoperto il mio volto, così
che, per essere consolato, io abbia a cercare te
piuttosto che gli uomini. In tal modo imparo infatti
a temere l'imperscrutabile tuo giudizio, con il
quale tu colpisci il giusto insieme con l'empio, ma
sempre con imparziale giustizia.
Siano rese grazie a te, che non sei stato indulgente
verso i miei peccati, e mi hai invece colpito con le
sferzate dell'amore, infliggendomi dolori e dandomi
angustie, esterne ed interiori.
Nessuno, tra tutti coloro che stanno sotto il cielo,
quaggiù, mi può dare consolazione; tu
solo lo puoi, o Signore mio Dio, celeste medico
delle anime, che colpisci e risani, «cacci
all'inferno e da esso ritogli» (Tb 13,2).
La rigida tua regola stia sopra di me; essa mi
ammaestrerà.
3. Padre diletto, ecco, io sono nelle tue mani; mi
curvo sotto la verga, che mi corregge. Percuotimi il
dorso e il collo, affinché io indirizzi la
mia vita tortuosa secondo la tua volontà.
Come tu suoli, e con giustizia, fa' di me un devoto
e umile discepolo, pronto a camminare a ogni tuo
cenno. A te affido me stesso, e tutto ciò che
è mio, per la necessaria correzione. È
preferibile essere aspramente rimproverato
quaggiù, che nella vita futura.
Tu conosci tutte le cose, nel loro insieme e una per
una; nulla rimane a te nascosto dell'animo umano. Tu
conosci le cose che devono venire, prima che esse
siano, e non hai bisogno che alcuno ti indichi o ti
rammenti quello che accade su questa terra. Tu
conosci ciò che mi aiuta a progredire, e sai
quanto giova la tribolazione per togliere la ruggine
dei vizi.
Fa' di me quel che ti piace, e che io, appunto,
desidero; e non voler giudicare severamente la mia
vita di peccato, che nessuno conosce più
perfettamente e chiaramente di te. Fa' che io
comprenda ciò che è da comprendere;
che io ami ciò che è da amare; fa' che
io approvi ciò che sommamente piace a te; che
io apprezzi ciò che a te pare prezioso; fa'
che io disprezzi ciò che è abietto ai
tuoi occhi.
Non permettere che io giudichi «secondo il
modo di vedere degli occhi materiali; che io non mi
pronunzi secondo quel che si sente dire» da
gente profana (Is 11,3). Fa' che io, invece,
discerna le cose esteriori e le cose spirituali in
spirito di verità; fa' che, sopra ogni cosa,
io vada sempre ricercando il tuo volere.
Se il giudizio umano, basato sui sensi, sovente trae
in inganno, si ingannano anche coloro che sono
attaccati alle cose del mondo, amando soltanto le
cose visibili. Forse che uno è migliore
perché è considerato qualcosa di
più, nel giudizio di un altro? Quando questi
lo esalta, è un uomo fallace che inganna un
uomo fallace, un essere vano che inganna un essere
vano, un cieco che inganna un cieco, un miserabile
che inganna un miserabile; quando lo elogia a vuoto,
realmente lo fa vergognare ancor più.
Invero, secondo il detto dell'umile san Francesco,
quanto ciascuno è ai tuoi occhi, tanto egli
è; e nulla di più.
Capitolo LI
Dedicarsi a cose più umili quando si viene
meno nelle più alte
Tu non riesci, o figlio, a persistere in un
fervoroso desiderio delle virtù e a restare
in un alto grado di contemplazione. Talora, a causa
della colpa che è all'origine
dell'umanità, devi scendere più in
basso e portare il peso di questa vita corruttibile,
pur contro voglia e con disgusto; disgusto e
pesantezza di spirito, che sentirai fino a che
vestirai questo corpo mortale. Nella carne, dunque,
e sotto il peso della carne devi spesso patire,
poiché non sei capace di stare interamente e
continuamente in occupazioni spirituali e nella
contemplazione di Dio. Allora devi rifugiarti in
occupazioni umili e materiali e fortificarti con
azioni degne; devi attendere, con ferma fiducia, che
io venga dall'alto e mi manifesti a te; devi
sopportare con pazienza il tuo esilio e la tua
aridità di spirito, fino a che io non venga
di nuovo a te, liberandoti da tutte le tue angosce.
Invero ti farò dimenticare le tue fatiche,
nel godimento della pace interiore; ti aprirò
dinanzi il campo delle Scritture, nel quale potrai
cominciare a correre con animo sollevato «la
via dei miei comandamenti» (Sal 118,32).
Allora dirai: «I patimenti di questo mondo non
sono nulla in confronto alla futura gloria, che si
rivelerà in noi» (Rm 8,18).
Capitolo LII
L'uomo non si creda meritevole di essere consolato,
ma piuttosto di essere colpito
1. È giusto, o Signore, quello che fai con me
quando mi lasci abbandonato e desolato;
perché della tua consolazione o di alcuna tua
visita spirituale io non son degno, e non lo sarei
neppure se potessi versare tante lacrime quanto un
mare. Altro io non merito che di essere colpito e
punito, per averti offeso, spesso e in grave modo, e
per avere, in molte occasioni, peccato grandemente.
Dunque, a conti fatti, in verità, io non sono
meritevole del minimo tuo conforto. Ma tu, o
clemente e pietoso, per manifestare l'abbondanza
della tua bontà in copiosa misericordia, non
vuoi che l'uomo, opera delle tue mani, perisca;
inoltre ti degni di consolare il tuo servo, anche al
di là di ogni merito, in modo superiore
all'umano: ché non somigliano ai discorsi
degli uomini le tue parole consolatrici.
O Signore, che cosa ho fatto perché tu mi
abbia a concedere qualche celeste conforto? Non
rammento di aver fatto nulla di buono; rammento
invece di essere sempre stato facile al vizio e
tardo all'emendamento. Questa è la
verità; non posso negarlo. Se dicessi il
contrario, tu ti porresti contro di me, e nessuno
verrebbe a difendermi.
Che cosa ho meritato con i miei peccati, se non
l'inferno e il fuoco eterno?
2. Sinceramente lo confesso: io sono meritevole di
essere vituperato in tutti i modi, e disprezzato,
non già di essere annoverato tra i tuoi
fedeli.
Anche se questo me lo dico con dolore,
paleserò chiaramente, contro di me, per amore
di verità, i miei peccati, così da
rendermi degno di ottenere più facilmente la
tua misericordia.
Che dirò, colpevole quale sono, e pieno di
vergogna? Non ho la sfrontatezza di pronunziare
parola; se non questa soltanto: Ho peccato, Signore,
ho peccato, abbi pietà di me, dammi il tuo
perdono.
«Lasciami un poco; lascia che io pianga tutto
il mio dolore, prima di andare nel luogo della
tenebra, coperto dalla caligine della morte»
(Gb 10,20s).
Che cosa chiedi massimamente dal colpevole, dal
misero peccatore, se non che egli si penta e si
umilii per le sue colpe? Dalla sincera contrizione e
dall'umiliazione interiore sboccia la speranza del
perdono, e ritrova se stessa la coscienza sconvolta;
l'uomo riacquista la grazia perduta e trova riparo
dall'ira futura. Dio e l'anima penitente si
incontrano in un vicendevole santo bacio.
Sacrificio a te gradito, o Signore - sacrificio che
odora, al tuo cospetto, molto più soave del
profumo dell'incenso - è l'umile sincero
pentimento dei peccatori. È questo pure
quell'unguento gradito che hai voluto fosse versato
sui tuoi sacri piedi, giacché tu non hai
disprezzato «un cuore contrito ed
umiliato» (Sal 50,19).
In questo sincero pentimento si trova rifugio dalla
faccia minacciosa del nemico. Con esso si ripara e
si purifica tutto ciò che, da qualche parte,
fu deturpato e inquinato.
Capitolo LIII
La grazia di Dio non si confonde con ciò che
ha sapore di cose terrene
1. Preziosa, o figlio, è la mia grazia; essa
non tollera di essere mescolata a cose esteriori e a
consolazioni terrene. Perciò devi buttar via
tutto ciò che ostacola la grazia, se vuoi che
questa sia infusa in te.
Procurati un luogo appartato, compiaciti di stare
solo con te stesso, non andare cercando di
chiacchierare con nessuno; effondi, invece, la tua
devota preghiera a Dio, per conservare compunzione
d'animo e purezza di coscienza.
Il mondo intero, consideralo un nulla; alle cose
esteriori anteponi l'occuparti di Dio. Ché
non potresti attendere a me, e nello stesso tempo
trovare godimento nelle cose passeggere.
Occorre allontanarsi dalle persone che si conoscono
e alle quali si vuole bene; occorre tenere l'animo
sgombro da ogni conforto temporale. Ecco ciò
che il santo apostolo Pietro chiede, in nome di Dio:
che i seguaci di Cristo si conservino in questo
mondo «come forestieri e pellegrini» (1
Pt 2,11).
Quanta sicurezza in colui che muore, senza essere
legato alla terra dall'attaccamento per alcuna cosa.
Uno spirito debole, invece, non riesce a mantenere
il cuore tanto distaccato in tutto: l'uomo materiale
non conosce la libertà dell'uomo interiore.
Che se uno vuole veramente essere uomo spirituale,
egli deve rinunciare a tutti, ai lontani e ai
vicini; e guardarsi da se stesso più ancora
che dagli altri. Se avrai vinto pienamente te
stesso, più facilmente soggiogherai tutto il
resto.
Trionfare di se medesimi è vittoria perfetta;
giacché colui che domina se stesso - facendo
sì che i sensi obbediscano alla ragione, e la
ragione obbedisca, in tutto e per tutto, a me -
questi è, in verità, vincitore di
sé e signore del mondo.
2. Se brami elevarti a questa somma altezza,
è necessario che tu cominci con coraggio,
mettendo la scure alla radice, per poter estirpare
totalmente la tua segreta inclinazione, contraria al
volere di Dio, volta a te stesso e a tutto
ciò che è tuo utile materiale.
Da questo vizio, dall'amore di sé,
contrarissimo alla volontà divina, deriva, si
può dire, tutto quanto deve essere stroncato
radicalmente.
Domato e superato questo vizio, si farà
stabilmente una grande pace e una grande
serenità. Ma sono pochi quelli che si
adoprano per morire del tutto a se stessi, e per
uscire pienamente da se stessi. I più restano
avviluppati, né sanno innalzarsi
spiritualmente sopra di sé.
Coloro che desiderano camminare con me senza impacci
debbono mortificare tutti i loro affetti perversi e
contrari all'ordine voluto da Dio, senza restare
attaccati di cupido amore personale ad alcuna
creatura.
Capitolo LIV
Gli opposti impulsi della natura e della grazia
1. Figlio, considera attentamente gli impulsi della
natura e quelli della grazia: come si muovono in
modo nettamente contrario, ma così
sottilmente che soltanto, e a fatica, li distingue
uno che sia illuminato da interiore
spiritualità. Tutti, invero, desiderano il
bene e, con le loro parole e le loro azioni, tendono
a qualcosa di buono; ma, appunto per una falsa
apparenza del bene, molti sono ingannati.
La natura è scaltra, trascina molta gente,
seduce, inganna e mira sempre a se stessa. La
grazia, invece, cammina schietta, evita il male,
sotto qualunque aspetto esso appaia; non prepara
intrighi; tutto fa soltanto per amore di Dio, nel
quale, alla fine, trova la sua quiete.
La natura non vuole morire, non vuole essere
soffocata e vinta, non vuole essere schiacciata,
sopraffatta o sottomessa, né mettersi da
sé sotto il giogo. La grazia, invece, tende
alla mortificazione di sé e resiste alla
sensualità, desidera e cerca di essere
sottomessa e vinta; non vuole avere una sua
libertà, preferisce essere tenuta sotto
disciplina; non vuole prevalere su alcuno, ma vuole
sempre vivere restando sottoposta a Dio; è
pronta a cedere umilmente a ogni creatura umana, per
amore di Dio.
La natura s'affanna per il suo vantaggio, e bada
all'utile che le possa venire da altri. La grazia,
invece, tiene conto di ciò che giova a molti,
non del profitto e dell'interesse propri.
La natura gradisce onori e omaggi. La grazia,
invece, ogni onore e ogni lode li attribuisce a Dio.
La natura rifugge dalla vergogna e dal disprezzo. La
grazia, invece, si rallegra «di patire
oltraggi nel nome di Gesù» (At 5,41).
La natura inclina all'ozio e alla
tranquillità materiale. La grazia, invece,
non può stare oziosa e accetta con piacere la
fatica.
La natura mira a possedere cose rare e belle, mentre
detesta quelle spregevoli e grossolane. La grazia,
invece, si compiace di ciò che è
semplice e modesto; non disprezza le cose rozze,
né rifugge dal vestire logori panni.
2. La natura guarda alle cose di questo tempo;
gioisce dei guadagni e si rattrista delle perdite di
quaggiù; si adira per una piccola parola
offensiva. La grazia, invece, non sta attaccata
all'oggi, ma guarda all'eternità; non si
agita per la perdita di cose materiali; non si
inasprisce per una parola un po' brusca,
perché il suo tesoro e la sua gioia li pone
nel cielo dove nulla perisce.
La natura è avida, preferisce prendere che
donare, ha caro ciò che è proprio e
personale. La grazia, invece, è caritatevole
e aperta agli altri; rifugge dalle cose personali,
si contenta del poco, ritiene «più
bello dare che ricevere» (At 20,35).
La natura tende alle creature e al proprio corpo,
alle vanità e alle chiacchiere. La grazia,
invece, si volge a Dio e alle virtù; rinuncia
alle creature, fugge il mondo, ha in orrore i
desideri della carne, frena il desiderio di andare
di qua e di là, si vergogna di comparire in
pubblico.
La natura gode volentieri di qualche svago
esteriore, nel quale trovino piacere i sensi. La
grazia, invece, cerca consolazione soltanto in Dio
e, al di sopra di ogni cosa di questo mondo, mira a
godere del sommo Bene.
La natura tutto fa per il proprio guadagno e il
proprio vantaggio; non può fare nulla senza
ricevere nulla; per ogni favore spera di conseguirne
uno uguale o più grande, oppure di riceverne
lodi e approvazioni; desidera ardentemente che i
suoi gesti e i suoi doni siano molto apprezzati. La
grazia, invece, non cerca nulla che sia passeggero e
non chiede, come ricompensa, altro premio che Dio
soltanto; delle cose necessarie in questa vita non
vuole avere più di quanto le possa essere
utile a conseguire le cose eterne.
3. La natura si compiace di annoverare molte
amicizie e parentele; si vanta della provenienza da
un luogo celebre o della discendenza da nobile
stirpe; sorride ai potenti, corteggia i ricchi ed
applaude chi è come lei. La grazia, invece,
ama anche i nemici; non si esalta per la
quantità degli amici; non dà
importanza al luogo di origine o alla famiglia da
cui discende, a meno che in essa vi sia una
virtù superiore; è ben disposta verso
il povero più che verso il ricco; simpatizza
maggiormente con la povera gente che con i potenti;
sta volentieri con le persone sincere, non
già con gli ipocriti; esorta sempre le anime
buone ad ambire a «doni spirituali sempre
più grandi» (1 Cor 12,31), così
da assomigliare, per le loro virtù, al Figlio
di Dio.
La natura, di qualcosa che manchi o che dia noia,
subito si lamenta. La grazia sopporta con fermezza
ogni privazione.
La natura riferisce tutto a sé; lotta per
sé, discute per sé. La grazia, invece,
riconduce tutte le cose a Dio, da cui provengono,
come dalla loro origine; nulla di buono attribuisce
a se stessa, non presume di sé con superbia;
non contende, non pone l'opinione propria avanti
alle altre; anzi si sottomette, in ogni suo
sentimento e in ogni suo pensiero, all'eterna
sapienza e al giudizio di Dio.
La natura è avida di conoscere cose segrete e
vuol sapere ogni novità; ama uscir fuori, per
fare molte esperienze; desidera distinguersi e darsi
da fare in modo che ad essa possa venirne lode e
ammirazione. La grazia, invece, non si preoccupa di
apprendere novità e curiosità,
perché tutto il nuovo nasce da una
trasformazione del vecchio, non essendoci mai, su
questa terra, nulla che sia nuovo e duraturo.
La grazia insegna, dunque, a tenere a freno i sensi,
a evitare la vana compiacenza e l'ostentazione, a
tener umilmente nascosto ciò che sarebbe
degno di lode e di ammirazione, infine a tendere, in
tutte le nostre azioni e i nostri studi, al vero
profitto, alla lode e alla gloria di Dio. Non vuol
far parlare di sé e delle cose sue,
desiderando, invece, che, in tutti i suoi doni, sia
lodato Iddio, che tutto elargisce per puro amore.
4. È, codesta grazia, una luce
sovrannaturale, propriamente un dono spirituale di
Dio, un segno distintivo degli eletti, una garanzia
della salvezza eterna. La grazia innalza l'uomo
dalle cose terrestri all'amore del cielo e lo
trasforma da carnale in spirituale.
Adunque, quanto più si tiene in freno e si
vince la natura, tanta maggior grazia viene infusa
in noi; così, per mezzo di continue e nuove
manifestazioni divine, l'uomo interiore si trasforma
secondo l'immagine di Dio.
Capitolo LV
La corruzione della natura e la potenza della grazia
divina
1. O Signore Dio, che mi hai creato a tua immagine e
somiglianza, concedimi questa grazia grande,
indispensabile per la salvezza, come tu hai
rivelato; così che io possa superare la mia
natura, tanto malvagia, che trae al peccato e alla
perdizione. Ché, nella mia carne, io sento,
contraria alla «legge della mia ragione, la
legge del peccato» (Rm 7,23), la quale mi fa
schiavo e di frequente mi spinge ad obbedire ai
sensi. E io non posso far fronte alle passioni
peccaminose, provenienti da questa legge del
peccato, se non mi assiste la tua grazia santissima,
infusa nel mio cuore, che ne avvampa.
Appunto una tua grazia occorre, una grazia grande,
per vincere la natura, sempre proclive al male, fin
dal principio.
Infatti, per colpa del primo uomo Adamo, la natura
decadde, corrotta dal peccato; e la triste
conseguenza di questa macchia passò in tutti
gli uomini, talché quella natura, da te
creata buona e retta, ormai è intesa come
vizio e debolezza della natura corrotta.
Così, per la libertà che le è
lasciata, la natura trascina verso il male e verso
il basso. E quel poco di forza che rimane nella
natura è come una scintilla coperta dalla
cenere. È questa la ragione naturale, che,
pur se circondata da oscurità, è
ancora capace di giudicare il bene ed il male, e di
separare il vero dal falso; anche se non riesce a
compiere tutto quello che riconosce come buono,
anche se non possiede la pienezza del lume della
verità e la perfetta purezza dei suoi
affetti.
È per questo, o mio Dio, che «nello
spirito, mi compiaccio della tua legge» (Rm
7,22), sapendo che il tuo comando è buono,
giusto e santo, tale che ci invita a fuggire ogni
male e ogni peccato. Invece, alla carne io mi
sottometto per la legge del peccato, obbedendo
più ai sensi che alla ragione.
È per questo che «volere il bene mi
è facile, ma a compiere il bene non
riesco» (Rm 7,18). È per questo che
vado spesso proponendomi molte buone cose; ma mi
manca la grazia che mi aiuti nella mia debolezza, e
mi ritiro e vengo meno anche per una piccola
difficoltà. È per questo che mi
avviene di conoscere la via della perfezione e di
vedere con chiarezza quale debba essere la mia
condotta; ma poi, schiacciato dal peso della mia
propria corruzione, non riesco a salire a cose
più elevate.
2. La tua grazia, o Signore, mi è davvero
massimamente necessaria per cominciare, portare
avanti e condurre a compimento il bene: «senza
di essa non posso far nulla» (Gv 15,5),
«mentre tutto posso in te», che mi dai
forza, con la tua grazia (Fil 4,13).
Grazia veramente di cielo, questa; mancando la quale
i nostri meriti sono un nulla, e un nulla si devono
considerare anche i doni naturali. Abilità e
ricchezza, bellezza e forza, intelligenza ed
eloquenza, nulla valgono presso di te, o Signore, se
manca la grazia. Ché i doni di natura li
hanno sia i buoni che i cattivi; mentre dono proprio
degli eletti è la grazia, cioè l'amore
di Dio. Rivestiti di tale grazia, gli eletti sono
ritenuti degni della vita eterna.
Tutto sovrasta questa grazia; tanto che né il
dono della profezia, né il potere di operare
miracoli, né la più alta
contemplazione valgono alcunché, senza di
essa. Neppure la fede, neppure la speranza,
né le altre virtù sono a te accette,
senza la carità e la grazia.
3. O grazia beatissima, che fai ricco di
virtù chi è povero nello spirito e fai
ricco di molti beni chi è umile di cuore,
vieni, discendi in me, colmami fin dal mattino della
tua consolazione, cosicché l'anima mia non
venga meno per stanchezza e aridità
interiore! Ti scongiuro, o Signore: che io trovi
grazia ai tuoi occhi. La tua gloria mi basta (2 Cor
12,9), pur se non otterrò tutto quello cui
tende la natura umana. Anche se sarò tentato
e angustiato da molte tribolazioni, non
temerò alcun male, finché la tua
grazia sarà con me. Essa mi dà forza,
guida ed aiuto; vince tutti i nemici, è
più sapiente di tutti i sapienti. Essa
è maestra di verità e di vita, luce
del cuore, conforto nell'afflizione. Essa mette in
fuga la tristezza, toglie il timore, alimenta la
pietà, genera le lacrime. Che cosa sono io
mai, senza la grazia, se non un legno secco, un ramo
inutile, da buttare via?
«La tua grazia, dunque, o Signore, mi preceda
sempre e mi segua, e mi conceda di essere sempre
pronto a operare il bene, per Gesù Cristo,
Figlio tuo. Amen» (Messale Romano, oremus
della XVI domenica dopo Pentecoste).
Capitolo LVI
Rinnegare se stessi e imitare Cristo nella croce
1. O figlio, tu potrai tramutarti in me, a misura
che riuscirai ad uscire da te stesso. Ché
l'intimo oblio di se stessi congiunge a Dio, come la
mancanza di desideri esterni porta la pace
interiore.
Io voglio che tu apprenda a rinnegare pienamente te
stesso, in adesione alla mia volontà, senza
obiezioni, senza lamentele.
«Seguimi» (Mt 9,9). «Io sono la
via, la verità e la vita» (Gv 14,6).
Senza la via non si cammina; senza la verità
non si conosce; senza la vita non si vive.
Io sono la via che devi seguire; la verità
cui devi credere; la vita che devi sperare. Io sono
la via che non si deve lasciare, la verità
che non sbaglia, la vita che non ha termine. Io sono
la via diritta, la verità ultima, la vita
vera, beata, increata. «Se rimarrai nella mia
via, conoscerai la verità e la verità
ti farà libero» (Gv 8,32); così
raggiungerai la vita eterna.
«Vuoi entrare nella vita? osserva i
comandamenti» (Mt 19,17). Vuoi conoscere la
verità? credi a me. «Vuoi essere
perfetto? vendi ogni tua cosa» (Mt 19,21).
«Vuoi essere mio discepolo? rinnega te
stesso» (cfr Lc 9,23; 14,27; Mt 16,24). Vuoi
avere la vita beata? disprezza la vita presente.
Vuoi essere esaltato in cielo? umiliati in questo
mondo. Vuoi regnare con me? con me porta la croce.
Soltanto quelli che si fanno servi della croce
trovano la vita della beatitudine e della vera luce.
2. O Signore Gesù, dura fu la tua vita, e
disprezzata dagli uomini; fa' che io ti possa
imitare, disprezzato dal mondo, giacché
«il servo non è da più del suo
padrone, né il discepolo è da
più del maestro» (Mt 10,24). Che il tuo
servo si addestri alla scuola della tua vita,
perché in essa sta la mia salvezza e la vera
santità; qualunque cosa io legga o ascolti,
fuori di essa, non mi ristora e non mi allieta
pienamente.
Figlio, tutte queste cose le conosci e le hai lette;
sarai beato se le metterai in pratica. «Chi ha
dinanzi agli occhi i miei comandamenti, e li
osserva, questi mi ama; e io l'amerò e mi
manifesterò a lui» (Gv 24,21) e lo
farò sedere con me nel regno del Padre mio
(Ap 3,21).
O Signore, come hai detto e hai promesso,
così a me sia dato di meritarlo. Ho ricevuto
la croce dalla tua mano; la porterò fino alla
morte, come tu me l'hai posta sulle spalle. In
verità la vita di un santo monaco è
croce, ma guida che porta al paradiso.
Abbiamo cominciato; non ci è lecito tornare
indietro, né lasciare ciò che abbiamo
intrapreso. Via, o fratelli, procediamo insieme:
Gesù sarà con noi. Abbiamo preso
questa croce per amore di Gesù; perseveriamo
nella croce. Colui che ci guida e ci precede
sarà il nostro aiuto.
Ecco, il nostro re camminerà avanti a noi;
«egli combatterà per noi» (2 Esd
4,20). Seguiamolo con animo virile; che nessuno
abbia paura, né si lasci atterrire; che noi
siamo pronti a morire coraggiosamente nella lotta;
che non abbiamo a gravare il nostro buon nome con
una delittuosa fuga (1 Mac 9,10) dinanzi alla croce.
Capitolo LVII
Non ci si deve abbattere eccessivamente quando si
cade in qualche mancanza
1. O figlio, più mi è cara l'umile
sopportazione nelle avversità, che la
pienezza di devota consolazione nel tempo
favorevole.
Perché ti rattrista una piccolezza che venga
detta contro di te? Anche se si trattasse di
qualcosa di più, non dovresti turbarti.
Lascia andare, invece. Non è una cosa strana,
non è la prima volta, né sarà
l'ultima, se vivrai a lungo.
Tu sei molto forte fino a che nulla ti contraria;
sai persino dare buoni consigli e fare forza ad
altri con le tue parole. Ma non appena si presenta
alla tua porta un'improvvisa tribolazione, consiglio
e forza ti vengono meno.
Guarda alla tua grande fragilità, che hai
constatata molto spesso, di fronte a piccole
contraddizioni. Pure, è per il tuo bene che
accadono tali cose; quando ti avvengono queste o
simili pene, deponile, dunque, dal tuo cuore, come
meglio puoi. E se una tribolazione ti colpisce, non
per questo ti abbatta o ti tenga legato a lungo.
Sopporta almeno con pazienza, se non ti riesce con
gioia. Anche se una cosa te la senti dire
malvolentieri e ne provi indignazione, devi
dominarti; non devi permettere che dalla tua bocca
esca alcunché di ingiusto, che dia scandalo
ai semplici. Ben presto l'eccitazione emotiva si
placherà, e l'interna sofferenza si
farà più lieve, con il ritorno della
grazia.
2. Ecco, «io vivo - dice il Signore -»
(Is 49,18), pronto ad aiutarti e a consolarti
più ancora del solito, se a me ti affiderai,
devotamente invocandomi. «Tu sii più
rassegnato» (Bar 4,30); sii pronto a una
maggiore sopportazione.
Non è del tutto inutile che tu ti senta
tribolato e fortemente tentato: sei un uomo, e non
Dio; carne, non spirito angelico. Come potresti
mantenerti sempre nel medesimo stato di
virtù, quando questo venne meno a un angelo,
in cielo, e al primo uomo, nel paradiso, che non vi
rimasero a lungo?
Io sono «colui che solleva e libera quelli che
piangono» (Gb 5,11); colui che innalza alla
mia condizione divina quelli che riconoscono la loro
debolezza.
O Signore, benedetta sia la tua parola, dolce al mio
orecchio «più del miele di favo»
(Sal 18,11). Che farei io mai, in così grandi
tribolazioni e nelle mie angustie, se tu non mi
confortassi con le tue sante parole?
Purché, alla fine, io giunga al porto della
salvezza, che importa quali e quanto grandi cose
dovrò aver patito? Concedimi un felice
compimento, un felice trapasso da questo mondo.
«Ricordati di me, o mio Dio» (2 Esd
13,32) e conducimi nel tuo regno, per retto cammino.
Amen.
Capitolo LVIII
Non dobbiamo cercar di conoscere le superiori cose
del cielo e gli occulti giudizi di Dio
1. O figlio, guardati dal voler disputare delle cose
del cielo e degli occulti giudizi di Dio:
perché quello è così derelitto
e quell'altro è portato a un così
grande stato di grazia; ancora, perché quello
viene tanto colpito e quell'altro viene tanto
innalzato.
Tutto ciò va al di là di ogni umana
capacità; non v'è alcun ragionamento,
non v'è alcuna disquisizione che valga a
comprendere il giudizio di Dio. Quando, dunque, una
spiegazione ti viene suggerita dal nemico, oppure
certuni indiscreti la vanno cercando, rispondi con
quel detto del profeta: «tu sei giusto, o
Signore, e retto è il tuo giudizio»
(Sal 118,137); o con quest'altro: «veri sono i
giudizi di Dio, santi in se stessi» (Sal
18,10).
Tu devi venerare i miei giudizi, non discuterli,
perché essi sono incomprensibili per
l'intelletto umano. Neppure devi indagare e
discutere dei meriti dei beati: chi sia più
santo o chi sia più grande nel regno dei
cieli. Sono cose che danno luogo spesso a dispute e
a contese inutili e fomentano la superbia e la
vanagloria; onde nascono invidie e divisioni,
giacché uno si sforza, presuntuosamente, di
portare innanzi un santo, un altro, un altro santo.
Ma sono cose che, a volerle conoscere ed indagare,
non portano alcun frutto; cose che, invece, sono
sgradite ai beati, poiché «io non sono
un Dio di discordia ma di pace» (1 Cor 14,33).
Una pace che consiste nella vera umiltà,
più che nella esaltazione di sé.
2. Ci sono alcuni che, quasi per geloso affetto,
sono tratti verso questi o questi altri santi, con
maggiore sentimento: sentimento umano, però,
piuttosto che divino. Sono io che ho fatto i santi
tutti; sono io che ho elargito la grazia; sono io
che ho accordato la gloria; sono io che, conoscendo
i meriti di ciascuno, «sono andato loro
incontro benedicendoli nella mia bontà»
(Sal 20,4): io che li sapevo eletti, prima di tutti
i secoli.
«Sono stato io a sceglierli dal mondo, non
loro a scegliere me» (Gv 15,16.19); sono stato
io a chiamarli con la mia grazia, ad attirarli con
la mia misericordia; sono stato io a condurli
attraverso varie tentazioni e ad infondere loro
stupende consolazioni; sono stato io a dar loro la
perseveranza e a premiare le loro sofferenze. Io
conosco chi è primo tra di essi, e chi
è ultimo; ma tutti li abbraccio in un amore
che non ha misura.
In tutti i miei santi, a me va data la lode; sopra
ogni cosa, a me va data la benedizione; a me va dato
l'onore per ciascuno di quelli che io ho fatto
grandi, con tanta gloria, ed ho predestinati, senza
che ne avessero dapprima alcun merito. Per questo
chi disprezza il più piccolo dei miei santi,
non onora neppure quello che sia grande,
perché «fui io a fare il piccolo e il
grande» (Sap 6,8). E chi diminuisce uno
qualunque dei santi, diminuisce anche me e tutti gli
altri che sono nel regno dei cieli.
Una cosa sola costituiscono tutti i beati, a causa
del vincolo dell'amore; uno è il loro
sentimento, uno il loro volere, e tutti unitamente
si amano. Ancora, - cosa molto più eccelsa -
amano me più che se stessi e più che i
propri meriti. Giacché, innalzati sopra di
sé e strappati dall'amore di sé, essi
si volgono totalmente al mio amore; di me godono, in
me trovano pace. Non c'è nulla che li possa
distogliere o tirare al basso: colmi dell'eterna
verità, ardono del fuoco di un inestinguibile
amore.
Smettano, dunque, gli uomini carnali e materiali,
essi che sanno apprezzare soltanto il proprio
personale piacere, di disquisire della condizione
dei santi. Essi tolgono e accrescono secondo il
proprio capriccio, non secondo quanto è
disposto dall'eterna Verità.
Molti non capiscono; soprattutto quelli che, per
scarso lume interiore, a stento sanno amare qualcuno
di perfetto amore spirituale. Molti, per naturale
affetto e per umano sentimento, sono attratti verso
questi o quei santi, e concepiscono il loro
atteggiamento verso i santi del cielo come quello
verso gli uomini di quaggiù; mentre
c'è un divario incolmabile tra il modo di
pensare della gente lontana dalla perfezione e le
intuizioni superiori raggiunte, per rivelazione, da
coloro che sono particolarmente illuminati.
3. Guardati dunque, o figlio, dall'occuparti
avidamente di queste cose, che vanno al di là
della possibile tua conoscenza; preoccupati e
sforzati piuttosto di poterti trovare tu nel regno
dei cieli, magari anche ultimo.
Che, pure se uno sapesse chi sia più santo di
un altro o sia considerato più grande nel
regno dei cieli, a che cosa ciò gli
gioverebbe, se non ne traesse motivo di abbassarsi
dinanzi a me, levandosi poi a lodare ancor
più il mio nome?
Compie cosa molto più gradita a Dio colui che
pensa alla enormità dei suoi peccati, alla
pochezza delle sue virtù e a quanto egli sia
lontano dalla perfezione dei santi; molto più
gradita di quella che fa colui che disputa intorno
alla maggiore o minore grandezza dei santi. È
cosa migliore implorare i santi, con devote
preghiere e lacrime, e supplicarli umilmente
affinché, dalla loro gloria, diano aiuto;
migliore che andare indagando, con inutile ricerca,
il segreto della loro condizione.
Essi sono paghi, e pienamente: magari gli uomini
riuscissero a limitarsi, frenando i loro vaniloqui.
I santi non si vantano dei loro meriti; non
ascrivono a sé nulla di ciò che
è buono, tutto attribuendo a me;
poiché sono stato io, nel mio amore infinito,
a donare ad essi ogni cosa.
Di un così grande amore di Dio e di una gioia
così strabocchevole i santi sono ricolmi; che
ad essi nulla manca di gloria, nulla può
mancare di felicità. I santi, quanto
più sono posti in alto nella gloria, tanto
più sono umili in se stessi, e a me
più cari. Per questo trovi scritto che
«deponevano le loro corone dinanzi a Dio,
cadendo faccia a terra dinanzi all'Agnello e
adorando il Vivente nei secoli dei secoli» (Ap
4,10; 5,14).
4. Molti cercano di sapere chi sia il maggiore nel
regno di Dio, e non sanno neppure se saranno degni
di essere colà annoverati anche tra i
più piccoli. Ed è gran cosa essere
pure il più piccolo, in cielo, dove tutti
sono grandi, perché «saranno detti - e
lo saranno - figli di Dio» (Mt 5,9).
Quando infatti i discepoli andavano chiedendo chi
sarebbe stato il maggiore nel regno dei cieli, si
sentirono rispondere così: «Se non vi
sarete convertiti e non vi sarete fatti come
fanciulli non entrerete nel regno dei cieli; chi
dunque si sarà fatto piccolo come questo
fanciullo, questi è il più grande nel
regno dei cieli» (Mt 18,3s).
Guai a coloro che non vogliono accettare di buon
grado di farsi piccoli come fanciulli: la piccola
porta del regno dei cieli non permetterà loro
di entrare. Guai anche ai ricchi, che hanno
quaggiù le loro consolazioni: mentre i poveri
entreranno nel regno di Dio, essi resteranno fuori,
in lamenti. Godete, voi piccoli; esultate, voi
«poveri, perché il regno di Dio
è vostro» (Lc 6,20); a condizione
però che voi camminiate nella verità.
Capitolo LIX
Porre ogni nostra speranza e ogni fiducia soltanto
in Dio
1. O Signore, che cosa è mai la fiducia che
ho in questa vita? Quale è il mio più
grande conforto, tra tutte le cose che si vedono
sotto il cielo? Non sei forse tu, o Signore, mio Dio
di infinita misericordia? Dove mai ho avuto bene,
senza di te; quando mai ho avuto male con te?
Voglio essere povero per te, piuttosto che ricco
senza di te; voglio restare pellegrino su questa
terra, con te, piuttosto che possedere il cielo,
senza di te. Giacché dove sei tu, là
è cielo; e dove tu non sei, là
è morte ed inferno. Sei tu il mio desiderio
ultimo; perciò io ti debbo seguire, con
gemiti e lacrime ed alte, commosse preghiere. In una
parola, non posso avere fiducia in alcuno che mi
venga in aiuto nelle varie necessità, fuori
che in te soltanto, mio Dio. «La mia
speranza» e la mia fiducia sei tu (Sal 141,6);
tu, il mio consolatore, il più fedele in ogni
momento.
«Ognuno va cercando ciò che a lui
giova» (Fil 2,21); e tu, o Dio, ti prefiggi
soltanto la mia salvezza e il mio progresso, e tutto
volgi in bene per me. Pur quando mi esponi a varie
tentazioni e avversità, tutto questo tu lo
vuoi per il mio bene, giacché quelli che tu
ami usi metterli in vario modo alla prova; e in
questa prova io ti debbo amare e ringraziare, non
meno che quando tu mi colmi di celesti consolazioni.
2. In te, dunque, o Signore Dio, ripongo tutta la
mia speranza; in te cerco il mio rifugio; in te
rimetto tutte le mie tribolazioni e le mie
difficoltà, ché tutto trovo debole e
insicuro ciò che io vedo fuori di te.
Non mi gioveranno, infatti, i molti amici; non mi
saranno di aiuto coloro che vengono a soccorrermi,
per quanto forti; non mi potranno dare un parere
utile i prudenti, per quanto saggi; non mi potranno
dare conforto i libri dei sapienti; non ci
sarà una preziosa ricchezza che mi possa dare
libertà; non ci sarà un luogo raccolto
che mi possa dare sicurezza, se non sarai presente
tu ad aiutarmi, a confortarmi, a consolarmi; se non
sarai presente tu ad ammaestrarmi e a proteggermi.
In verità, tutte le cose che sembrano fatte
per dare pace e felicità non sono nulla e non
danno realmente felicità alcuna, se non ci
sei tu. Tu sei, dunque, l'ultimo termine di ogni
bene, il supremo senso della vita, la massima
profondità di ogni parola. Sperare in te
sopra ogni cosa è il maggior conforto di chi
si è posto al tuo servizio.
«A te sono rivolti i miei occhi» (Sal
140,8); «in te confido, o mio Dio» (Sal
24,1s), padre di misericordia (2 Cor 1,3). Benedici
e santifica, con la tua celeste benedizione, l'anima
mia, affinché essa sia fatta tua santa dimora
e sede della tua eterna gloria; e nulla si trovi in
questo tempio della tua grandezza, che offenda
l'occhio della tua maestà. Guarda a me, nella
tua immensa bontà e nell'abbondanza della tua
misericordia; ascolta la preghiera del tuo servo,
che va peregrinando in questa terra oscura di morte.
Proteggi e custodisci l'anima di questo tuo piccolo
servo, nei tanti pericoli della vita di
quaggiù; dirigila con la tua grazia per la
via della pace, alla patria della eterna luce e
felicità. Amen.
DEVOTA ESORTAZIONE
ALLA SANTA COMUNIONE DEL CORPO DI CRISTO
Proemio
La voce di Cristo dice: «Venite a me tutti,
voi che siete affaticati e oppressi; ed io vi
ristorerò» (Mt 11,28).
«Il pane che io darò è la mia
carne per la vita del mondo» (Gv 6,52).
«Prendete e mangiate, questo è il mio
corpo, che sarà dato per voi: fate questo in
memoria di me» (1 Cor 11,24).
«Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue
rimane in me, ed io in lui» (Gv 6,57).
«Le parole che vi ho dette sono spirito e
vita» (Gv 6,64).
Capitolo I
Con quanta venerazione si debba accogliere Cristo
1. O Cristo, verità eterna, sono, queste,
parole tue, anche se non pronunciate in un solo
momento, né scritte in un sol punto. E
poiché sono parole tue, esse devono essere
accolte tutte da me con gratitudine e con fede. Sono
parole tue, pronunciate da te; ma sono anche mie,
giacché le hai proferite per la mia salvezza.
E dalla tua bocca le prendo con gioia,
affinché penetrino più
convenientemente nel mio cuore.
Parole di così grande misericordia, piene di
dolcezza e di amore, mi sollevano; ma mi
atterriscono i miei peccati, e la mia coscienza non
pura mi impedisce di ricevere sì grandi
misteri. La dolcezza delle tue parole mi spinge, ma
poi mi attarda il cumulo dei miei difetti.
Tu mi comandi di accostarmi a te con fiducia, se
voglio stare intimamente in te; tu mi comandi di
ricevere il cibo dell'immortalità, se voglio
conquistare la vita eterna e la gloria.
«Venite tutti a me - dici - voi che siete
affaticati e oppressi, ed io vi
ristorerò» (Mt 11,28).
Dolce all'orecchio del peccatore, e piena
d'intimità, questa parola; una parola con la
quale tu, o Signore Dio mio, inviti me, misero e
povero, alla comunione del tuo corpo santissimo.
2. Ma chi sono io, o Signore, per credermi degno di
accostarmi a te? Gli immensi cieli non ti
contengono, e tu dici: «Venite a me
tutti». Che cosa vuol dire una degnazione
così misericordiosa, un invito così
pieno d'amicizia?
Come oserò venire, io che so bene di non
avere nulla di buono, per cui posso credermene
degno? Come ti farò entrare nella mia casa,
io che molte volte ho offeso il tuo volto tanto
benigno?
Gli angeli e gli arcangeli ti venerano; ti temono i
santi e i beati; e tu dici: «Venite tutti a
me». Se non fossi tu a dirlo, o Signore, chi
lo crederebbe; e se non fossi tu a comandarlo, chi
avrebbe il coraggio di avvicinarsi?
Ecco, Noè, uomo giusto, lavorò
cent'anni nella costruzione dell'arca, per trovare
salvezza con pochi suoi; e come potrò io,
solo in un'ora, prepararmi a ricevere con religioso
timore il costruttore del mondo?
Mosè, il servo tuo grande, a te
particolarmente caro, fece un'arca con legni non
soggetti a marcire e la rivestì d'oro
purissimo, per riporvi le tavole della legge; ed io,
putrida creatura, oserò ricevere con tanta
leggerezza te, autore della legge e datore della
vita?
Salomone, il sapientissimo re d'Israele,
costruì, con un lavoro di sette anni, un
tempio grandioso a lode del tuo nome; ne
celebrò la dedicazione con una festa di otto
giorni e con l'offerta di mille vittime pacifiche; e
collocò solennemente, tra gioiosi suoni di
tromba, l'arca dell'alleanza nel luogo per essa
predisposto. E come ti introdurrò nella mia
casa, io, infelice, il più miserabile tra gli
uomini; io che, a stento, riesco a passare
devotamente una mezz'ora? E fosse almeno, una volta,
una mezz'oretta passata come si deve!
3. O mio Dio, quanto si sforzarono di fare costoro
per piacerti! Ahimè! come è poco
quello che faccio io. Come è breve il tempo
che impiego quando mi preparo a comunicarmi:
raramente tutto raccolto; ancor più raramente
libero da ogni distrazione. Mentre, alla presenza
salvatrice della tua essenza divina, non dovrebbe,
di certo, affacciarsi alcun pensiero non degno di
te; ed io non dovrei lasciarmi prendere da alcuna
creatura, giacché sto per ricevere nella mia
casa, non un angelo, ma il Signore degli angeli.
Eppure c'è un abisso tra l'arca
dell'alleanza, con le cose sante che custodisce, e
il corpo tuo purissimo, con la sua forza indicibile;
tra i sacrifici legali di allora, immagine dei
sacrifici futuri, e il tuo corpo, vittima vera, che
porta a compimento tutti gli antichi sacrifici.
Perché dunque non m'infiammo di più
alla tua adorabile presenza; perché non mi
preparo con cura più grande a nutrirmi della
tua santità, quando quei santi dell'Antico
Testamento - patriarchi e profeti, e anche re e
principi, in unione con tutto il popolo -
dimostrarono un così grande slancio devoto
verso il culto divino?
Danzò il piissimo re Davide, con tutte le sue
forze, la danza sacra dinanzi all'arca di Dio,
riandando col pensiero alle prove d'amore, date, in
passato, da Dio ai patriarchi; apprestò
strumenti vari, compose salmi e li fece cantare in
letizia, e più volte cantò lui stesso
sulla cetra, mosso dalla grazia dello Spirito Santo;
istruì il popolo d'Israele a lodare Iddio con
tutto il cuore, a benedire ed esaltare ogni giorno
il nome di Dio, d'una sola voce.
Se allora si viveva in così grande devozione;
se di quel tempo restò il ricordo delle lodi
date a Dio davanti all'arca dell'alleanza, quanta
venerazione e quanta devozione devono essere ora in
me, e in tutto il popolo cristiano, di fronte al
sacramento, nell'atto di nutrirsi del corpo di
Cristo, cosa più di ogni altra sublime?
4. Corrono molti, fino a luoghi lontani, per vedere
le reliquie dei santi e stanno a bocca aperta a
sentire le cose straordinarie compiute dai santi
stessi; ammirano le grandi chiese; osservano e
baciano le sacre ossa, avvolte in sete intessute
d'oro. Mentre qui, accanto a me, sull'altare, ci sei
tu, mio Dio, il santo dei santi, il creatore degli
uomini e il signore degli angeli.
Spesso è la curiosità umana che spinge
a quelle visite, un desiderio di cose nuove, non mai
viste; ma se ne riporta scarso frutto di
miglioramento interiore, specialmente quando il
peregrinare è così superficiale, privo
di una vera contrizione. Mentre qui, nel sacramento
dell'altare, sei interamente presente tu, mio Dio,
«uomo Cristo Gesù» (1 Tm 2,5);
qui si riceve frutto abbondante di salvezza eterna,
ogni volta che ti si accoglie degnamente e con
devozione. Non una qualunque superficialità,
né la smania curiosa di vedere con i propri
occhi, ci porta a questo sacramento, ma una fede
sicura, una pia speranza, un sincero amore.
O Dio, invisibile creatore del mondo, come è
mirabile quello che tu fai con noi; come è
soave e misericordioso quello che concedi ai tuoi
eletti, ai quali offri te stesso, come cibo, nel
sacramento. Sacramento che oltrepassa ogni nostra
comprensione, trascina in modo del tutto particolare
il cuore delle persone devote e infiamma il loro
amore. Anche coloro che ti seguono con più
fedeltà, coloro che regolano tutta la loro
vita al fine del perfezionamento spirituale,
ricevono spesso da questo eccelso sacramento aumento
di grazia, nella devozione e nell'amore della
virtù.
Mirabile e nascosta, questa grazia del sacramento,
che soltanto i seguaci di Cristo conoscono, mentre
non la sentono coloro che non hanno la fede e sono
asserviti al peccato. In questo sacramento è
data la grazia spirituale, è restaurata
nell'anima la virtù perduta e torna
l'innocenza, che era stata deturpata dal peccato.
Tanto grande è talora questa grazia che, per
la pienezza della devozione conferita, non soltanto
lo spirito, ma anche il fragile corpo sente che gli
sono state date forze maggiori.
5. Rammarichiamoci altamente e lamentiamo la nostra
tiepidezza e negligenza, poiché non siamo
tratti da un ardore più grande a ricevere
Cristo, nel quale consiste tutta la speranza e il
merito di quanti si salvano.
È lui, infatti, «la nostra
santificazione e la nostra redenzione» (1 Cor
1,30); è lui il conforto di noi che siamo in
cammino; è lui l'eterna gioia dei santi.
Rammarichiamoci, dunque, altamente che tanta gente
si renda così poco conto di questo mistero di
salvezza, letizia del cielo e fondamento di tutto il
mondo.
Cecità e durezza del cuore umano, non curarsi
maggiormente di un dono così grande, o,
godendone tutti i giorni, finire persino col non
badarvi!
Se questo sacramento santissimo si celebrasse
soltanto in un certo luogo, e fosse consacrato da un
solo sacerdote in tutto il mondo, pensa da quale
desiderio sarebbero tutti presi di andare a quel
luogo, a quel sacerdote di Dio, appena udissero che
si celebrano i divini misteri. Ma, ecco, i sacerdoti
sono moltissimi, e Cristo viene immolato in molti
luoghi; e così, quanto più è
diffusa nel mondo la sacra comunione, tanto
più è manifesta la grazia e la
carità di Dio verso l'uomo.
Che tu sia ringraziato, o Gesù buono, pastore
eterno, che con il tuo corpo prezioso e con il tuo
sangue ti sei degnato di ristorare noi poveri ed
esuli, invitandoci a ricevere questi misteri con
queste parole, uscite dalla tua stessa bocca:
«Venite tutti a me, voi che siete affaticati
ed oppressi, ed io vi ristorerò» (Mt
11,28).
Capitolo II
Nel sacramento si manifestano all'uomo la grande
bontà e l'amore di Dio
1. O Signore, confidando nella tua bontà e
nella tua grande misericordia, mi appresso infermo
al Salvatore, affamato e assetato alla fonte della
vita, povero al re del cielo, servo al Signore,
creatura al Creatore, desolato al pietoso mio
consolatore.
Ma «per qual ragione mi è dato questo,
che tu venga a me?» (Lc 1,43). Chi sono io,
perché tu ti doni a me; come potrà
osare un peccatore di apparirti dinanzi; come ti
degnerai di venire ad un peccatore? Ché tu lo
conosci, il tuo servo; e sai bene che in lui non
c'è alcunché di buono, per cui tu gli
dia tutto ciò.
Confesso, dunque, la mia pochezza, riconosco la tua
bontà, glorifico la tua misericordia e ti
ringrazio per il tuo immenso amore. Infatti non
è per i miei meriti che fai questo, ma per il
tuo amore: perché mi si riveli maggiormente
la tua bontà, più grande mi si offra
il tuo amore e l'umiltà ne risulti più
perfettamente esaltata. Poiché, dunque,
questo ti è caro, e così tu comandasti
che si facesse, anche a me è cara questa tua
degnazione. E voglia il cielo che a questo non sia
di ostacolo la mia iniquità.
2. Gesù, pieno di dolcezza e di
benignità, quanta venerazione ti dobbiamo, e
gratitudine e lode incessante, per il fatto che
riceviamo il tuo santo corpo, la cui grandezza
nessuno può comprendere pienamente.
Ma quali saranno i miei pensieri in questa comunione
con te, in questo avvicinarmi al mio Signore; al mio
Signore che non riesco a venerare nella misura
dovuta e che tuttavia desidero accogliere
devotamente? Quale pensiero più opportuno e
più salutare di quello di abbassarmi
totalmente di fronte a te, esaltando, su di me, la
tua bontà infinita?
Ti glorifico, o mio Dio, e ti esalto in eterno;
disprezzo me stesso, sottoponendomi a te, dal
profondo della mia pochezza.
Ecco, tu sei il santo dei santi, ed io una sozzura
di peccati. Ecco, tu ti abbassi verso di me, che non
sono degno neppure di rivolgerti lo sguardo. Ecco,
tu vieni a me, vuoi stare con me, mi inviti al tuo
banchetto; tu mi vuoi dare il cibo celeste, mi vuoi
dare da mangiare il pane degli angeli: nient'altro,
veramente, che te stesso, «pane vivo, che sei
disceso dal cielo e dai la vita al mondo» (Gv
6,33.51).
Se consideriamo da dove parte questo amore, quale
degnazione ci appare; quanto profondi ringraziamenti
e quante lodi ti si debbono!
3. Quanto fu utile per la nostra salvezza il tuo
disegno, quando hai istituito questo sacramento;
come è soave e lieto questo banchetto, nel
quale hai dato in cibo te stesso! Come è
ammirabile questo che tu fai; come è efficace
la tua potenza e infallibile la tua verità!
Infatti, hai parlato «e le cose furono»
(Sal 148,5); e fu anche questo sacramento, che tu
hai comandato.
Mirabile cosa, degna della nostra fede; cosa che
oltrepassa l'umana comprensione che tu, o Signore
Dio mio, vero Dio e uomo, sia tutto sotto quella
piccola apparenza del pane e del vino; e che tu sia
mangiato senza essere consumato.
«Tu, o Signore di tutti», che, di
nessuno avendo bisogno, hai voluto, per mezzo del
sacramento, abitare fra noi (2 Mac 14,35), conserva
immacolato il mio cuore e il mio corpo,
affinché io possa celebrare sovente i tuoi
misteri, con lieta e pura coscienza; e possa
ricevere, a mia salvezza eterna, ciò che tu
hai stabilito e istituito massimamente a tua
glorificazione e a perenne memoria di te.
4. Rallegrati, anima mia, e rendi grazie a Dio per
un dono così sublime, per un conforto
così straordinario, lasciato a te in questa
valle di lacrime. In verità, ogni qualvolta
mediti questo mistero e ricevi il corpo di Cristo,
lavori alla tua redenzione e ti rendi partecipe di
tutti i meriti di Cristo. Mai non viene meno,
infatti, l'amore di Cristo; né si esaurisce
la grandezza della sua intercessione.
È dunque con animo sempre rinnovato che ti
devi disporre a questo sacramento; è con
attenta riflessione che devi meditare il mistero
della salvezza. E quando celebri la messa, o
l'ascolti, ciò deve apparirti un fatto
così grande, così straordinario e
così pieno di gioia, come se, in quello
stesso giorno, scendendo nel seno della Vergine,
Cristo si facesse uomo, patisse e morisse pendendo
dalla croce.
Capitolo III
Utilità della comunione frequente
1. Ecco, io vengo a te, o Signore, per trarre
beneficio dal tuo dono e ricevere allegrezza al
banchetto santo, «che, nella tua bontà,
o Dio, hai preparato al misero» (Sal 67,11).
Ecco, quanto io posso e debbo desiderare sta tutto
in te; tu sei la mia salvezza, la redenzione, la
speranza, la fortezza, la maestà e la gloria.
«Ricolma dunque oggi di letizia l'anima del
tuo servo, perché, o Signore Gesù, a
te ho innalzato l'anima mia» (Sal 85,4).
Ardentemente desidero ora riceverti con devozione e
venerazione; desidero introdurti nella mia casa, per
meritare, come Zaccheo, di essere da te benedetto e
di essere annoverato tra i figli d'Abramo. L'anima
mia e il mio corpo hanno fame di te; il mio cuore
arde di farsi una cosa sola con te. Dammi in dono te
stesso, e mi basta; poiché non c'è
consolazione che abbia valore, fuori di te.
Non posso stare senza di te; non riesco a vivere
senza la tua presenza. E così occorre che io
mi accosti frequentemente a te, ricevendoti come
mezzo della mia salvezza. Ché non mi accada
di venir meno per strada, se fossi privato di questo
cibo celeste. Tu stesso, o Gesù tanto
misericordioso, predicando alle folle e guarendo
varie malattie, dicesti una volta: «Non li
voglio mandare alle loro case digiuni, perché
non vengano meno per strada» (Mt 15,32). Fa',
dunque, la stessa cosa ora con me; tu, che, per dare
conforto ai fedeli, hai lasciato te stesso in
sacramento. Sei tu, infatti, il soave ristoro
dell'anima; e chi ti mangia degnamente sarà
partecipe ed erede della gloria eterna.
Poiché, dunque, io cado tanto spesso in
peccato, e intorpidisco e vengo meno tanto
facilmente, è veramente necessario che,
pregando, confessandomi frequentemente e prendendo
il santo cibo del tuo corpo, io mi rinnovi, mi
purifichi e mi infiammi; cosicché non avvenga
che, per una prolungata astinenza, io mi allontani
dal mio santo proposito.
In verità, «i sensi dell'uomo, fin
dall'adolescenza, sono proclivi al male» (Gn
8,21); tosto egli cade in mali peggiori, se non lo
soccorre la medicina celeste. Ed è appunto la
santa comunione che distoglie l'uomo dal male e lo
rafforza nel bene.
Che se ora sono così spesso svogliato e
tiepido nella comunione o nella celebrazione della
messa, che cosa sarebbe di me, se non prendessi
questo rimedio e non cercassi un così grande
aiuto? Anche se non mi sento sempre degno e
pienamente disposto a celebrare, farò in modo
di ricevere, in tempi opportuni, questi divini
misteri e di rendermi partecipe di una grazia
così grande. Giacché la principale,
anzi l'unica, consolazione dell'anima fedele -
finché va peregrinando, lontana da te, entro
il corpo mortale - consiste proprio in questo, nel
ricordarsi frequentemente del suo Dio e nel
ricevere, in spirito di devozione, il suo diletto.
2. Oh! meravigliosa degnazione della tua
misericordia verso di noi, che tu, Signore Dio,
creatore e vivificatore di tutti gli spiriti
celesti, ti abbassi a venire in questa anima
poveretta, saziando la sua fame con la tua
divinità e insieme con la tua umanità.
Felice quello spirito, beata quell'anima che merita
di ricevere devotamente te, Signore e Dio,
colmandosi in tal modo di gioia interiore. Quale
grande signore essa accoglie; quale amato ospite,
qual piacevole compagno riceve; quale fedele amico
accetta; quale nobile e bello sposo essa abbraccia,
degno di amore più di ogni persona cara e di
ogni cosa che si possa desiderare.
Tacciano dinanzi a te, o dolcissimo mio diletto, il
cielo e la terra, con tutte le loro bellezze;
giacché dalla degnazione della tua
munificenza cielo e terra ricevono quanto hanno di
grande e di nobile, pur non arrivando essi alla
grandezza del tuo nome, «immenso nella sua
sapienza» (Sal 146,5).
Capitolo IV
Molti sono i benefici concessi a coloro che si
comunicano devotamente
1. Signore Dio mio, «con la dolcezza delle tue
benedizioni» (Sal 20,4) vieni in soccorso a
me, tuo servo, affinché io possa accostarmi
degnamente e devotamente al tuo grande sacramento.
Muovi il mio cuore verso di te e scuotimi dal mio
grande torpore.
«Vieni a me con la tua forza salvatrice»
(Sal 105,4), cosicché io possa gustare in
ispirito la tua dolcezza, insita tutta in questo
sacramento, quasi sua fonte. Apri i miei occhi,
cosicché io possa intravvedere un così
grande mistero; dammi la forza di credere in esso,
con fede sicura. Tutto ciò è infatti
opera delle tue mani, non opera dell'uomo; tua sacra
istituzione, non invenzione umana.
Quindi non v'è alcuno che possa da sé
solo comprendere pienamente queste cose, che
superano anche l'intelligenza degli angeli.
Ed io, indegno peccatore, polvere e cenere, come
potrò mai sondare e comprendere un
così profondo e santo mistero?
O Signore, nella semplicità del mio cuore, in
pienezza e sicurezza di fede e in adesione al tuo
comando, mi accosto a te con sentimenti di speranza
e di devozione: credo veramente che tu sei presente
qui nel sacramento, Dio e uomo.
Tu vuoi che io ti accolga in me, in unione d'amore.
Perciò domando alla tua clemenza ed imploro
il dono di questa grazia speciale, di essere
totalmente immedesimato in te, in sovrabbondanza
d'amore, e di non più ricercare altra
consolazione. Giacché questo sacramento,
così alto e prezioso, è salvezza
dell'anima e del corpo e rimedio ad ogni
infermità dello spirito. Per mezzo di questo
sacramento vengono curati i miei vizi; le passioni
sono frenate; le tentazioni sono sconfitte o almeno
diminuite; viene aumentata la grazia, rafforzata la
virtù ricevuta, rinsaldata la fede,
rinvigorita la speranza e l'amore fatto più
ardente e più grande.
2. O mio Dio, «tu che innalzi l'anima
mia» (Sal 53,6), e ripari alla mia
fragilità con il dono di ogni consolazione
interiore, tu hai concesso e ancora spesso concedi
nel sacramento grandi benefici ai tuoi diletti che
devotamente si comunicano.
Tu infondi in essi grande conforto contro le varie
tribolazioni, innalzandoli dal fondo della loro
prostrazione alla speranza del tuo aiuto; tu li
ricrei interiormente e li fai risplendere con una
grazia rinnovata. Così, mentre prima della
comunione si sentivano angosciati e privi di amore,
poi, ristorati dal cibo e dalla bevanda celeste, si
trovano trasformati e migliori.
E questo tu fai generosamente con i tuoi eletti,
affinché essi conoscano in verità, ed
esperimentino chiaramente, quanto siano deboli per
se stessi e quale bontà e grazia ottengano da
te. Giacché, per se stessi, sono freddi, duri
e mancanti di devozione; invece, per tuo dono, sono
fatti degni di essere fervorosi, alacri e pieni di
devozione.
Chi mai, essendosi accostato umilmente alla fonte
stessa della soavità, non riporta anche solo
un poco di dolcezza; chi mai, stando accanto a un
grande fuoco, non ne risente un po' di calore? Ora,
tu sei la fonte sempre piena, straboccante; tu sei
il fuoco sempre vivo, che mai non si estingue.
Perciò, anche se non posso attingere alla
pienezza di questa fonte e bere a sazietà,
metterò ugualmente la bocca all'orlo della
celeste cannella, per prendere almeno una piccola
goccia, a temperare la mia sete, onde non inaridisca
del tutto.
Anche se non posso essere ancora nella pienezza
della beatitudine celeste, né posso essere
ardente come un cherubino o un serafino, mi
sforzerò tuttavia di perseverare nella
devozione e di predisporre l'anima mia ad
impadronirsi di una, sia pur piccola, fiamma del
divino incendio, nutrendosi umilmente al sacramento
della salvezza. A quello che mi manca, supplisci tu,
con benignità e misericordia, o buon
Gesù, salvatore santissimo; tu che ti sei
degnato di chiamare graziosamente tutti a te,
dicendo: «Venite a me voi tutti che siete
affaticati ed oppressi, ed io vi
ristorerò» (Mt 11,28).
In verità io mi affatico, e suda il mio
volto; il mio cuore è tormentato da
sofferenze interiori; sono oppresso dai peccati,
legato e schiacciato da molte passioni perverse.
«E non c'è nessuno che possa
aiutarmi» (Sal 21,12), non c'è nessuno
«che possa liberarmi e soccorrermi» (Sal
7,3), all'infuori di te, «Dio mio
salvatore» (Sal 24,5), al quale affido me
stesso e ogni mia cosa, perché tu mi
custodisca e mi conduca alla vita eterna. Accettami
a lode e gloria del tuo nome; tu che hai apprestato
il tuo corpo e il tuo sangue quale cibo e bevanda.
O «Signore Dio, mia salvezza» (Sal
26,9), fa' che nella dimestichezza del tuo mistero
s'accresca lo slancio della mia devozione.
Capitolo V
Grandezza del sacramento e condizione del sacerdote
1. Anche se tu avessi la purezza degli angeli e la
santità di San Giovanni Battista, non saresti
degno di ricevere, o anche solo di toccare, questo
sacramento. Non dipende infatti dai meriti degli
uomini che si consacri e si tocchi il sacramento di
Cristo, e ci si nutra del pane degli angeli.
Grande è il mistero e grande la
dignità dei sacerdoti, ai quali è dato
quello che non è concesso agli angeli;
giacché soltanto i sacerdoti, ordinati
regolarmente nella Chiesa, hanno il potere di
celebrare e di consacrare il corpo di Cristo. Il
sacerdote, invero, è servo di Dio: si vale
della parola di Dio, per comando e istituzione di
Dio. Nel sacramento, autore primo, invisibilmente
operante, è Dio, al quale è sottoposta
ogni cosa, secondo il suo volere, in obbedienza al
suo comando.
In questo sublime sacramento, devi dunque credere
più a Dio onnipotente che ai tuoi sensi o ad
alcun segno visibile; a questa realtà,
istituita da Dio, ti devi accostare con reverenza e
con timore.
«Rifletti su te stesso» e considera di
chi sei stato fatto ministro, con l'imposizione
delle mani da parte del vescovo (1 Tm 4,16.14).
Ecco, sei stato fatto sacerdote e consacrato per
celebrare. Vedi, dunque, di offrire il sacrificio a
Dio con fede, con devozione, e al tempo conveniente;
vedi di offrire te stesso, irreprensibile. Non si
è fatto più leggero il tuo carico;
anzi sei ormai legato da un più stretto
vincolo di disciplina e sei tenuto a una maggiore
perfezione di santità.
2. Il sacerdote deve essere ornato di ogni
virtù e offrire agli altri l'esempio di una
vita santa; abituale suo rapporto non sia con la
gente volgare, ma con gli angeli in cielo o con la
gente santa in terra.
Il sacerdote, rivestito delle sacre vesti, fa le
veci di Cristo, supplichevolmente e umilmente
pregando Iddio per sé e per tutto il popolo.
Egli porta, davanti e dietro, il segno della croce
del Signore, perché abbia costante ricordo
della passione di Cristo; davanti, sulla casula,
porta la croce, perché guardi attentamente a
quelle che sono le orme di Cristo, e abbia cura di
seguirle abitualmente; dietro è pure segnato
dalla croce, perché sappia sopportare con
dolcezza per Dio ogni contrarietà che gli
venga da altri. Porta davanti la croce,
perché pianga i propri peccati; e la porta
anche dietro, perché pianga
compassionevolmente anche i peccati commessi dagli
altri, e sappia di essere stato posto tra Dio e il
peccatore, non lasciandosi illanguidire nella
preghiera e nell'offerta santa, fin che non sia
fatto degno di ottenere grazia e misericordia.
Con la celebrazione, il sacerdote rende onore a Dio,
fa lieti gli angeli, dà motivo di
edificazione ai fedeli, aiuta i vivi, appresta pace
ai defunti e si rende partecipe di tutti i beni.
Capitolo VI
Invocazione per prepararsi alla comunione
Quando considero, o Signore, la tua grandezza e la
mia miseria, mi metto a tremare forte e mi confondo.
Ché, se non mi accosto al sacramento, fuggo
la vita; e se lo faccio indegnamente, commetto
peccato.
Che farò, o Dio, «mio aiuto» (Is
50,7) e mia guida nella mia miseria? Insegnami tu la
strada sicura; mettimi dinanzi una opportuna, breve
istruzione per la santa comunione; giacché
è buona cosa conoscere con quale devozione e
reverenza io debba preparare il mio cuore a ricevere
con profitto il tuo sacramento e a celebrare un
così grande, divino sacrificio.
Capitolo VII
L'esame di coscienza e il proposito di correggersi
1. Sopra ogni cosa è necessario che il
sacerdote di Dio si appresti a celebrare e trattare
questo sacramento con somma umiltà di cuore e
supplice reverenza, con piena fede e devota
intenzione di dare gloria a Dio.
Esamina attentamente la tua coscienza; rendila, per
quanto ti è possibile, nuda e luminosa per
mezzo del sincero pentimento e dell'umile
confessione dei tuoi peccati, cosicché nulla
di grave tu abbia, o sappia di avere, che ti sia di
rimprovero e ti impedisca di accedere liberamente al
sacramento.
Abbi dispiacere per tutti i tuoi peccati in
generale; e maggiormente, in particolare, abbi
dolore e pianto per le tue colpe di ogni giorno. Se
poi ne hai il tempo, confessa a Dio, nel segreto del
tuo cuore, tutte le miserie delle tue passioni.
Piangi e ti rincresca di essere ancora così
legato alla carne e al mondo; così poco
mortificato di fronte alle passioni e così
pieno di impulsi di concupiscenza; così poco
vigilante su ciò che percepiscono di fuori i
sensi, così spesso perduto dietro a vane
fantasie; così fortemente inclinato verso le
cose esteriori e così poco attento a
ciò che è dentro di noi; così
facile al riso e alla dissipazione e così
restio al pianto e alla compunzione; così
pronto alla rilassatezza e alle comodità
materiali, così pigro, invece, al rigore e al
fervore; così avido di udire o vedere cose
nuove e belle, e così lento ad abbracciare
ciò che è basso e spregevole;
così smanioso di molto possedere; così
taccagno nel dare e così fermo nel tenere per
te; così sconsiderato nel parlare e
così incapace di tacere; così
disordinato nella condotta e così avventato
nell'agire; così profuso nel cibo;
così sordo alla parola di Dio; così
sollecito al riposo e così tardo al lavoro;
così attento alle chiacchiere, così
pieno di sonno nelle sacre veglie, compiute
distrattamente affrettandone col desiderio la fine;
così negligente nell'adempiere alle Ore,
così tiepido nella celebrazione della messa,
così arido nella comunione; così
facilmente distratto, così di rado pienamente
raccolto in te stesso; così subitamente mosso
all'ira; così facile a far dispiacere agli
altri; così proclive a giudicare, così
severo nell'accusare; così gioioso quando le
cose ti vanno bene e così poco forte nelle
avversità; così facile nel proporti di
fare molte cose buone, ma capace, invece, di
realizzarne ben poche.
2. Confessati e deplorati, con dolore e con grande
amarezza per la tua fragilità, questi e gli
altri tuoi difetti, fa' il fermo proponimento di
correggere per sempre la tua vita e di progredire
maggiormente. Dopo di che, rimettendo a me
completamente ogni tua volontà, offri te
stesso sull'altare del tuo cuore, a gloria del mio
nome, sacrificio perpetuo, affidando a me con fede
il tuo corpo e la tua anima; cosicché tu
ottenga di accostarti degnamente ad offrire a Dio la
messa e a mangiare il sacramento del mio corpo, per
la tua salvezza.
Non v'è dono più appropriato; non
v'è altro modo per riscattare e cancellare
pienamente i peccati, all'infuori della totale e
perfetta offerta di se stessi a Dio, nella messa e
nella comunione, insieme con l'offerta del corpo di
Cristo. Se uno farà tutto quanto gli è
possibile e si pentirà veramente, ogni volta
che verrà a me per ottenere il perdono e la
grazia, «Io vivo, dice il Signore, e non
voglio la morte del peccatore, ma che si converta e
viva» (Ez 33,11), «giacché
più non mi ricorderò dei suoi
peccati» (Eb 10,17), ma tutti gli saranno
rimessi.
Capitolo VIII
L'offerta di Cristo sulla croce e la donazione di
noi stessi
Con le braccia stese sulla croce, tutto nudo il
corpo, io offersi liberamente me stesso a Dio Padre,
per i tuoi peccati, cosicché nulla fosse in
me che non si trasformasse interamente in
sacrificio, per placare Iddio. Allo stesso modo
anche tu devi offrire a me volontariamente te
stesso, con tutte le tue forze e con tutto il tuo
slancio, dal più profondo del cuore, in
oblazione pura e santa.
Che cosa posso io desiderare da te più di
questo, che tu cerchi di offrirti a me dall'intimo
del cuore? Qualunque cosa tu mi dia, fuor che te
stesso, l'ho per un nulla, perché io non
cerco il tuo dono, ma te. Come non ti basterebbe
avere tutto, all'infuori di me, così neppure
a me potrebbe piacere qualunque cosa tu mi dessi,
senza l'offerta di te.
Offriti a me; da' te stesso totalmente a Dio:
così l'oblazione sarà gradita. Ecco,
io mi offersi tutto al Padre, per te; diedi persino
tutto il mio corpo e il mio sangue in cibo,
perché io potessi essere tutto tuo e
perché tu fossi sempre con me. Se tu, invece,
resterai chiuso in te, senza offrire volontariamente
te stesso alla mia volontà, l'offerta non
sarebbe piena e la nostra unione non sarebbe
perfetta.
Perciò, se vuoi giungere alla vera
libertà e avere la mia grazia, ogni tuo atto
deve essere preceduto dalla piena offerta di te
stesso nelle mani di Dio. Proprio per questo sono
così pochi coloro che raggiungono la luce e
l'interiore libertà, perché non sanno
rinnegare totalmente se stessi.
Immutabili sono le mie parole: Se uno non
avrà rinunciato a «tutto, non
potrà essere mio discepolo» (Lc 14,33).
Tu, dunque, se vuoi essere mio discepolo, offriti a
me con tutto il cuore.
Capitolo IX
Offrire noi stessi a Dio, con tutto quello che
è in noi, pregando per tutti
1. Tue sono tutte le cose, o Signore, quelle del
cielo e quelle della terra: a te voglio,
liberamente, offrire me stesso e restare tuo per
sempre.
O Signore, con cuore sincero, oggi io mi dono a te
in perpetuo servizio, in obbedienza e in sacrificio
di lode perenne. Accettami, insieme con questa
offerta santa del tuo corpo prezioso, che io - alla
presenza e con l'assistenza invisibile degli angeli
- ora ti faccio, per la mia salvezza e per la
salvezza di tutto il tuo popolo.
O Signore, sull'altare della tua espiazione offro a
te tutti i miei peccati e le colpe da me commesse al
cospetto tuo e dei tuoi santi angeli, dal giorno in
cui fui capace di peccare fino ad oggi;
affinché tutto tu accenda e consumi nel fuoco
del tuo amore, cancellando ogni macchia dei miei
peccati; affinché tu purifichi la mia
coscienza da ogni colpa; affinché tu mi ridia
la tua grazia, che ho perduto col peccato, tutto
perdonando e misericordiosamente accogliendomi nel
bacio della pace.
Che posso io fare per i miei peccati, se non
confessarli umilmente nel pianto e pregare senza
posa per avere il tuo perdono? Ti scongiuro, dammi
benevolo ascolto, mentre mi pongo dinanzi a te, o
mio Dio. Grande disgusto io provo per tutti i miei
peccati; non voglio più commetterne, anzi di
essi mi dolgo e mi dorrò per tutta la vita,
pronto a fare penitenza e, per quanto io possa, a
pagare per essi.
Rimetti, o Signore, rimetti i miei peccati, per il
tuo santo nome: salva l'anima mia, che tu hai
redenta con il tuo sangue prezioso. Ecco, io mi
affido alla tua misericordia; mi metto nelle tue
mani. Opera tu con me secondo la tua bontà,
non secondo la mia perfidia e la mia
iniquità.
2. Anche tutto quello che ho di buono, per quanto
sia molto poco e imperfetto, lo offro a te,
affinché tu lo perfezioni e lo santifichi;
affinché ti sia gradito e tu voglia
accettarlo, accrescendone il valore; affinché
tu voglia portarmi - inoperoso e inutile piccolo
uomo, qual sono - a un termine beato e glorioso.
Offro parimenti a te tutti i buoni desideri delle
persone devote e le necessità dei parenti e
degli amici, dei fratelli e delle sorelle, di tutti
i miei più cari e di coloro che, per amor
tuo, fecero del bene a me o ad altri; infine di
tutte le persone - quelle ancora in vita e quelle
che già hanno lasciato questo mondo - che da
me desiderarono e chiesero preghiere e sante messe,
per loro e per tutti i loro cari. Che tutti sentano
venire sopra di sé l'aiuto della tua grazia,
l'abbondanza della consolazione, la protezione dai
pericoli, la liberazione dalle pene; che tutti,
liberati da ogni male, ti rendano in letizia grazie
solenni.
Ancora, e in modo speciale, ti offro preghiere e
sacrifici di espiazione per quelli che mi hanno
fatto qualche torto, mi hanno cagionato dolore, mi
hanno calunniato o recato danno, mi hanno messo in
difficoltà; e anche per tutti quelli ai quali
io ho dato talora motivo di tristezza e di
turbamento, di dolore o di scandalo, con parole o
con fatti, consciamente oppur no, affinché tu
perdoni parimenti a tutti noi i nostri peccati e le
ingiurie e le offese.
O Signore, strappa dai nostri cuori ogni sospetto,
ogni sdegno, ogni collera, ogni contesa e tutto
ciò che possa ferire la carità e
affievolire l'amore fraterno. Abbi compassione, o
Signore, di noi che imploriamo la tua misericordia;
concedi la tua grazia a noi che ne abbiamo bisogno;
fa' che noi siamo fatti degni di godere della tua
grazia e che possiamo avanzare verso la vita eterna.
Capitolo X
La santa comunione non va tralasciata con leggerezza
1. A questa sorgente della grazia e della
misericordia divina, a questa sorgente della
bontà e di ogni purezza devi ricorrere
frequentemente, fino a che tu non riesca a guarire
dalle tue passioni e dai tuoi vizi; fino a che tu
non ottenga di essere più forte e più
vigilante contro tutte le tentazioni e gli inganni
del diavolo. Questi, il nemico, ben sapendo quale
sia il beneficio e il rimedio grande insito nella
santa comunione, tenta in ogni modo e in ogni
momento di ostacolare, per quanto può, le
anime fedeli e devote, distogliendole da essa.
Taluni, infatti, quando vogliono prepararsi alla
santa comunione, subiscono i più forti
assalti del demonio. Lo spirito del male - come
è detto nel libro di Giobbe (1,6; 2,1) -
viene in mezzo ai figli di Dio, per turbarli, con la
consueta sua perfidia, e per renderli troppo
timorosi e perplessi, finché non abbia
affievolito il loro slancio o abbia loro strappato,
di forza, la fede: nella speranza che essi lascino
del tutto la comunione o vi si accostino con poco
fervore.
Ma non ci si deve curare per nulla delle sue astuzie
e delle sue suggestioni, per quanto turpi e
terrorizzanti. Su di lui bisogna ritorcere le
immaginazioni che da lui provengono. Va disprezzato
e deriso, quel miserabile. Per quanti assalti egli
compia e per quante agitazioni egli susciti, la
santa comunione non deve essere tralasciata.
Talora avviene che siano di ostacolo alla comunione
persino una eccessiva preoccupazione di essere
sufficientemente devoti e una certa angustia
dubbiosa sul confessarsi. Ma tu agisci secondo il
consiglio dei saggi, tralasciando ansie e scrupoli,
che costituiscono impedimento alla grazia divina e
distruggono lo spirito di devozione. Non lasciare la
santa comunione, per ogni piccola difficoltà
o stanchezza. Ma va' subito a confessarti e perdona
di cuore agli altri ogni offesa ricevuta; che se tu
hai offeso qualcuno e chiedi umilmente scusa, il
Signore prontamente avrà misericordia di te.
2. Che giova ritardare tanto la confessione o
rimandare la santa comunione? Purificati al
più presto; sputa subito il veleno; corri a
prendere il rimedio: ti sentirai meglio che se tu
avessi differito tutto ciò. Se oggi, per una
piccola cosa, rinunci, domani forse accadrà
qualcosa di più grave: così ti
potrebbe essere impossibile, per lungo tempo, la
comunione, e potresti diventare ancora più
indegno.
Scuotiti al più presto dalla stanchezza e
dall'inerzia, in cui oggi ti trovi: non serve a
nulla restare a lungo nell'ansietà e tirare
avanti nel turbamento, separandoti, in tal modo, per
questi quotidiani ostacoli, dalle cose divine. Anzi
è molto dannoso rimandare tanto la comunione,
perché ciò suole anche ingenerare
grave torpore.
Avviene persino - cosa ben dolorosa - che taluni,
nella loro tiepidezza e leggerezza, accettino di
buon grado questi ritardi della confessione, e
desiderino di ritardare così la santa
comunione, proprio per non essere obbligati a una
più severa custodia di sé. Oh! come
è scarso l'amore, come è fiacca la
devozione di coloro che rimandano tanto facilmente
la comunione. E come è felice e caro a Dio
colui che vive in modo da custodire la sua coscienza
in una tale limpidezza da esser pronto e pieno di
desiderio di comunicarsi anche ogni giorno, se gli
fosse consentito e se potesse farlo senza esser
criticato.
Se uno qualche volta si astiene dalla comunione per
umiltà, o per un giusto impedimento, gli va
data lode, a causa del suo rispettoso timore. Se
invece fa questo per una sorta di torpore, che si
è insinuato in lui, deve scuotersi e agire,
quanto gli è possibile: il Signore
aderirà al suo desiderio, grazie alla buona
volontà, alla quale Dio guarda in modo
speciale.
3. Se, invece, uno è trattenuto da ragioni
valide, ma avrà la buona volontà e la
devota intenzione di comunicarsi, costui non
mancherà dei frutti del sacramento.
Giacché ognuno che abbia spirito di devozione
può, in ogni giorno e in ogni ora, darsi
salutarmente, senza che alcuno glielo impedisca,
alla comunione spirituale con Cristo; pur dovendo,
in certi giorni e nel tempo stabilito, con reverente
affetto, prendere sacramentalmente in cibo il corpo
del suo Redentore, mirando più a dare lode e
onore a Dio che ad avere consolazione per sé.
Infatti questo invisibile ristoro dell'anima, che
è la comunione spirituale, si ha ogni volta
che uno medita con devozione il mistero
dell'incarnazione e della passione di Cristo,
accendendosi di amore per lui.
Chi si prepara soltanto perché è
imminente il giorno festivo, o perché la
consuetudine lo sospinge, è per lo più
tutt'altro che pronto.
Beato colui che si offre a Dio in sacrificio ogni
qualvolta celebra la messa o si comunica.
4. Nel celebrare, non essere né troppo
prolisso né troppo frettoloso; ma osserva il
ragionevole uso, comune a coloro con i quali ti
trovi a vivere. Non devi, infatti, ingenerare in
altri fastidio e noia; devi mantenere invece la via
consueta, secondo la volontà dei superiori, e
badare più all'utile degli altri che alla tua
devozione e al tuo sentimento.
Capitolo XI
Il corpo di Cristo e la sacra Scrittura,
massimamente necessari all'anima devota
1. O soave Signore Gesù, quanto è
dolce all'anima devota sedere alla tua mensa, al tuo
convito, nel quale le viene presentato come cibo
nient'altro all'infuori di te, unico suo amato,
desiderabile più di ogni desiderio del suo
cuore.
Anche per me sarebbe cosa soave sciogliermi in
pianto, con profonda commozione, dinanzi a te, e,
con la Maddalena amorosa, bagnare di lacrime i tuoi
piedi. Ma dove è un tale slancio di
devozione; dove è una tale profusione di
lacrime sante? Eppure, alla tua presenza e alla
presenza dei tuoi angeli, dovrei ardere tutto
nell'intimo e piangere di gioia; giacché nel
sacramento ti possiedo veramente presente, per
quanto nascosto sotto altra apparenza.
Infatti i miei occhi non ti potrebbero sostenere,
nella tua luce divina; anzi neppure il mondo intero
potrebbe sussistere, dinanzi al fulgore della tua
maestà. Tu vieni incontro, dunque, alla mia
debolezza, nascondendoti sotto il sacramento.
Possiedo veramente ed adoro colui che gli angeli
adorano in cielo. Io lo adoro per ora nella fede;
gli angeli, invece, faccia a faccia, senza alcun
velo. Io devo starmene nel lume della vera fede, e
camminare in essa, finché appaia il giorno
dell'eterna luce e venga meno il velo delle figure
simboliche (cfr. Ct 2,17; 4,6). «Quando poi
verrà il compimento di tutte le cose»
(1 Cor 13,10), cesserà l'uso dei segni
sacramentali. Nella gloria del cielo, i beati non
hanno bisogno infatti del rimedio dei sacramenti: il
loro gaudio non ha termine, essendo essi alla
presenza di Dio, vedendo essi, faccia a faccia, la
sua gloria. Passano di luce in luce fino agli abissi
della divinità, e gustano appieno il verbo di
Dio fatto carne, quale fu all'inizio e quale rimane
in eterno.
Conscio di queste cose meravigliose, trovo molesta
persino ogni consolazione spirituale: infatti tutto
ciò che vedo e odo quaggiù lo
considero un niente, fino a che non veda
manifestamente il mio Signore, nella sua gloria. Tu
mi sei testimone, o Dio, che non c'è cosa che
mi possa dare conforto, non c'è creatura che
mi possa dare contentezza, all'infuori di te, che
bramo contemplare in eterno. Ma ciò non
è possibile mentre sono in questa vita
mortale; e perciò occorre che mi rassegni a
una grande pazienza e mi sottometta a te in tutti i
miei desideri.
Anche i tuoi santi, o Signore, che ora esultano in
te nel regno dei cieli, aspettarono l'avvento della
tua gloria, mentre erano in questa vita, con fede e
con pazienza grande. Ciò che essi credettero,
credo anch'io; ciò che essi sperarono, spero
anch'io; dove essi giunsero, confido, per la tua
grazia, di giungere anch'io. Frattanto,
camminerò nella fede, irrobustito dagli
esempi dei santi. Terrò poi, «come
conforto» (1 Mac 12,9) e specchio di vita, i
libri santi; soprattutto terrò, come unico
rimedio e refrigerio, il tuo corpo santissimo.
2. In verità, due cose sento come
massimamente necessarie per me, quaggiù;
senza di esse questa vita di miserie mi sarebbe
insopportabile. Trattenuto nel carcere di questo
corpo, di due cose riconosco di avere bisogno,
cioè di alimento e di luce. E a me, che sono
tanto debole, tu hai dato appunto come cibo il tuo
santo corpo, e come lume hai posto dinanzi ai miei
piedi «la tua parola» (Sal 118,105).
Poiché la parola di Dio è luce
all'anima e il tuo sacramento è pane di vita,
non potrei vivere santamente se mi mancassero queste
due cose. Le quali potrebbero essere intese come le
«due mense» (Ez 40,40), poste da una
parte e dall'altra nel prezioso tempio della santa
Chiesa; una, la mensa del sacro altare, con il pane
santo, il prezioso corpo di Cristo; l'altra, la
mensa della legge di Dio, compendio della santa
dottrina, maestra di vera fede, e sicura guida, al
di là del velo del tempio, al sancta
sanctorum (Eb 6,19s; 9,3).
3. Ti siano, dunque, rese grazie, o buon
Gesù, che brilli di eterna luce, per questa
mensa della santa dottrina, che ci hai preparato per
mezzo dei tuoi servi, i profeti, gli apostoli e gli
altri dottori. Ti siano rese grazie, Creatore e
Redentore degli uomini, che, per dimostrare al mondo
intero il tuo amore, hai preparato la grande cena,
in cui disponesti come cibo, non già il
simbolico agnello, ma il tuo corpo santissimo e il
tuo sangue, inebriando tutti i tuoi fedeli al calice
della salvezza e colmandoli di letizia al tuo
convito: il convito che compendia tutte le delizie
del paradiso e nel quale banchettano con noi, e con
più dolce soavità, gli angeli santi.
Quale grandezza, quale onore, nell'ufficio dei
sacerdoti, ai quali è dato di consacrare, con
le sacre parole, il Signore altissimo; di benedirlo
con le proprie labbra; di tenerlo con le proprie
mani; di nutrirsene con la propria bocca e di
distribuirlo agli altri.
Quanto devono essere pure quelle mani; quanto deve
essere pura la bocca, e santo il corpo e immacolato
il cuore del sacerdote, nel quale entra tante volte
l'autore della purezza. Non una parola, che non sia
santa, degna e buona, deve venire dalle labbra del
sacerdote, che riceve così spesso il
sacramento; semplici e pudichi devono essere gli
occhi di lui, che abitualmente sono fissi alla
visione del corpo di Cristo; pure ed elevate al
cielo devono essere le mani di lui, che sovente
toccano il Creatore del cielo e della terra.
È proprio per i sacerdoti che è detto
nella legge: «Siate santi, perché io,
il Signore Dio vostro, sono santo» (Lv 19,2).
Onnipotente Iddio, venga in nostro soccorso la tua
grazia, affinché noi, che abbiamo assunto
l'ufficio sacerdotale, sappiamo stare intimamente
vicini a te, in modo degno, con devozione, in grande
purezza di cuore e con coscienza irreprensibile. Che
se non possiamo mantenerci in così piena
innocenza di vita, come dovremmo, almeno concedi a
noi di piangere sinceramente il male che abbiamo
compiuto; concedi a noi di servirti, per l'avvenire,
più fervorosamente, in spirito di
umiltà e con proposito di buona
volontà.
Capitolo XII
Colui che si appresta a comunicarsi con Cristo vi si
deve preparare con scrupolosa diligenza
1. Io sono colui che ama la purezza; io sono colui
che dona ogni santità. Io cerco un cuore
puro: là è il luogo del mio riposo.
Allestisci e «apparecchia per me un'ampia sala
ove cenare (Mc 14,15; Lc 22,12), e farò la
Pasqua presso di te con i miei discepoli».
Se vuoi che venga a te e rimanga presso di te,
espelli «il vecchio fermento» (1 Cor
5,7) e purifica la dimora del tuo cuore. Caccia
fuori tutto il mondo e tutto il disordine delle
passioni; sta' «come il passero solitario sul
tetto» (Sal 101,8) e ripensa, con amarezza di
cuore, ai tuoi peccati. Invero, colui che ama
prepara al suo caro, da cui è amato, il luogo
migliore e più bello: di qui si conosce
l'amorosa disposizione di chi riceve il suo diletto.
Sappi tuttavia che, per questa preparazione - anche
se essa durasse un intero anno e tu non avessi altro
in mente - non potresti mai fare abbastanza con le
tue sole forze. È soltanto per mia
benevolenza e per mia grazia che ti viene concesso
di accostarti alla mia mensa: come se un poveretto
fosse chiamato al banchetto di un ricco e non avesse
altro modo per ripagare quel beneficio che farsi
piccolo e rendere grazie.
Fa' dunque tutto quello che sta in te; fallo con
tutta attenzione, non per abitudine, non per
costrizione. Il corpo del tuo diletto Signore Dio,
che si degna di venire a te, accoglilo con timore,
con venerazione, con amore. Sono io ad averti
chiamato; sono io ad aver comandato che così
fosse fatto; sarò io a supplire a quel che ti
manca. Vieni ed accoglimi.
Se ti concedo la grazia della devozione, che tu ne
sia grato al tuo Dio; te la concedo, non già
per il fatto che tu ne sia degno, ma perché
ho avuto misericordia di te. Se non hai questa
devozione, e ti senti piuttosto arido, insisti nella
preghiera, piangi e bussa, senza smettere
finché non avrai meritato di ricevere almeno
una briciola o una goccia della grazia di salvezza.
Sei tu che hai bisogno di me, non io di te. Sono io
che vengo a santificare te e a farti migliore, non
sei tu che vieni a dare santità a me. Tu
vieni per ricevere da me la santità,
nell'unione con me; per ricevere nuova grazia, nel
rinnovato, ardente desiderio di purificazione.
«Non disprezzare questa grazia» (1 Tm
4,14); prepara invece il tuo cuore con ogni cura e
fa' entrare in te il tuo diletto.
2. Ancora, occorre, non solo che tu ti disponga a
pietà, avanti la comunione, ma anche che tu
ti conservi in essa, con ogni cura, dopo aver
ricevuto il sacramento. La vigilanza di poi non deve
essere inferiore alla devota preparazione di prima;
ché tale attenta vigilanza è a sua
volta la migliore preparazione per ottenere una
grazia più grande. Taluno diventa assai mal
disposto, proprio per essersi subito abbandonato a
consolazioni esteriori.
Guardati dal molto parlare; tieniti appartato, a
godere del tuo Dio. È lui che tu possiedi;
neppure il mondo intero te lo potrà togliere.
Io sono colui al quale devi darti interamente,
così che tu non viva più in te, ma in
me, fuori da ogni affanno.
Capitolo XIII
Nel sacramento l'anima devota tenda con tutta se
stessa all'unione con Cristo
1. «Chi mi darà, o Signore, di trovare
te solo», di aprirti tutto il mio cuore e di
godere di te, secondo il desiderio dell'anima mia?
«Allora nessuno potrebbe offendermi» (Ct
8,1); ma sarai tu solo a parlarmi, ed io a te, come
colui che ama suole parlare con la persona amata e
come l'amico suole stare a mensa con l'amico.
Questo io chiedo, questo io desidero: unirmi tutto a
te, distogliere il mio cuore da tutto ciò che
è creato e apprendere a gustare sempre
più le cose celesti ed eterne, grazie alla
santa comunione e alla frequente celebrazione della
messa.
Ah, Signore Dio, quando sarò interamente
unito e assunto in te, dimenticando del tutto me
stesso? Tu in me ed io in te. Fa' che possiamo
rimanere uniti così.
Veramente tu sei «il mio diletto scelto tra
mille» (Ct 5,10), con il quale piacque
all'anima mia di restare per tutti i giorni della
vita. Veramente tu sei colui che mi dà la
pace; colui nel quale consiste la pace suprema, il
riposo vero, e fuori del quale tutto è fatica
e dolore e miseria senza fine. «Veramente tu
sei il Dio nascosto» (Is 45,15); la tua
conversazione non è con i malvagi; la tua
parola si rivolge agli umili e ai semplici.
«Oh, quanto è soave, o Signore, il tuo
Spirito» (Sap 12,1): tu vuoi mostrare la tua
benevolenza ai tuoi figli e ti degni di ristorarli
«con il pane sommamente soave che scende dal
cielo» (Sap 16,20s).
2. Davvero «non c'è altro popolo
così grande, a cui i propri dei si siano
fatti così vicini, come sei vicino tu, o Dio
nostro» (Dt 4,7), a tutti i tuoi fedeli. A
questi, infatti, tu doni te stesso in salutare
nutrimento, quale quotidiano conforto e quale mezzo
per volgere il cuore verso il cielo. C'è
un'altra gente così gloriosa, come il popolo
cristiano? C'è, sotto il nostro cielo, una
creatura da te così amata come l'anima
devota, nella quale entra Dio stesso, per nutrirla
del suo corpo di gloria?
Oh! grazia ineffabile, degnazione meravigliosa, oh!
amore incommensurabile, privilegio concesso agli
uomini. Ma che cosa darò io al Signore in
cambio di tale grazia, di un amore così
straordinario? Nulla io posso offrire, che sia
più gradito del dono totale del mio cuore al
mio Dio e dell'intima unione con lui. Allora
esulterò nel profondo, quando l'anima mia
sarà perfettamente unita a Dio. Allora Dio
stesso mi dirà: «Se tu vuoi essere con
me, io voglio essere con te». Ed io a lui
risponderò: «Degnati, o Signore, di
restare con me; mi piace, e lo voglio, essere con
te».
Capitolo XIV
L'ardente brama del corpo di Cristo in alcuni devoti
1. «Quanto è grande, o Signore, la
ricchezza della tua bontà, riservata a coloro
che ti temono» (Sal 30,20).
O Signore, quando penso a certe anime devote, che si
accostano al tuo sacramento con grandissima
devozione ed amore, spesso mi sento in colpa ed
arrossisco. Al tuo altare e alla mensa della santa
comunione io vengo infatti con tanta tiepidezza e
freddezza, restando così arido e senza
slancio del cuore, non totalmente infiammato dinanzi
a te, o mio Dio, e non così fortemente
attratto d'amore verso di te, come lo furono molte
anime devote. Nel loro grande desiderio della
comunione e nel palpitante loro amore, queste anime
devote non potevano trattenersi dal pianto; con la
bocca del cuore, e insieme con quella del corpo,
anelavano dal profondo a te, fonte viva, non potendo
calmare o saziare la propria sete in altro modo che
ricevendo il tuo corpo, con piena letizia e con
spirituale avidità.
Veramente ardente, la loro fede; tale da costituire
essa stessa motivo di prova della tua presenza.
Questi devoti riconoscono davvero il loro Signore
nello spezzare del pane, e il loro cuore arde tutto
per quel Gesù, che sta camminando con loro
(Lc 24,30s).
Da me sono spesso ben lontani un tale slancio
devoto, un ardore così veemente.
2. Usami misericordia, o buon Gesù, dolce e
benigno. Al poveretto tuo, che va implorando,
concedi di sentire, almeno qualche volta, nella
santa comunione, un poco dell'impeto amoroso del tuo
cuore; così si irrobustirà la mia
fede, si dilaterà la speranza nella tua
bontà, e in me non verrà mai meno un
amore che già arde pienamente e che ha potuto
gustare la manna del cielo.
Ben può la tua misericordia concedermi almeno
la grazia del desiderio e venire a me donandomi
ardore di spirito, quando giunga il giorno da te
stabilito. In verità, benché io non
sia acceso da una brama così grande come
quella delle persone particolarmente a te devote,
tuttavia sento, per grazia tua, di desiderare quel
desiderio, grande e ardente; prego e sospiro di
essere unito a tutti coloro che ti amano con fervore
e di essere considerato della loro santa schiera.
Capitolo XV
Umiltà e rinnegamento di sé, mezzi per
ottenere la grazia della devozione
1. La grazia della devozione devi cercarla senza
posa, chiederla con gran desiderio, aspettarla con
fiduciosa pazienza; devi riceverla con gratitudine e
umilmente conservarla; con essa devi diligentemente
operare, devi poi rimetterti a Dio per il tempo e il
modo di questa visita dall'alto.
Quando dentro di te non senti alcuna devozione, o ne
senti ben poca, ti devi fare particolarmente umile,
ma senza abbatterti troppo, senza rattristarti oltre
misura. Quello che per lungo tempo non aveva
concesso, spesso Dio lo concede in un breve istante;
quello che al principio della preghiera non aveva
voluto dare, talvolta Dio lo dà alla fine.
Se questa grazia venisse data sempre prontamente e
si presentasse ogni volta che la si desidera,
l'uomo, nella sua fragilità, non la saprebbe
portare. Perciò la grazia della devozione la
si deve attendere con totale fiducia e con umile
pazienza. Quando non ti viene data, oppure ti viene
tolta senza che tu ne veda la ragione, danne la
colpa a te stesso e ai tuoi peccati.
Talvolta è una piccola cosa che fa ostacolo
alla grazia e la nasconde: se pur piccola, e non
grande cosa, possa chiamarsi ciò che
impedisce un bene così eccelso. E se questa
piccola o, meglio, grande cosa riuscirai a
rimuoverla e a vincerla del tutto, ciò che
chiedevi si avvererà. In verità, non
appena ti sarai dato a Dio con tutto il tuo cuore;
non appena, anziché chiedere questo o
quest'altro, ti sarai rimesso interamente a lui, ti
troverai tranquillo e in pace con te stesso,
giacché nulla avrà per te sapore
più gradito di ciò che vuole Iddio.
2. Perciò colui che, con semplicità di
cuore, avrà elevato la sua intenzione a Dio,
liberandosi da qualsiasi attaccamento non retto e da
un distorto amore per le cose di questo mondo,
sarà veramente degno di ricevere la grazia e
meriterà il dono della devozione.
Giacché dove trova un terreno sgombro,
là il Signore concede la sua benedizione. E
tanto più rapida scende la grazia, tanto
più copiosa si riversa, tanto più in
alto trasporta un cuore libero, quanto più
uno rinuncia del tutto alle cose di quaggiù,
morendo a se stesso e disprezzando se stesso.
Allora, «il cuore di costui vedrà e
sarà traboccante, e contemplerà e si
allargherà in Dio» (Is 60,5),
poiché «con lui è la potenza del
Signore» (Ez 3,14; Lc 1,66), nelle mani del
quale egli si è messo, interamente e per
sempre.
«Ecco, così sarà
benedetto» (Sal 127,4) colui che cerca il
Signore con tutto il cuore, e «non ha ricevuto
invano la sua vita» (Sal 23,4). Della grazia
grande di essere unito a Dio egli si rende degno
proprio qui, nel ricevere la santa eucaristia;
perché non mira alla propria devozione e alla
propria consolazione, e mira invece a glorificare e
ad onorare Iddio.
Capitolo XVI
Manifestare a Cristo le nostre manchevolezze e
chiedere la sua grazia
O dolcissimo e amorosissimo Signore, che ora
desidero devotamente ricevere, tu conosci la mia
debolezza e la miseria che mi affligge; sai quanto
siano grandi il male e i vizi in cui giaccio e come
io sia frequentemente oppresso, provato, sconvolto e
pieno di corruzione. Io vengo a te per essere
aiutato, consolato e sollevato.
Parlo a colui che tutto sa e conosce ogni mio
pensiero; a colui che solo mi può pienamente
confortare e soccorrere. Tu ben sai di quali beni io
ho massimamente bisogno e quanto io sono povero di
virtù. Ecco che io mi metto dinanzi a te,
povero e nudo, chiedendo grazia e implorando
misericordia.
Ristora questo tuo misero affamato; riscalda la mia
freddezza con il fuoco del tuo amore; rischiara la
mia cecità con la luce della tua presenza.
Muta per me in amarezza tutto ciò che
è terreno; trasforma in occasione di pazienza
tutto ciò che mi pesa e mi ostacola; muta in
oggetto di disprezzo e di oblio ciò che
è bassa creatura. Innalza il mio cuore verso
il cielo, a te, e non lasciare che mi perda, vagando
su questa terra. Sii tu solo, da questo momento e
per sempre, la mia dolce attrazione, ché tu
solo sei mio cibo e mia bevanda, mio amore e mia
gioia, mia dolcezza e sommo mio bene.
Potessi io infiammarmi tutto, dinanzi a te,
consumarmi e trasmutare in te, così da
diventare un solo spirito con te, per grazia di
intima unione, in struggimento di ardente amore. Non
permettere che io mi allontani da te digiuno e
languente, ma usa misericordia verso di me, come
tante volte l'hai usata mirabilmente con i tuoi
santi.
Qual meraviglia se da te io prendessi fuoco
interamente, venendo meno in me stesso,
poiché tu sei fiamma sempre viva, che mai non
si spegne, amore che purifica i cuori e illumina le
menti?
Capitolo XVII
L'ardente amore e l'intenso desiderio di ricevere
Cristo
1. Con devozione grandissima e con ardente amore,
con tutto lo slancio di un cuore appassionato, io
desidero riceverti, o Signore, come ti desiderarono,
nella comunione, molti santi e molti devoti, a te
massimamente graditi per la santità della
loro vita e per la loro infiammata pietà.
O mio Dio, amore eterno che sei tutto il mio bene,
la mia felicità senza fine, io bramo
riceverti con intenso desiderio e con venerazione
grandissima, quale mai poté avere o sentire
santo alcuno. Anche se non sono degno di sentire
tutta quella devozione, tuttavia ti offro tutto lo
slancio del mio cuore, come se io solo avessi tutti
quegli accesi desideri, che tanto ti sono graditi.
Ché anzi, tutto quel che un animo devoto
può concepire e desiderare, tutto questo io
lo porgo e lo offro a te, con estrema venerazione in
pio raccoglimento. Nulla voglio tenere per me, ma
voglio immolarti me stesso e tutto quello che ho,
con scelta libera e altamente gioiosa.
2. Signore, mio Dio, mio creatore e redentore, io
desidero riceverti oggi con quella amorosa
venerazione, con quei sentimenti di lode e di onore,
di giusta gratitudine e d'amore, con quella fede e
speranza e purità di cuore, con i quali ti
desiderò e ti ricevette la santissima Madre
tua, la gloriosa Vergine Maria, quando, all'angelo
che le annunciava il mistero dell'incarnazione,
rispose, in devota umiltà: «Ecco la
schiava del Signore; sia fatto a me secondo la tua
parola» (Lc 1,38).
E come il tuo precursore Giovanni Battista, il
più grande tra tutti i santi, alla tua
presenza, sobbalzò di gioia, nel gaudio dello
Spirito Santo, mentre era ancora nel grembo della
madre; e come di poi, scorgendo Gesù
camminare tra la gente, disse con slancio devoto,
abbassando grandemente se stesso: «L'amico
dello sposo, che gli sta accanto e lo ascolta,
gioisce profondamente alla sua voce» (Gv
3,29), così anch'io bramo di essere acceso di
santo e grande desiderio e di darmi a te con tutto
il mio cuore.
Per questo ti presento e ti offro i sentimenti di
giubilo, gli ardenti moti del cuore, gli alti
pensieri, le luci superne e le visioni celesti di
tutte le anime devote; e mi unisco - per me stesso e
per coloro che a me si raccomandano nella preghiera
- alle lodi perfette che tutte le creature ti
rendono e ti renderanno, in cielo e in terra,
affinché da tutti tu sia giustamente
celebrato e glorificato per sempre.
Accetta, o Signore Dio mio, i miei voti e il mio
desiderio di darti infinite lodi e copiose
benedizioni, quali giustamente a te si debbono, per
la grandezza della tua ineffabile potenza. Tutto
questo io ti dono ora, e voglio donarti ogni giorno
e in ogni tempo, invocando con calorosa preghiera
tutti gli spiriti celesti e tutti i tuoi fedeli a
unirsi a me nel renderti grazie e nel darti lode.
Tutti «i popoli, le stirpi e le nazioni»
diano lode a te (Dn 7,14), esaltino il nome tuo,
santo e soave, con sommo giubilo ed ardente
devozione. E quanti celebrano il tuo altissimo
sacramento con venerazione e pietà, e lo
ricevono con pienezza di fede, possano trovare
grazia e misericordia presso di te e per me
peccatore rivolgano le loro suppliche. Che essi si
degnino di ricordarsi di questo poveretto, quando,
raggiunta la desiderata devozione e nutriti della
salutare unione con te, lasciano la sacra mensa
celeste, pieni di consolazione e mirabilmente
ristorati.
Capitolo XVIII
L'uomo non si ponga ad indagare, con animo curioso,
intorno al sacramento, ma si faccia umile imitatore
di Cristo e sottometta i suoi sensi alla santa fede
1. Se non vuoi essere sommerso nell'abisso del
dubbio, devi guardarti dall'indagare, con inutile
curiosità intorno a questo altissimo
sacramento. «Colui che pretende di conoscere
la maestà di Dio, sarà schiacciato
dalla grandezza di lui» (Pro 25,27). Dio
può fare cose più grandi di quanto
l'uomo possa capire. All'uomo è consentita
soltanto una pia ed umile ricerca della
verità, sempre pronta ad essere illuminata, e
desiderosa di muoversi entro i salutari insegnamenti
dei padri.
Beata la semplicità, che tralascia le ardue
strade delle disquisizioni e prosegue nel sentiero
piano e sicuro dei comandamenti di Dio. Sono molti
quelli che, volendo indagare cose troppo sublimi,
perdettero la devozione.
Da te si esigono fede e schiettezza di vita, non
altezza d'intelletto e capacità di penetrare
nei misteri di Dio. Tu, che non riesci a conoscere e
a comprendere ciò che sta più in basso
di te, come potresti capire ciò che sta sopra
di te? Sottomettiti a Dio, sottometti i tuoi sensi
alla fede, e ti sarà dato lume di conoscenza,
quale e quanto potrà esserti utile e
necessario.
Taluni subiscono forti tentazioni circa la fede e il
sacramento; senonché, non a loro se ne deve
fare carico, bensì al nemico. Non soffermarti
su queste cose; non voler discutere con i tuoi
stessi pensieri, né rispondere ai dubbi
insinuati dal diavolo. Credi, invece, alle parole di
Dio; affidati ai santi e ai profeti (2 Cor 20,20), e
fuggirà da te l'infame nemico.
Che il servo di Dio sopporti tali cose, talora
è utile assai. Il diavolo non sottopone alla
tentazione quelli che non hanno fede e i peccatori,
che ha già sicuramente in sua mano; invece
egli tenta e tormenta, in vario modo, le persone
credenti e devote.
2. Procedi, dunque, con schietta e ferma fede;
accostati al sacramento con umile venerazione.
Rimetti tranquillamente a Dio, che tutto può,
quanto non riesci a comprendere: Iddio non ti
inganna; mentre si inganna colui che confida troppo
in se stesso. Dio cammina accanto ai semplici, si
rivela agli umili, «dà lume
d'intelletto ai piccoli» (Sal 118,130), apre
la mente ai puri di cuore; e ritira la grazia ai
curiosi e ai superbi.
La ragione umana è debole e può
sbagliare, mentre la fede vera non può
ingannarsi. Ogni ragionamento, ogni nostra ricerca
deve andare dietro alla fede; non precederla,
né indebolirla. Ecco, predominano allora la
fede e l'amore, misteriosamente operanti in questo
santissimo ed eccellentissimo sacramento.
Il Dio eterno, immenso ed onnipotente, fa cose
grandi e imperscrutabili, in cielo e in terra; e a
noi non è dato investigare le meravigliose
sue opere. Ché, se le opere di Dio fossero
tali da poter essere facilmente comprese dalla
ragione umana, non si potrebbero dire meravigliose e
inscrutabili. Amen.
*****I CBV*****
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Il Santo Rosario
L'Imitazione di Cristo
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